Talvolta succede. Nella musica, nello sport, in amore così come nella vita in generale. E stiamo parlando della persona giusta nel posto sbagliato. Del protagonista sbagliato nel gruppo giusto. Dell'ingranaggio fallato nel sistema operativo altrimenti perfetto. Ai Red Hot Chili Peppers, orfani del loro geniale chitarrista John Frusciante (che mollò la band nel 1992 nel bel mezzo di un tour mondiale finendo per ispirare anche un romanziere di razza come Enrico Brizzi), andò proprio così.
Facciamo un passo indietro lungo venticinque anni. Trovatisi a incidere un nuovo album che avrebbe dovuto bissare il successo dell'imprescindibile Blood Sugar Sex Magik ("imprescindibile" nel caso si voglia capire appieno lo spirito libero degli anni '90), i Red Hot si rivolsero ad un ragazzo d'origine messicana cresciuto in California: Dave Navarro, virtuoso della sei corde con un passato glorioso nei Jane's Addiction. Con lui, nell'autunno del 1995, realizzarono dopo un'attesa estenuante One Hot Minute, disco massacrato dalla critica e poco amato dai fan per il più banale dei motivi: non suonava affatto "alla Peppers".
Riascoltato oggi, il sesto, ambizioso sigillo di Flea e soci porta ancora impresso il blasone (amaro) dell'occasione sprecata: ottime canzoni al servizio di sonorità dure e psichedeliche. Con l'amato funk di opere frenetiche come Freaky Styley e Mother's Milk relegato ovviamente ai margini. Navarro, d'altronde, non era quel genere di musicista. Lui era (ed è) il tipico chitarrista losangelino che parte da Jimi Hendrix e sconfina nell'hard rock. Bravo, per carità, ma tutto sommato nella norma. Frusciante, invece, cominciava dal verbo funky di James Brown e George Clinton e finiva volentieri nei territori del sempiterno Hendrix. E, se ci pensate bene, non si tratta esattamente della stessa cosa. Già, ma dov'era finito nel frattempo l'enigmatico John?
John Anthony Frusciante, nato per sbaglio a New York il 5 marzo del 1970, in quei primi mesi del 1998 aveva da poco completato un ciclo di rehab da eroina e cocaina che, al tirare delle somme, avrebbe finito per salvargli la vita. All'epoca si disse che non possedeva neanche più una chitarra (oltre a gran parte dei suoi denti), tutte vendute al banco dei pegni per pagarsi quei rischiosi vizi. La clinica di disintossicazione, insomma, fu un passaggio obbligatorio e cruciale.
«Venuti a conoscenza che era finalmente pulito, licenziammo in tronco Dave e chiedemmo a John di rientrare in fretta nel gruppo. Avevamo un disperato bisogno di lui, altrimenti i Red Hot Chili Peppers sarebbero morti a loro volta...». Interrogato sull'argomento, non ci gira troppo attorno l'amico fraterno Flea. E Frusciante, in quel '98, fortunatamente ci sta. Si sente nuovamente pronto.
John, con la mente sobria, sente di dover dire ancora la sua all'interno di un gruppo che, poco alla volta, sta mutando verse nuove forme artistiche. Passa quindi l'intera estate a buttare giù idee su idee, una meglio dell'altra. Si mette al servizio di nuove canzoni che il cantante Anthony Kiedis e lo stesso Flea gli presentano in sala prove. Riacquista confidenza con la batteria secca di Chad Smith (nei Red Hot il suono sincronizzato di chitarra e batteria rappresenta da sempre il via libera per le evoluzioni del basso) e, particolare di non poca importanza, empatizza col produttore Rick Rubin chiamato (si dice dopo il rifiuto di un certo David Bowie...) a dare forma a quello che diventerà Californication.
Il barbuto Rubin, da perfetto mental coach, sprona sia la band che il ritrovato Frusciante. Anzi, se lo prende proprio a cuore quel guitar hero timido e sdentato. Gli consiglia inanzitutto di non abbandonare le sue radici nere, ma di metterle a disposizione di un songwriting più classico, capace di sublimare le incendiarie intuizioni dei Cream (e John, tanto per cambiare, adora Eric Clapton), il lato eccentrico della new wave, la recente lezione post grunge degli Smashing Pumpkins e il soft rock da radio FM di gente come i Fleetwood Mac.
A fronte di tutte queste fantastiche solleticazioni, Californication - fin dal quel 8 giugno 1999, giorno della sua uscita ufficiale - viene al mondo baciato dal calore dell'estate e finisce per diventare sia un mostro di vendite (15 milioni di copie) che un paradigma stilistico dal quale i Red Hot non si staccheranno mai più. I loro successivi lavori (con Frusciante o meno visto che l'irrequieto chitarrista abbandonerà nuovamente il gruppo nel 2009), difatti, hanno più volte tentato di clonare quella formula vincente, quella eccitante "californicazione", senza mai riuscire a ricrearla completamente.
Questo non vuol dire che i successivi, gradevoli By The Way, Stadium Arcadium (disco addirittura doppio), I'm With Yours e l'ultimo The Getaway (questi ultimi due registrati col chitarrista Josh Klinghoffer) siano delle ciambelle senza il buco, ma allo stesso tempo non possiedono quella "magia" (non sapremmo altrimenti come chiamarla) che il settimo disco di Kiedis e company si porta tuttora dietro.
Ok, centrò con ogni probabilità anche la fine incombente del millennio, le sue tensioni, ma Californication fu un canto del cigno semplicemente clamoroso. Una celebrazione dell'estate, come stagione dell'anima, al pari dei migliori Beach Boys. Un disco che ci portiamo impresso perché aveva in sè il profumo del progresso (riguardatevi, ad esempio, il videoclip della titletrack), ma anche il fascino romantico della seconda chance (che non tocca sempre a tutti) e l'irruenza naive dell'ora o mai più. Più il Frusciante's touch, ovviamente. Un monumento pop, insomma.
Scar Tissue
Primo singolo pubblicato il 25 maggio 1999, l'eterna Scar Tissue fu anche la canzone che, nel marzo dello stesso anno, fece alzare il sopracciglio al selezionato gruppo di discografici americani che ebbero la possibilità di ascoltare tre brani in anteprima (tra essi anche Otherside e la titletrack) tratti dal nuovo album.
I Red Hot erano indecisi su cosa pubblicare come traccia trainante, ma Rick Rubin a quel punto ruppe gli indugi: «Ragazzi, puntate su Scar Tissue: la hit mondiale è quella!». Gli executive della Warner sorrisero di fronte a tali, sagge parole.
Sorrise anche Frusciante che, qualche mese prima, aveva scovato quel ritmo semplice ed efficace improvvisando con la sua Stratocaster. «Amavo quel brano. Nacque da appena due note, molto facili da suonare, in grado di creare una ritmica fresca e intrigante. Mi piaceva quell'immediatezza».
Riadattata in veste di ballata, Scar Tissue è impreziosita a sua volta da un lungo assolo cristallino che ha fatto eleggere, dai lettori di un noto magazine statunitense, lo stesso John - assieme ai colleghi Derek Trucks e John Mayer - tra i tre chitarristi più influenti e fondamentali (i cosiddetti "guitar gods") della nostra epoca.
Meritatamente, aggiungiamo noi.
Otherside
Se Scar Tissue lanciò romanticamente Californication e Around The World lo fregiò di classicità funky, Otherside - terzo singolo in programma - fu il pezzo che gli diede vigore rock e nobiltà artistica.
Quest'ultima dovuta più che altro al video omonimo che altro non era che un vistoso omaggio a Il Gabinetto del Dottor Caligari (film muto tedesco del 1920 e capolavoro espressionista di Robert Wiene) dove Kiedis sfoggiò per la prima volta il suo appariscente look biondo platino.
Il testo, alla maniera di quello ben più celebre di Under The Bridge, era un ennesimo e sentito ricordo del precedente chitarrista Hillel Slovak, morto per overdose nel 1988 e sostituito successivamente da John Frusciante.
Una frase su tutte resta impressa: "Once you know you can never go back/ Ormai lo sai che non potrai più tornare indietro". I Red Hot, invece, non poterono che andare avanti. Trainati da un singolo che, nel corso degli anni, venne addirittura remixato da svariati artisti dance e resta tuttora uno degli highlight assoluti del loro smisurato catalogo.
Around The World
La bontà di Californication sta in una sua classicità in grado di espandersi in maniera del tutto imprevedibile. Around The World, incipit del disco, è la quintessenza di tutto ciò. Tipico brano a metà tra funk e rap, si permette di esplodere in un ritornello corale supportato da una chitarra in crescendo e da un giro di basso nevrotico che diventerà un must dal vivo.
Il testo pare sia stato ispirato a Kiedis dalla visione del film La Vita è Bella di Roberto Benigni - che, manco a farlo apposta, proprio in quel 1999 vinse l'Oscar come miglior pellicola straniera - e sembra che le famose strofe fonetiche (cantate con tecnica "scat jazz" e totalmente prive di senso) in coda al pezzo siano giunte a noi per via di un episodio fortuito.
Di Around The World, infatti, circola in rete una versione completa di liriche, quella che tra l'altro sarebbe dovuto apparire sul disco finito. Fu la figlia piccola di Flea - divertita dai versi dello stesso Kiedis e dispiaciuta che quello scat fosse stato ad un certo punto rimosso - a implorare al padre di lasciare la canzone così com'era stata concepita.
Detto, fatto. D'altronde al desiderio accorato di un bambino non si può mai dire di no.
Parallel Universe
Uno dei momenti artistici più alti di Californication che non gli ha impedito di diventare il sesto singolo dell'album, nonostante di Parallel Universe non venne mai girato un video ufficiale per MTV.
La ricetta del pezzo è creatività allo stato puro: base euro-disco modello Giorgio Moroder, Blondie o Interpol (con gran sfoggio del basso di Flea e dei puntelli di Frusciante), magma chitarristico alla Hendrix e voce di Kiedis che si esalta al momento del coro.
Qua dei Red Hot classici c'è poco o nulla e il pezzo, paradossalmente, sembra appartenere alla "fase One Hot Minute" comunque rinnegata da gran parte della loro fanbase.
Dal vivo Frusciante si divertirà a rendere Parallel Universe sempre più Hendrix-oriented sposandola con canzoni altrui (addirittura Latest Disgrace dei Fugazi!) e facendola decollare nella stratofera con esperimenti sonici a non finire prima dei bis.
Morale? Uno dei punti fermi della band originaria di West Hollywood.
Californication
La canzone che nel 2007 finirà per dare il titolo ad una celebre serie tv interpretata da David Duchovny è - nè più nè meno - la Under The Bridge del fortunatissimo e omonimo Californication.
Simile nell'arpeggio/riff iniziale (anche se Frusciante dirà di essersi ispirato a Carnage Visors, uno dei brani più dark dei Cure), Californication ha un testo criptico che al suo interno cita un po' di tutto (StarTrek, pornografia, Star Wars, chirurgia plastica, Kurt Cobain, il comico di culto Bill Hicks ecc.) rivelandosi uno dei più eccentrici flussi di coscienza di Anthony Kiedis. Pare che il cantante scrisse tali liriche tornato da una vacanza in Thailandia e dopo una brusca ricaduta nella tossicodipendenza. Strano, eh?
Canzone faticosa come poche (ne esistono circa dieci versioni, tutte con arrangiamenti diversi, prima che JohnFrusciante trovasse finalmente il modo di "californizzarla" a dovere), rappresenta altresì uno dei capolavori assoluti della intera carriera dei Red Hot Chili Peppers. Mai uscita, a sua volta, dalla scaletta dei concerti del gruppo.
Porcelain
Ballata delicatissima, molto breve (appena due minuti e quarantatre secondi), vicina alla poetica notturna di Billy Corgan degli Smashing Pumpkins e citata qui perché in grado di spezzare, esattamente a metà, il flusso dello stesso Californication.
Album che - ricordiamolo per l'ennesima volta - non ha praticamente cali di tensioni tra funk (Get on Top, I Like Dirt ecc.), ritornelli da classifica (un titolo su tutti: Otherside) e momenti di acida sperimentazione, anche testuale se volete (Emit Remmus altro non è che Summer Time scritto al contrario). Un disco, a suo modo, completo.
Il testo della sussurrata Porcelain pare sia stato ispirato a Kiedis da una breve relazione che ebbe con una donna durante la famosa estate del 1998. Figura femminile conosciuta dal cantante all'ostello YMCA di Los Angeles. «Ricordo che era molto dolce, incinta e abbandonata dal suo uomo», si lascerà scappare Anthony nella sua toccante autobiografia Scar Tissue del 2004.
Una vicenda parecchio triste che però servirà a Kiedis a liberarsi (una volta per tutte?) dai suoi demoni. Salvo poi lanciarsi - assieme agli altri tre suoi compagni - nella realizzazione di un'opera destinata a fare la storia del rock.