Sergio Iapino rompe il silenzio su Raffaella Carrà e «Forte forte forte»

Il regista e coautore di Forte forte forte rompe il silenzio e racconta a Sorrisi i suoi 35 anni di sodalizio con la Carrà

22 Gennaio 2015 alle 12:57

Questa intervista si apre e si chiude con la stessa parola: auguri. All’inizio è Raffaella Carrà a pronunciarla. Sa che sto per intervistare Sergio Iapino, che da molti anni rifiuta di incontrare i giornalisti. Ora che lui ha accettato di parlare con Sorrisi, Raffaella ha suggerito tre domande che saranno mescolate alle altre (sono quelle in rosso).

«Auguri!» mi dice incontrandomi nei corridoi degli studi televisivi dove lavora alla nuova puntata di «Forte forte forte». «Grazie, ne avrò bisogno» le rispondo. Ed ecco Iapino, seduto nel suo ufficio: gran sorriso, baffetti sale e pepe, un’aria leggermente imbarazzata. Ha il riscaldamento ben acceso e un pacchetto di caramelle alla liquirizia sulla scrivania di truciolato.

Da quanto tempo non concedeva un’intervista?
«Neanche me lo ricordo, è passato troppo tempo».

Mi hanno detto di vecchi problemi, di giornalisti che non riportavano le risposte correttamente.
«No, non è successo nulla… È che sono chiuso di carattere, tutto lì».

Come mai stavolta ha accettato?
«Volevo parlare di “Forte forte forte”, il primo format italiano su Raiuno. I format stranieri costano tanto e non puoi cambiare una virgola. Qui siamo tornati a inventare, a riaccendere la creatività italiana, stanno tutti tirando fuori un’arte che non si vedeva più».

Facciamo qualche passo indietro. Lei ha iniziato da ballerino.
«In tv e nei teatri lirici. Per anni ho lavorato anche nelle operette, ma come coreografo».

Il suo obiettivo è sempre stato quello di fare il regista?
«Pensavo che fare il regista fosse più facile che fare il coreografo. Avevo vent’anni, mi sbagliavo. Il lavoro del regista non è quello che si vede, è ciò che lui pensa prima e durante la trasmissione. Se poi sono diventato regista e autore è stato grazie a una persona che ha capito che potevo fare di più: Raffaella. Senza di lei sarei forse rimasto un ballerino».

Quando vi siete conosciuti?
«In una trasmissione che si chiamava “Millemilioni” in cui ero assistente coreografo di Gino Landi. Facevo pure il ballerino ma un po’ meno, perché dovevo guardare gli altri e insegnare loro i movimenti. Era il 1980, 35 anni fa».

La vostra storia nacque allora?
«Facevo con lei un romantico passo a due per insegnarlo a un altro. Accadde lì: ci siamo guardati negli occhi ed è scattata la scintilla».

Com’è Raffaella in privato?
«Una magnifica donna di casa. E cucina molto molto bene. Ha scritto anche un libro di ricette, più di cento, e io ho fatto da cavia. Uno dei piatti è dedicato a me, “lo stinco di Sergio”: uno stinco di vitello al forno con delle erbe particolari».

Vi siete lasciati alla fine degli Anni 90. Lavorare insieme era più facile allora o lo è oggi?
«In realtà non c’è un prima o un dopo. Anzi, il nostro rapporto di lavoro migliora ogni giorno».

In 35 anni c’è qualcosa che lei rimprovera a Raffaella?
«A me piace così com’è. Si discute, anche molto, ma meglio di così non potrebbe andare».

Di cosa discutete?
«Io immagino delle cose, lei delle altre e viene fuori la cosa perfetta. Raffaella ha una grande esperienza davanti alle telecamere. Io solo del dietro, perché sono timidissimo».

Un difetto che invece rimproverano a lei?
«Ogni tanto sono un po’ duro, perfino con Raffaella, alzo la voce. Ma passa subito, dopo 15 secondi sono più felice di prima».

La vostra storia d’amore è finita per un motivo o si è esaurita?
«Esaurita? No, è migliorata. Raffaella e io siamo legati nell’anima, siamo più che fratelli, abbiamo lo stesso sangue, non so come dire… Una normale storia d’amore è molto piccola rispetto a quella che viviamo noi».

Ha lavorato tanto in Spagna. Dove ha imparato la lingua?
«La conoscevo al 60%. L’ho imparata davvero con le tournée degli show con Raffaella in Argentina, Messico e Cile. Mi divertivo tantissimo».

Meglio le tournée o la tv?
«Oggi preferirei non lavorare più. Starei fermo, me ne andrei al mare».

Vuol dire che «Forte forte forte» sarà il suo ultimo lavoro?
«Al 99,9% sì. Voglio mandare avanti i giovani. Poi magari faccio il consulente, metto a disposizione la mia esperienza».

Lei balla ancora?
«Magari… Ho le caviglie consumate, ero più alto di qualche centimetro. Sul serio: con la danza la cartilagine se ne va. Sono pieno di dolori, zoppico, quando non lavoro vado nei Paesi caldi per poter camminare bene».

È vero che è diventato giudice di danza hip hop?
«Vero. Il futuro della danza è quello. In genere la gente pensa alla breakdance, ma in realtà l’hip hop ha dieci stili diversi, ognuno dei quali ha dieci derivati diversi. I campionati mondiali si fanno ogni anno a Las Vegas».

Il ballerino migliore del mondo?
«Il mio mito era Baryshnikov. Muscoli forti: saltava, faceva evoluzioni che all’epoca non esistevano. Adesso le vedi moltiplicate per tre nella danza hip hop».

L’idea di «Forte forte forte» risale a tre anni fa. Come mai si è dovuto aspettare tanto?
«Non lo so. Forse Raiuno, che non aveva mai fatto un talent show, voleva capire bene se poteva funzionare».

Le svelo un piccolo segreto: tre delle mie domande sono state suggerite da Raffaella, immagina quali sono?
«No… Ma ora sono curioso».

Quella sui difetti, suoi e della Carrà, e quella sulla lingua spagnola. Un’ultima cosa: avete un gesto scaramantico?
«La parola “auguri”, che di solito nel nostro ambiente è bandita. Infatti noi ci tappiamo le orecchie quando dicono quell’altra» (nel mondo dello spettacolo, prima di entrare in scena, è consuetudine ripetere una formula un po’ volgare, ndr).

Allora, non mi resta che dirle anch’io la stessa cosa. Auguri.
«Grazie, auguri anche a lei».

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