Film italiani in concorso a Venezia: «Una famiglia»

Sebastiano Riso dirige Micaela Ramazzotti nella pellicola in concorso a Venezia 74

4 Settembre 2017 alle 17:41

Sebastiano Riso, regista siciliano classe 1983, è in concorso a Venezia 74 con il suo secondo film: «Una famiglia». Protagonista è Micaela Ramazzotti, che sfila sul red carpet del Lido il giorno successivo a quello del marito Paolo Virzì, in gara per il Leone d'Oro con «».

Maria (Micaela Ramazzotti) e Vincenzo (Patrick Bruel) vivono isolati dal mondo, in un'esistenza indolente che non prevede né un lavoro né rapporti al di fuori del loro. I due sono legati da reciproche dipendenze: quella di Vincenzo verso Maria è dettata dall'opportunismo, quella di lei verso lui dalla sottomissione psicologica. Maria e Vincenzo, infatti, aiutano le coppie che non possono avere figli, facendone loro per poi venderli clandestinamente. Il fatto che la donna voglia costruire una famiglia sua e sia arrivata a quella che istintivamente sa essere la sua ultima gravidanza, la porta a non voler più stare al gioco del compagno e a ribellarsi.

Riso porta in concorso a Venezia un film ambizioso, che prova a raccontare il mercato nero dei bambini in Italia. Dichiara dai titoli di testa che la storia s'ispira a fatti realmente accaduti ma, man mano che la narrazione procede, ci troviamo non poche volte a mettere in discussione la veridicità di questa affermazione. Non capiamo, ad esempio, le scelte della sua protagonista, che non riesce a dire basta all'orrore che subisce, nonostante nessuno la trattenga davvero. Ma Maria non è la sola: in «Una famiglia», la posizione di nessuno dei personaggi è davvero credibile né trova una collocazione precisa all'interno del focus proposto, dal ginecologo alla coppia gay che è in trattativa per l'ultimo bambino.

«Una famiglia» ha evidenti problemi sia di scrittura - soprattutto dei dialoghi - sia di recitazione. Micaela Ramazzotti, più che interpretare un personaggio, si fa personaggio, e mostra quanto potrebbe essere brava solo verso la fine del film, dove però le sue reazioni risultano totalmente sproporzionate rispetto alla figura femminile costruita fino a quel momento. Riso idem: la prima ora, trascorsa tra sesso e lacrime, sembra non finire mai e ci fa strabuzzare gli occhi quando, tra battute banali come ?ma non esistono soltanto i soldi? o ?il mondo non è orribile?, prova a infilare invadenti tocchi di regia come la macchina da presa che si allontana dalla scena in presenza di momenti di dolore/orrore.

L'ultima mezzora è tutto sommato meglio e «Una famiglia» si chiude senza farci sbadigliare sconsolati. Ci dispiace: le premesse per costruire un film con una tematica interessante e non abusata c'erano tutte, ma Riso ha peccato un po' di quell'autoralità ?senza arte né parte' che speravamo di non trovare proprio in un film italiano in gara.

Che i Manetti Bros. ce la mandino buona.

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