Dodi Battaglia, le foto e l’intervista integrale

Ha invitato Sorrisi a casa sua per parlare del nuovo disco solista e di un grande progetto

Dodi Battaglia  Credit: © Rino Petrosino
17 Aprile 2015 alle 12:13

Suono il citofono e mi viene subito incontro. Vive in un palazzo d'epoca, sede di un antico monastero nel cuore di Bologna, a pochi passi da Piazza Maggiore e a trecento metri dalla casa  di Lucio Dalla. «La nostra bella città. Siamo tutti nati e cresciuti qui» dice con orgoglio.

Dodi Battaglia è un artista umile e mai fuori dalle righe. Guai a dirgli che è uno dei migliori chitarristi in circolazione in Italia e nel mondo. «Sono solo il miglior chitarrista dei Pooh» taglia corto. Fuori c'è molto traffico e una pioggia a tratti battente: dentro solo pace e un silenzio quasi surreale che viene presto interrotto dalla brusca chiamata del postino. Ci pensa Paola a rispondere.

Paola Toeschi è la moglie di Dodi, gentile e ospitale, attrice pubblicitaria, mamma della loro piccola Sofia, una meravigliosa bimba di 9 anni. «È tutta suo padre» mi dice mostrandomi la foto della figlioletta bionda e con i capelli ricci prima di allontanarsi. Per Dodi è la quarta. Prima di lei, il chitarrista ha avuto Sara e Serena da Lousie Van Buren e Daniele da Loretta Lanfredi. Paola rientra, guarda il marito e lo rimprovera con fare spiritoso e ironico: «È un'altra multa...». Dodi sorride e le chiede: «A quanto andavo stavolta?». La sua dolce metà lo rassicura: «Tranquillo. Rispetto al solito andavi piano perché la cifra è bassa». Scoppiamo tutti in una gran risata.Difficile pensare che un artista così dolce e garbato possa trasgredire.

E subito i flashback si affollano nella mia mente. Il primo ricordo è un vecchio filmato in cui un ragazzo riservato intonava, tutto intimidito, le prime parole di “Noi due nel mondo e nell'anima” in uno spettacolo Rai di tanti anni fa. Insomma, quando ce l'hai di fronte, ti dimentichi che ha corso per venti anni nella categoria turismo - velocità in circuito collezionando vittorie e successi. «Questa passione l'ho condivisa con il mio amico Giorgio Faletti» racconta Dodi che, nel giro di pochi minuti, mi spalanca le porte di casa facendomi entrare nel suo mondo. Prima nello studio, poi giù nella cantina – studio dove campeggiano sulle pareti simpatiche illustrazioni.A terra alcune chitarre che fanno parte della sua collezione. Sulle mensole non si contano le statuine (c'è anche qualche Tapiro d'oro), libri e cd. E poi scatti di famiglia.

Sullo sfondo una foto ingrandita di Valerio Negrini, bolognese come lui, musicista, paroliere e fondatore dei Pooh, a cui ha dedicato il brano di chiusura “Vale” che fa parte del suo terzo disco solista intitolato “Dov'è andata la musica” (in uscita il 7 aprile) e che vede il prezioso contributo di Tommy Emmanuel, considerato il re del fingerstyle (la tecnica chitarristica che consiste nel pizzicare le corde senza plettri). Un album eclettico che è la sintesi di diverse culture musicali. Il progetto è nato tra Orvieto e Nashville e contiene canzoni d'amore, brani pop, rock e gipsy.

Mentre parliamo la pioggia e l'atmosfera grigia, come per magia, lasciano il posto ad una splendida giornata di sole.

Partiamo da questo progetto. È la prima volta che scrivi testi in prima persona dopo la scomparsa di Valerio Negrini...
«È stato spiazzante! Tutto l'album è dedicato alla sua figura. Senza di lui, i Pooh non sarebbero nati così come non avrebbero avuto successo. Non ho voluto affidare la mia sensibilità ad una persona che non fosse Valerio, persona di spessore e di grande cultura. Poi in effetti i congiuntivi non li ho mai sbagliati ed ecco perché mi sono messo alla prova. D'altronde dopo cinquant'anni di attività, se uno fa un disco da solo non lo fa per andare primo in classifica né per dimostrare chissà cosa ma per raccontare se stesso, esternare i propri sentimenti. Qualcuno dice che ho avuto la botta di fondale del neofita di avere scritto storie diverse».

Ti riferisci a qualche brano in particolare?
«Alla canzone “Io non so amare a metà” in cui si parla di un uomo che ha una storia con una donna già impegnata e che passa il tempo ad aspettarla da solo... Parole che si contrappongono a “Mi dispiace devo andare” composta in un periodo in cui le cose giravano evidentemente in modo diverso. Insomma con questo testo siamo in piena par condicio. Poi c'è “Tu resti qui”, che è una riflessione sulla violenza sulle donne. Anche qui parlo di un uomo che dice alla sua donna di non muoversi e di non tornare da quell'uomo a farsi picchiare».

Più che un disco, è un frullatore di contaminazioni. Segno che con Tommy Emmanuel ti sei aperto a generi che non avevi mai approfondito...
«Io e Tommy siamo legati da una bella amicizia. Lui festeggia gli anni il 31 maggio mentre io il primo giugno e quando si trova in Italia, abbiamo l'abitudine di brindare insieme a mezzanotte. Da anni parlavamo di fare un disco insieme e alla fine ce l'abbiamo fatta. Lui un fingerstyle, vicino al jazz, io faccio un altro genere. Ma ci siamo trovati!».

Tornando ai brani, a chi ti sei ispirato per i testi?
«Ai fatti della vita. E, naturalmente anche a quelli della mia vita personale, soprattutto negli ultimi anni».

Ti riferisci al dolore vissuto per la malattia di tua moglie che ha scritto anche un libro “Più forte del male” in cui parla per la prima volta della sua esperienza...
«È stato un fulmine a ciel sereno per me. Il “vecchietto” di casa ero io ed era inimmaginabile per me una cosa diversa. Quando Paola si è trovata a lottare contro il tumore, io mi sono dovuto rimboccare le maniche: dovevo stare vicino a mia moglie, pensare alla nostra bambina e continuare a lavorare. Sono stato malissimo per venti giorni ma la sera prima dell'intervento di Paola, stranamente ho dormito. Mi rendevo conto di avere fatto tutto quello che potevo fare in quel breve periodo di tempo: avevo consultato tanti medici, ero stato vicinissimo alla piccola Sofia, avevo dato forza a mia moglie e a mia suocera. Avevo pregato e mi ero messo nelle mani di Dio».

Quanto è stata importante per te la fede?
«Se non credi, non vivi. Ho pregato con una forza sovraumana fino alla vigilia dell'operazione. E ora, per fortuna, possiamo parlarne al passato».

Qual è il segno che ti ha lasciato quest'esperienza?
«È stata una grande prova. Ho capito l'importanza della preghiera. Sia io che Paola abbiamo cambiato stile di vita a partire dall'alimentazione. Io, ad esempio, mangio meno carne».

Mentre parliamo, Dodi mi fa risentire l'album...

Sentendole, alcune canzoni riprendono a tratti le idee dei Pooh dei primi anni.
«Per me è un complimento. I Pooh sono la mia estrazione. Magari riuscissi a vendere tanti dischi quanti ne ha venduti il gruppo in tutti questi anni. Mio figlio Daniele ha detto che, ascoltando il mio disco, si capisce l'apporto che ho dato al gruppo e la portata che ho all'interno della musica dei Pooh come chitarrista».

Da quando i Pooh si sono presi una pausa per organizzare il “Cinquantennale”, prima Roby Facchinetti poi Red Canzian e ora tu siete usciti con un disco. È una moda allora?
«Sarà anche una moda ma è stimolante. È bello, dopo tanto tempo, mettersi in gioco».

Cosa pensi dei tuoi colleghi?
«Roby ha fatto un disco lirico, tastieristico, abbastanza statico dove emerge con la sua bellissima voce. Red si è voluto divertire raccontando se stesso in varie sfaccettature».

Roby Facchinetti è giudice a “The Voice”. Credi nei talent?
«Ai miei tempi si partiva dall'appartamento, dal condominio, dal quartiere. Oggi si parte dal talent. Lì, in due minuti e mezzo, ti giochi la carriera di una vita. Anche se da questi format sono usciti bravissimi artisti, sono del parere che oggi la musica sia diventata un po' più artificiale».

Cosa farete per il vostro cinquantennale?
«Ci siamo presi due anni di pausa per lavorare a questo progetto. Il mio sogno è avere sia Stefano D'Orazio che Riccardo Fogli. Sarà un evento strepitoso e non potrebbe essere diversamente. Siamo forse il gruppo più longevo nel mondo, dopo i Rolling Stones».

Prima hai parlato di Daniele e di Sofia. Tu hai altre due figlie Sara e Serena. Quanto è importante la famiglia per te?
«Ho sempre sognato una bella famiglia e, da vecchietto, una grande tavolata con figli e nipoti. Sono sulla buona strada...».

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