Abbiamo incontrato il cantante inglese nel suo camerino a Sanremo, prima della sua esibizione sul palco dell'Ariston
Prima di incontrarci al Teatro Ariston, dove è arrivato per la sua esibizione nella serata finale del Festival, Ed Sheeran è rimasto bloccato nel traffico per 40 minuti: il tipico caos sanremese nei giorni dell’evento. Nonostante i disguidi, l’impellenza delle prove e un camerino che non ha certo l’aspetto di una suite a cinque stelle, il cantautore inglese ci accoglie con un sorriso. Sheeran ha venduto 10 milioni di dischi, è uno dei più grandi nomi del pop internazionale, ma è anche un educato ragazzo di 22 anni. «La serata dei Grammy Awards, dove mi sono esibito, l’ho passata con i miei genitori» ci dice.
E qualche giorno dopo i Grammy hai cantato in un omaggio a Stevie Wonder a Los Angeles, duettando con Beyoncé. Com’è andata?
«È stato surreale. Mi aspettavo che lei fosse una donna “robotica”, perfetta in tutto, molto fredda. Invece è veramente una persona deliziosa. È la cosa che mi ha sorpreso di più di tutta la serata».
C'era anche Andrea Bocelli quella sera. Vi siete incontrati?
«Sì, l’avevo già conosciuto, i suoi figli sono venuti a vedere il mio concerto a Milano. Mi hanno regalato qualche bottiglia del vino che Bocelli produce nelle sue vigne. E io dal palco ho cantato “Con te partirò”».
Ed Sheeran a Sanremo
Dopo «Sing» anche «Thinking out loud» è una vera hit. Te l'aspettavi?
«Pensa che quando l’ho registrata non era nemmeno previsto che finisse nell’album. Ho scelto di inserirla proprio perché credevo nelle sue potenzialità».
Tu sei ormai una star mondiale ma hai questo atteggiamento rilassato da «bravo ragazzo». Per te è importante trasmettere l’idea di non essere cambiato con il successo?
«In realtà tutti nella vita dobbiamo evolvere, imparare, adattarci. Io stesso sono cambiato negli ultimi anni, spero solo di non essere diventato un bastardo (sorride). No, credo di essere solo più prudente e cauto».
Al Festival sei venuto accompagnato da una band, ma al Forum di Assago eri da solo sul palco.
«È vero, non uso quasi mai la band nei concerti, mi trovo meglio così. Sanremo è stato un’eccezione. Anche nei tre concerti che terrò allo stadio di Wembley a luglio sarò da solo con la mia chitarra».
Sono passati molti mesi da «X», stai già lavorando al prossimo album?
«Avevo già cominciato a scrivere il terzo album mentre lavoravo al secondo. Il fatto è che io scrivo di continuo».
Che tipo di brani stai componendo?
«Non saprei dire, perché le canzoni mi escono da sole. In questo periodo sono molto soddisfatto, quindi scrivo molte canzoni “felici”. Altri pezzi sono solo delle storie. Non credo nel “processo creativo”: le canzoni accadono perché devono accadere, chiunque provi a scrivere seguendo un percorso preciso lo sta facendo per le ragioni sbagliate».
Quindi il tuo prossimo album sarà molto ottimista?
«Credo proprio di sì. Purtroppo ho già fatto un album intitolato “+” (che si legge “Positive”, ndr) quindi dovrò inventarmi un nome nuovo».
La tua musica ha spesso caratteristiche narrative, quanto c’è di te nelle sue canzoni?
«Il cento per cento della mia vita: ciò che scrivo racconta sempre qualcosa di me. Insomma, è tutto autobiografico».
Hai scritto anche bellissime canzoni per artisti come One Direction, Taylor Swift e Jessie Ware. Che rapporto hai con questi brani?
«Quasi nessuno: ora quelle canzoni appartengono a loro, cerco di non avere alcun attaccamento nei loro confronti».
«X» è stato l’album più ascoltato in streaming nel mondo durante il 2014, ma ha anche venduto milioni di copie. Altri artisti invece preferiscono non dare la propria musica in streaming...
«Io la penso così: è anche grazie allo streaming se io adesso posso suonare negli stadi. Il mio scopo è fare grandi concerti, del resto non mi interessa granché, né mi fermo a guardare i dati di vendita. Se una persona può ascoltare il mio album, anche se è gratis, voglio che lo faccia. In fondo io ho fatto un album perchè la gente lo ascolti, non perché possa stare appoggiato su uno scaffale mentre la gente gli passa accanto».