In edicola con Tv Sorrisi e Canzoni dal 22 febbraio (a soli €14,90 prezzo rivista esclusa) ‘Oasis: Supersonic’, il DVD che racconta per la prima volta la storia dei fratelli Gallagher: dai pub periferici di Manchester al doppio sold out dell’agosto 1996 in quel di Knebworth (ben 250mila biglietti venduti). Il documentario diretto dalla coppia Mat Whitecross e Asif Kapadia riesce appieno nel suo intento perché cattura la nostalgia e restituisce ai quarantenni odierni – quarantenni spesso spaesati dalla musica liquida – la sensazione di aver combinato qualcosa di unico quand’erano “giovani”. Cosa? Aver creato, a distanza di tre decadi, i propri Beatles. Aver tramutato un piccolo gruppo di Burnage in un generatore di euforia. Durante quel biennio compreso tra il 1994 e il 1996, chi cantava in coro brani come ‘Live forever’, ‘Some might say’ o ‘Wonderwall’ è responsabile del successo degli Oasis ancor più dell’etichetta giapponese che li ha lanciati sul mercato.
Ecco perché in questa nostra Top List non troverete il “meglio di” o i brani più celebri, ma le tappe salienti di una scalata al mondo. Tra melodie beatlesiane e spinta punk alla Sex Pistols, raffinatezze alla Burt Bacharach e diluvi chitarristici alla Neil Young, questi sono stati i “giovani” Oasis. Mai più intercettati. Quelli maturi, infatti, avrebbero percorso vie differenti con altri musicisti e motivazioni. Buon ascolto e come sempre… mad for it!
Supersonic
Impossibile non partire dal pezzo da cui prende il titolo il documentario in questione. Anche per una serie di coincidenze realmente inquietanti. ‘Supersonic’, primo entusiasmante singolo ufficiale degli Oasis, esce l’11 aprile 1994. Ci sarebbe da esultare, però l’universo giovanile dell’epoca è perso dietro faccende molto più fosche. Una settimana prima (il 5 anche se il cadavere verrà rinvenuto solo due giorni dopo da un elettricista) Kurt Cobain dei Nirvana decide di togliersi la vita. Lo shock lo respiri nell’aria dei licei, a Seattle come a Milano. Gli anni ’90 sono ad una svolta: prima è stato tutto un magma di creatività e impegno (grunge, lotta all’Aids, Greenpeace, la nascita di una strana cosa chiamata Internet), ora è il momento del lutto. Subito spezzato da un giro di batteria e da una svisata spigolosa sulla chitarra. ‘Supersonic’, in pratica, diventa la colonna sonora di chi ripone la camicia di flanella nell’armadio per indossare un track top dell’Adidas sui jeans. E il decennio, comunque orfano di un genio, ricomincia.
Live Forever
A volte basta una singola parola. Anni interi a cercare uno straccio di dialogo generazionale, decine di libri incentrati sul decifrare i testi di Bob Dylan e poi arriva un ragazzo scimmiesco di appena ventidue anni, ci spara un bel “Maybe” e cambia tutto all’improvviso. Se ‘Supersonic’ è la pacca sulla spalla data all’amico nello spogliatoio del calcetto, ‘Live forever’ è il bacio schioccato sulle labbra della tua prima fidanzata, quella che non diventerà mai tua moglie, ma tu ti ricorderai per sempre (forever, appunto). Una nenia psichedelica in cui Noel Gallagher comincia a far capire al pianeta che gli assoli melodici sono il suo pane quotidiano. Un video assurdo dove viene sepolto vivo il batterista Tony McCarroll (beffarda premonizione visto che verrà cacciato dal gruppo da lì a poco). Una canzone strepitosa meritevole di stare nell’empireo dei capolavori indiscutibili. Astenersi scettici, please.
Listen Up
Negli anni ’90 andavano di moda i CD single, versione postmoderna dei mitici 45 giri dei sixties o degli EP degli eighties. Chiunque pubblicava singoli in tale formato (Michael Jackson, le Spice Girls, Riccardo Cocciante ecc.), ma la domanda era sempre la stessa: cosa ci mettiamo dentro oltre alla canzone di punta? Ecco, se c’è una cosa in cui gli Oasis hanno sempre dominato incontrastati era la cura maniacale con cui selezionavano le loro B sides. Non scarti o remix, ma gemme degne degli album. Regali elargiti ai veri fan perché quella non era roba creata per passare in radio. Tra cui appunto ‘Listen up’, il loro lato B più intenso di quel primo periodo (per la cronaca stava sul singolo di ‘Cigarettes & Alcohol’). Intenso perché ci sta il fuoco nel vibrato di Liam (soprattutto quando canta, un po’ sconsolato, “Non credo nella magia/ la vita è così scontata”) e nell’assolo torrenziale di Noel. Roba che ti porta dritto al Neil Young di ‘Zuma’ o ‘Rust Never Sleeps’, quello eccitato di jammare coi suoi Crazy Horse. Un delitto non riscoprirla nel 2017.
Whatever
Qua si comincia a fare davvero sul serio. Pubblicato ad una settimana esatta dal Natale ’94, ‘Whatever’ (che in seguito verrà usata anche per uno spot di una nota compagnia telefonica) è il vero singolo spartiacque degli Oasis. Prima erano una brit pop band altamente talentuosa. Dopo la critica comincia a spingere sul paragone coi Beatles o addirittura con David Bowie. Il brano, ruffiano come pochi, in effetti è un allegro pastiche tra ‘Octopus’s garden’ dei Fab Four e ‘All the young dudes’ del Duca Bianco (e Noel, sarcasticamente, citerà le due canzoni in qualche sua riproposizione unplugged della stessa ‘Whatever’), ma più che altro contiene violini a profusione e spassionata idea di libertà. Quella libertà ben raffigurata sulla copertina del disco: una prateria sconfinata sotto un cielo color pastello molto Manchester City. Il 1995 è alle porte e la lunga corsa dei Gallagher è appena cominciata.
Some Might Say
La canzone per antonomasia dell’estate 1995, molto più della sciatta (al confronto) ‘Roll with it’. In quei caldi mesi stava per esplodere tutto e per capire la portata epocale dei Gallagher bastava viaggiare per l’Europa in Interrail. Cambiavi nazione ogni tre giorni e nei club vedevi tutte queste belle ragazze con la maglietta degli Oasis (quella col vecchio logo stampigliato all’altezza del seno) che non ballavano i Take That, ma scuotevano i capelli al ritmo di ‘Some might say’. Cos’altro aggiungere? Che quello fu il primo anno che il gruppo suonò in Italia con una data al vecchio Rolling Stone di Milano? Che il brano in questione nasce su un giro d’accordi tipicamente glam rock alla T. Rex? Che la voce di Liam - limpida come in questa incisione - non la sarà mai più? Aneddoti, informazioni di contorno. ‘Some might say’ esiste quindi è, direbbe Sartre. E chi se la scorda più quell’estate addosso.
Acquiesce
Giusto per rincarare la dose, una delle B sides di ‘Some might say’ (vedi video precedente) fu proprio ‘Acquiesce’, ovvero la famosa canzone del duetto tra i due fratelli. Più che un pezzo rock, pare un incontro di boxe (N.B.: circola un bootleg olandese in cui Liam ad un certo punto della stessa ‘Acquiesce’ sferra un cazzotto al microfono). Comunque la struttura supersonica del pezzo è abbastanza semplice, nella migliore tradizione della band inglese. Sopra un diluvio di chitarre distorte (quel famoso “muro” che gli Oasis perderanno progressivamente con l’abbandono di due pedine fondamentali quali Bonehead e Guigsy), Our Kid declama i versi mentre Noel - con la sua voce sgraziata - esplode nel ritornello. Una bomba. Una summa delle parti che supera il talento individuale. Gli Oasis la terranno per anni in scaletta, ma non la eseguiranno mai durante l’infausto tour del 2009. D’altronde non puoi mica suonare ‘Acquiesce’ e poi scioglierti all’improvviso. Sarebbe un assurdo controsenso.
Wonderwall
La canzone degli Oasis che conoscono praticamente tutti, dai bambini piccoli dell’asilo fino alle nonne che imbiancano. Giro d’accordi di una banalità sconcertante, testo poeticamente urbano, arrangiamento inusuale (beccatevi il ritmo militaresco della batteria di Alan White), un po’ di immancabili Beatles (‘Wonderwall Music’ era il titolo di un disco sperimentale di George Harrison) e il vibrato di Liam che non fa prigionieri. E poi ovviamente l’intuizione di un misterioso termine (‘Wonderwall’ appunto) che qui ci piacerebbe tradurre in “sponda magica”. Noel la dedicò alla sua fidanzata dell’epoca Meg Matthews (in seguito divenuta sua moglie e madre della figlia Anais) sublimata come una “sponda” verso cui adagiarsi. E poi quel verso che non perdona: “Non credo che qualcun altro possa provare ciò che provo io ora verso di te”. Sentimento puro iniettato in un classico che ascolteremo anche tra cent’anni.
The Masterplan
La quarta canzone in scaletta del CD singolo di ‘Wonderwall’ (uscito alla vigilia di Halloween ’95) a molti fan sembrò un palese errore. «Ma come? – si chiesero legioni di appassionati – In ‘(What’s The Story) Morning Glory?’ piazzano una canzonetta come ‘She’s electric’ mentre da parte hanno la melodia più bella degli anni ’90?». Eppure le cose andarono esattamente così, sintomo di quanto si sentissero onnipotenti quegli Oasis. Come se i Led Zeppelin avessero messo ‘Stairway to Heaven’ nascosta in una caotica playlist di Spotify. La voce solista di Noel Gallagher e l’arrangiamento orchestrale fecero il resto uniti ad una palese atmosfera malinconica che agisce da preludio al coro liberatorio. Non sarà un caso se i registi Whitecross e Kapadia sceglieranno proprio la divina ‘The Masterplan’ per chiudere in gloria il loro film-documentario ‘Oasis: Supersonic’. Migliore finale, con voce fuoricampo dello stesso The Chief, proprio non potevano trovarlo.
Cast No Shadow
Canzone abbastanza trascurata di ‘(What’s The Story) Morning Glory?’ e dedicata alla magrezza impressionante di Richard Ashcroft dei Verve: un uomo talmente minuto di fisico che, quando fissa il sole, “non proietta nessuna ombra”. Eppure, riascoltata oggi, ‘Cast no shadow’ non sembra affatto la parente povera di ‘Wonderwall’. L’arrangiamento, ovviamente psichedelico, è dolcissimo mentre l’impasto delle voci dei due fratelli provoca brividi a profusione. Forse il pezzo in cui Liam e Noel hanno provato maggiormente a fare quei famosi duetti vocali alla Lennon/McCartney stile ‘Revolver’. Salvo poi accorgersi che non era il caso di calcare la mano su di un paragone già fin troppo ingombrante. Però, in quei cinque minuti scarsi, quanta implacabile magia!
Champagne Supernova
La versione che conoscete tutti sta in fondo a ‘(What’s The Story) Morning Glory?’, ultima traccia in scaletta dell’album più venduto di sempre nella carriera degli Oasis. Eppure la performance più epica è decisamente un’altra. Vale a dire quella andata in scena a Knebworth sabato 10 agosto 1996, prima delle due serate completamente sold out (come direbbero i Thegiornalisti, grandi fan degli stessi Gallagher) di un happening passato subito alla storia del rock. In quel caso l’ospite di riguardo fu JohnSquire appena uscito con palese clamore mediatico dagli Stone Roses (si ricongiungerà a loro solamente quindici anni più tardi). La chitarra solista di Johnny – come lo introduce Liam – è la marcia in più di un pezzo oltre il concetto di sontuoso. Che gli Oasis non saranno più in grado di replicare nonostante pallidi tentativi d’imitazione (‘Roll it over’). Nessuno fu in grado di intuirlo ma la scintilla rabbiosa - quella notte - s’era spenta in un boato di 250mila anime. Dopo ci sarebbe stata la proficua carriera.
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