Trevor Horn e la sua playlist anni ’80

Dai Buggles ai Simple Minds passando per Yes, Pet Shop Boys e Frankie Goes To Hollywood, la nostra intervista a colui che inventò gli Eighties

6 Dicembre 2017 alle 18:17

Trevor Horn, inglese originario di Durham, 68 anni compiuti lo scorso luglio, magari è un nome che dirà poco a chi non bazzica gli studi di registrazione o non è abituato a spulciare i crediti stampati a caratteri minuscoli sul retro delle copertine dei dischi.

In realtà la sua è una figura di stampo quasi leggendario per tutte le innumerevoli hit su cui ha messo le mani (o, per meglio dire, l'orecchio) durante la sua invidiabile carriera di produttore musicale. Vale a dire il prezioso collaboratore che si chiude tra quattro mura insonorizzate con il gruppo o l'artista di turno e, in maniera democratica o meno, tira fuori l'oro dal piombo. 

Nella nostra esclusiva playlist abbiamo raccolto nove sue collaborazioni (ed altrettanti suoi commenti) che vanno dal 1979 al 1989. Una dove in realtà non faceva ancora il producer a tempo pieno, un'altra dove le cose non sono andate esattamente come aveva previsto ed altre sette dove si è semplicemente fatta la Storia del Pop.

E dove Horn ha impresso il suo tocco magico (ma anche molto meditato ed inseguito a furia di prove su prove) su uno dei decenni più controversi e rimpianti di sempre: gli anni '80. Buon viaggio nella inevitabile nostalgia.

**THE BUGGLES - «VIDEO KILLED THE RADIO STAR» (1979)**


Un singolo pop mangia-classifiche in cui Trevor Horn si limitava a fare la popstar cantando e suonando il basso. Una sorta di rito di passaggio tra l'impegno ideologico degli anni '70 e l' "età della plastica" successiva. Una canzonicina nasale di tre minuti che ci avrebbe fatto prendere confidenza con "l'uomo che inventò gli anni '80". A proposito: chissà cosa ne pensa Trevor di quella definizione così impegnativa...  

"Da giovane, quando mi rivolgevano questa domanda, ero molto presuntuoso. Con la stampa negavo di aver inventato qualcosa: non perché ci credessi veramente, ma mi piaceva insinuare che la mie qualità andassero ben oltre gli anni '80. Invecchiando, invece, ho compreso di aver creato un modo diverso di fare musica. Effettivamente dischi come i miei, all'epoca, non li realizzava nessuno. Cominciai con delle produzioni per i Dollar, un gruppo che si ricordano in pochi perchè, al tirare delle somme, non ebbero grande successo; però mi diedero l'opportunità di essere notato dagli ABC e da lì cominciò tutto. Ovviamente all'epoca ero già famoso: venivo dall'esperienza con gli Yes (Horn fu il loro cantante nell'album 'Drama' del 1980, ndr) e avevo avuto una hit internazionale con i The Buggles che contribuì a lanciare il fenomeno di MTV. Eppure in 'Video Killed The Radio Stars' la produzione non fu solo mia visto che vi partecipò anche Geoff Downes, l'altra metà del duo. Però è indubbio che fu quello, un brano del '79, a mettermi sotto i riflettori del decennio seguente...»

**ABC - «The Look of Love» (1982)**


La perfetta colonna sonora dell'estate 1982 oltreché la canzone per cui uno come Martin Fry sarebbe stato ricordato per sempre. Notevole l'incipit col sassofono, smaccato indizio del travolgente "new pop" che avrebbe contraddistinto da lì a poco gran parte del movimento ottantiano. 

«Vuoi sapere una cosa? Gli ABC sono sempre stati un gruppo molto intelligente. Avevano questa mentalità da Beatles degli esordi, quando Lennon e McCartney guardavano con attenzione alla musica soul americana per far ballare i propri fan. Solo che Martin Fry e soci scrivevano canzoni soul originali, non facevano delle cover. Per me 'The Look of Love' è diventata famosa perché c'era quel verso pazzesco che precedeva il ritornello - 'If you judge a book by the cover/ Then you judge the look by the lover' - che colpì nel segno. Martin sapeva davvero come parlare al suo pubblico...»

**YES - «Owner of a Lonely Heart» (1983)**


Uno dei brani-simbolo degli eighties. Per il cantato alla Sting di Jon Anderson e per il senso di novità che si portava appresso. Ok, c'erano già passati qualche anno prima i Genesis di 'Turn it on again', ma lo svecchiamento degli Yes è rimasto più epocale. Merito della produzione altamente futuristica di Trevor Horn e del riff immortale suonato da un altro Trevor: Rabin, in questo caso.

«Molti fanatici del progressive rock mi hanno dato addosso per questa produzione dimenticandosi forse che io sono uno dei più grandi fan degli Yes del pianeta! (ridacchia) Mi hanno accusato di aver rovinato un gruppo, ma vi posso tranquillamente assicurare che il gruppo non ha ancora finito di ringraziarmi per una hit del genere. Anzi, lascia che ti dia uno scoop: nel 2018 uscirà un nuovo disco degli Yes con me alla voce e delle registrazioni postume di Chris Squire al basso, praticamente la stessa formazione di 'Drama' del 1980... Ma torniamo a 'Owner of a Lonely Heart': loro sentivano di aver bisogno di qualcosa di più fresco nel loro repertorio perché avevano questo timore di essere rimasti invischiati negli anni '70. E così lavorammo a questa traccia che in definitiva è solo un brano rock con dei campionamenti al suo interno. '90125', il disco che la conteneva, è tuttora uno degli album più intelligenti che abbia mai fatto, ma non fu affatto semplice raggiungere quel livello...»

**FRANKIE GOES TO HOLLYWOOD - «Relax» (1983)**


Chi non conosce questo brano dalla produzione faraonica e costato uno sproposito in termini di ore di registrazione? Spacciato frettolosamente per un singolo dance, 'Relax', a livello di impatto sociale, significò molto di più perché metteva finalmente l'orgoglio gay sulle mappe. Era l'ottobre del 1983 e il Regno Unito avrebbe conosciuto proprio quel mese l'arrivo dei suoi "nuovi" Sex Pistols. Solo che i Frankies non avevano le chitarre distorte in testa, ma la disco music degli Chic...

«Beh, 'Relax' uscì lo stesso mese di 'Owner of a Lonely Heart' giusto per dirti come mi giravano bene le cose in quel periodo... Il successo stratosferico di quel 45 giri (dove narra la leggenda suonarono i Blockheads di Ian Dury e l'unico Frankie che fece effettivamente qualcosa fu il cantante Holly Johnson, ndr) è presto detto: è una canzone smaccatamente sessuale. E ad un certo punto contiene la riproduzione in chiave sonora di un orgasmo maschile. Sai, fino al 1983 i dischi si vendevano meglio se al loro interno c'erano dei gemiti femminili. Io, andando controtendenza, ho fatto l'esatto opposto! (ride)»

**ART OF NOISE - «Moments in Love» (1984)**


Gli Art Of Noise furono un super-gruppo elettronico formato da Gary Langan (un ingegnere del suono), J. J. Jeczalik (un programmatore), Anne Dudley (una arrangiatrice) e Paul Morley (un giornalista musicale). Più lo stesso Horn a tirare le fila. Il loro era un manifesto avanguardista (il nome della band fu preso in prestito da una composizione del futurista Luigi Russolo), ma si innamorarono dei campionamenti allora appena in voga. E donarono un cuore pulsante a composizioni digitali che avrebbero influenzato sia l'hip hop che la new age. Tipo questa.

«La prima volta che feci ascoltare il demo di 'Moments In Love' al mio collega J. J. Jeczalik la sua prima reazione fu: 'Troppo noiosa'. Per forza che era noiosa: si trattava pur sempre di una breve sequenza di note ripetute per oltre dieci minuti! Però era anche una noia costruttiva; nel senso che creava un'atmosfera in grado di ammaliare il pubblico. E poi eravamo nel 1984 e certe sonorità elettroniche non si erano ancora sentite. A volte credo che la scoperta di un suono originale sia davvero la chiave di tutto. Le armonie giuste, a quel punto, vengono quasi di conseguenza».

**FRANKIE GOES TO HOLLYWOOD - «The Power of Love» (1984)**


Terzo singolo di fila firmato Frankies approdato al primo posto delle classifiche britanniche in concomitanza col Natale del 1984. 'The Power of Love' stette appena una settimana in vetta alle charts perché troppo forte in quel periodo fu la concorrenza di 'Do They Know It's Christmas?', il singolo benefico firmato Band Aid; però qualcuno resta tuttora convinto che si tratti di una delle melodie migliori del secolo scorso, se non addirittura la migliore.

«La più bella canzone di sempre? In tutta onestà non lo so. La cosa interessante è che avevamo questo ottimo brano tra le mani e il gruppo non sapeva suonarlo alla perfezione: andavano sempre troppo veloci rispetto alla ritmica che avevo in testa... Così, grazie ai miei macchinari, ho diminuito sensibilmente la velocità di esecuzione. Holly Johnson sentì la base e mi disse: 'Hey, così ha davvero una sua originalità!'. Il problema è che in 'The Power Of Love' ci credevano davvero in pochi: troppo lenta, orchestrale e poi arrivava pur sempre dopo due singoli dance come 'Relax' e 'Two Tribes'... Ed invece fece da subito un botto pazzesco. L'hanno adorata tutti fin dal primo ascolto!»

**PET SHOP BOYS - «Left To My Own Devices» (1988)**


Salto temporale di qualche anno e ritroviamo Trevor Horn al lavoro con una delle formazioni più acclamate della seconda metà degli anni '80: il duo elettronico londinese dei Pet Shop Boys. Contenuta in uno dei loro dischi più riusciti ('Introspective'), 'Left To My Own Devices' è importante perché ci mostra un audace mix tra musica fatta col sintetizzatore ed arrangiata con l'aiuto di una grande orchestra. Pallino fisso da lì in avanti della premiata ditta Tennant e Lowe.

«Chiariamo immediatamente una cosa: è un falso storico che i Pet Shop Boys mi abbiano stressato durante la lavorazione di 'Left To My Own Devices'. I rapporti tra di noi sono sempre stati molto sereni. Certo, un po' di ritardo nella consegna del brano c'è stato perché tutto quello che avevo in partenza era una cassettina con sopra inciso un Synclavier e una rudimentale batteria elettronica. Così, per arricchire la melodia, ci ho aggiunto una orchestra di circa 60 elementi! (ride) Una volta fatto sentire il mix finale a Neil Tennant e Chris Lowe erano felicissimi. Ed io con loro».

**SIMPLE MINDS - «Mandela Day» (1989)**


Il brano che anticipa di qualche anno l'attesa liberazione del leader sudafricano Nelson Mandela dopo decenni di prigionia forzata a Robben Island, oltreché una delle melodie più struggenti degli stessi Simple Minds. Una canzone che profuma d'Africa, ma con l'epicità-rock degli scozzesi sempre in agguato. Soprattutto per quel che riguarda i fraseggi chitarristici di Charlie Burchill mai così ispirati come in questo caso. Capolavoro.

«Abbiamo terminato l'intera canzone in un solo giorno: registrazione, produzione e mix. Jim Kerr arrivò con quel pezzo al mattino e, alla sera, era già bello che finito. Sono quelle situazioni che nascono così, magiche fin dal principio. Charlie fu bravissimo a suonare tutte quelle parti di chitarra così aperte e sognanti e, a quel punto, non si poteva davvero tagliare nulla. Dovevo solo far partire il nastro e consegnare 'Mandela Day' alla storia della musica. Grande songwriting».

**PAUL McCARTNEY - «Figure of Eight» (1989)**


Una ciambella senza il buco la famosa e chiacchierata collaborazione tra McCartney e lo stesso Horn. Un modo forse malinconico di chiudere quegli anni '80 che Trevor aveva contribuito in prima persona a far decollare, ma pur sempre una testimonianza preziosa di un periodo storico che non tornerà mai più. Con una dedica finale, off topic, al nostro Renato Zero...

«Lavorare con Paul è stato gradevole e complicato allo stesso tempo. Realizzai 'Figure of Eight' in due giorni intensi di lavoro e il risultato, per me, era pressoché ottimo. Tempo dopo ricevetti una chiamata del suo management in cui mi si chiedeva di rifare la traccia da capo. Per loro c'era qualcosa che non andava, ma non furono mai troppo chiari al riguardo. 'Mi dispiace - risposi - ma io non lavoro così. Una volta approvato un mix, non torno sui miei passi: è la mia unica regola.' E così ingaggiarono Chris Hughes che, di suo, ci mise sei settimane a finire il lavoro... Il credito me l'hanno lasciato comunque e, se proprio devo dirti la verità, ho lavorato decisamente meglio con altri artisti. Tipo il vostro Renato Zero. Sai, Renato ha un enorme senso dell'humor ed è uno spasso stare in studio con lui. Spero che, prima o poi, rifaremo un altro disco assieme».

Seguici