Amanda Lear, l’intervista e le foto della sua vita

La giurata del talent di Carlo Conti «Si può fare» racconta a Sorrisi la sua carriera straordinaria

Amanda Lear
15 Aprile 2015 alle 17:00

Quando parli con qualcuno che dice Andy per indicare Andy Warhol, o David per David Bowie o ancora Salvador per Salvador Dalì, snocciolando aneddoti irresistibili e inediti, magari sui Beatles, capisci che chi hai davanti ha non solo vissuto una vita incredibile, ma ha attraversato in prima persona la storia artistica dagli Anni 70 a oggi.

Che Amanda Lear viva la sua vita da protagonista è subito chiaro da come riesce a illuminare persino il bar degli studi televisivi della Rai. Il linoleum per terra e i tavoloni da mensa scompaiono se a uno di questi è seduta lei, elegantissima in un tailleur nero, una camicia di seta impeccabile, un gesticolare aggraziato e la sua inconfondibile voce profonda, che scivola sulle erre come tutti i francesi che si rispettino. Parla volentieri e sorseggia un caffè al vetro, macchiato con tanta schiuma e un pizzico di cacao sopra.

Amanda, ha deciso di ripetere l’esperienza di giurata a «Si può fare».
«Faccio tutte le settimane avanti e indietro da Parigi e per me è faticoso, in più non è un lavoro pagato bene, però Carlo (Conti, ndr) ci teneva tanto, me l’ha chiesto con affetto perché voleva un po’ di glamour e di ironia e allora eccomi qua. Ma soprattutto l’ho fatto per il pubblico».

Cosa intende?
«Il pubblico italiano mi ha sempre seguito con amore. Da un po’ mancavo e non volevo che le persone si chiedessero: “Ma che fine ha fatto? È in pensione?”. No, eccomi qui. Mi accolgono sempre con calore. All’estero vai di moda in tv poi arriva una più giovane, ti sostituiscono e ti dimenticano. Il pubblico italiano invece è fedele. Guardi le feste che fanno a Baudo, che lo vedono da cent’anni...».

Che rapporto ha con l’Italia?
«Ne sono rimasta incantata fin dalla prima volta che sono venuta come modella. Ero innamorata di un ragazzo che lavorava in un ristorante e per lui ho cominciato a studiare l’italiano. A me piace il vostro entusiasmo e l’essere un po’ bambini. Io in Italia ci vivrei volentieri, magari vicino al lago Trasimeno, una zona che adoro».

Torniamo al programma: quest’anno come giurata sarà più buona?
«Nella scorsa edizione mi spingevano a “bastonare” un po’ i concorrenti per vivacizzare. Però qualcuno si è offeso, come Catherine Spaak. In realtà è difficile prendere in giro questi vip che si danno un gran daffare: in fondo non è il loro mestiere e in pochi giorni devono imparare cose molto difficili».

Lei lo farebbe?
«Mai. Non ne sarei capace. Guardo Pamela Prati che a 56 anni si cimenta con il trapezio: la ammiro perché non si tira indietro. Li rispetto tutti perché si mettono in gioco e a volte anche in pericolo. Non è mica come imparare a ballare o a pattinare sul ghiaccio o andare all’Isola dei famosi: qui si tratta di fare anche cose pericolose».

E lei non ama il rischio?
«Come no? È quello che mi tiene viva, ma parlo di rischio professionale. Ogni volta che inizio un nuovo spettacolo a teatro mi chiedo: piacerà? Questo mi stimola. Io non ho nostalgia del passato. A me interessa cosa farò domani. Se perdi l’entusiasmo hai chiuso. Tutti a dirmi: “Sei sempre bella, magra, in forma, qual è il tuo segreto?”».

E qual è il suo segreto?
«Disciplina ed entusiasmo. Il teatro mi ha cambiato la vita. Il contatto diretto con il pubblico mi dà una enorme soddisfazione e poi è una buona terapia per la mia salute perché mi impone disciplina: non bevo, non fumo, vado a nanna presto, mi alzo presto la mattina, preparo la voce. Quando finisce una tournée torno a casa nel sud della Francia con i miei dieci gatti, e dipingo i miei quadri, tranquilla, tra gli ulivi. Tutto questo mi regala un entusiasmo incredibile di fare cose nuove. Il giorno in cui ti siedi e dici: “Ce l’ho fatta, sono la regina del mondo” sei finita».

Non si sentiva regina del mondo neanche da musa di Salvador Dalì o di Jean-Paul Gaultier?
«Mi definiscono sempre “musa”, ma non si è mai capito cosa voglia dire. Forse ci si confonde tra modella e musa. La modella è una tipa con un fisico interessante che posa per l’artista. La musa è tutta un’altra cosa. Può non essere bella, ma è una donna che con la sua presenza ispira l’artista. Con Dalì viaggiavo, mi confrontavo, ma non posavo sempre per i suoi quadri, per quello c’erano le modelle. Gaultier non fa i vestiti su di me o ispirandosi al mio fisico: con Jean-Paul ci vediamo, andiamo a cena insieme, ridiamo, parliamo».

Come fa a rendere così normale una vita che invece è straordinaria?
«Tutto nella mia vita è successo per caso. Ci sono ragazze che fanno scuola di recitazione, studiano ballo, fanno i calendari nude per farsi notare. Persino Sofia Loren ha fatto la Miss. Io ho lasciato fare al caso, con la convinzione però che qualcosa sarebbe successo».

Ma lei cosa voleva fare “da grande”?
«Niente. Assolutamente niente».

Però ha cominciato come modella…
«Si, ma non siamo noi che decidiamo. C’è qualcuno lassù che manipola le nostre vite. Non era previsto che incontrassi per strada una signora che aveva un’agenzia di modelle. Non era previsto che incontrassi i Rolling Stones o i Roxy Music e che finissi sulla copertina del loro disco. Non era previsto che David Bowie si innamorasse di me. Chi avrebbe immaginato che una sera dopo una sfilata avrei incontrato in un locale Salvador Dalì: non mi piaceva nemmeno la sua pittura, io adoravo Picasso. Ma Dalì era divertente, con lui parlavo pochissimo di arte, lo adoravo come essere umano».

È stato Dalì a farle conoscere personaggi diversi come Andy Warhol o il giovanissimo Miguel Bosè…
«Sì. Warhol mi fotografò e mi fece un ritratto. Ma soprattutto mi fece conoscere l’incredibile realtà artistica della New York di fine Anni 70. E la sera si andava tutti con Liza Minnelli allo Studio 54».

E Bosé?
«Dalì era fanatico della corrida e conosceva il grande torero Luis Miguel Dominguín che era il padre di Miguel. Un’estate vennero in vacanza a casa di Dalì. Miguel avrà avuto 17 anni».

Incontri incredibili…
«Solo una grande fortuna: ho incontrato persone meravigliose che si sono innamorate di me o che hanno creduto in me. Tutto è successo per caso. E magari un giorno incontro Woody Allen che mi fa fare un film con lui...».

Ha ispirato anche David Bowie?
«In realtà lo trovavo buffo, con ’sti capelli rossi e truccato più di me. Il fatto è che non si struccava mai e la notte mi sporcava tutti i cuscini. Però era affascinante…».

Lei viene definita un’icona di bellezza e di classe.
«Per carità. Le icone stanno al cimitero! E poi io da ragazzina non mi piacevo».

Prego?
«Ero bruttina. Alta, magra, capelli come spaghetti. E mi avevano messo in bocca una cosa per raddrizzare i denti, perché li avevo in fuori. Allora gli apparecchi erano di ferro, bruttissimi e io mi vergognavo: non sorridevo mai. Poi sono diventata modella perché alla fine degli anni ’60 la moda voleva le donne così: alte, secche, capelli lisci. E un po’ di complessi sono spariti».

Ha fatto pace con se stessa?
«Non so se ho fatto pace, però penso che bisogna accettarsi: se non vuoi bene a te stesso non puoi volerne agli altri. Oggi sono tranquilla perché non ho più l’ossessione del sedurre. Una ragazza cerca l’amore, io no. Ma se viene, bene. Magari il giorno che sei struccata al supermercato te lo trovi davanti».

I suoi progetti?
«A giugno sarò in Italia al Festival di Spoleto per esporre i miei quadri in una mostra. Poi inizierò le prove di un nuovo musical, “Irma la dolce”, che debutterà a Parigi il 4 settembre. Però a gennaio forse torno in Italia per girare un film per il cinema: una commedia di Cosimo Messeri surreale, divertente e un po’ pazza. La tv mi ha un po’ stufato. E poi non vorrei esagerare: ho paura di stancare, sia in amore che sul lavoro. E non voglio fare la fine di quelle signore truccate e ingioiellate che uccidono per un gettone di presenza. Ma che lavoro fanno?».

Opinioniste?
«È una parola che vi siete inventati in Italia: non è mica un mestiere…».

Seguici