Giulio Scarpati: «Ai tempi di “Un medico in famiglia” mi chiedevano dei consigli come a un vero dottore»

L'attore ricorda la lunga e fortunata avventura, ora disponibile su Prime Video e RaiPlay

22 Settembre 2022 alle 08:20

Giulio Scarpati, sa che “Un medico in famiglia” sta arrivando su Prime Video? Dal 22 settembre sono disponibili le prime quattro stagioni.
«Non lo sapevo, mi fa piacere. Quando ha detto “Un medico in famiglia” pensavo volesse chiedermi se avevamo intenzione di fare una nuova stagione».

Ci state pensando?
«Ogni tanto qualcuno ce lo chiede. È legittimo, visto il successo che abbiamo avuto, ma io penso che non sia il caso, non è più il momento giusto. Allora il racconto che stavamo facendo era una novità, una vera bomba: una famiglia al maschile con un padre vedovo che, nonostante il lavoro, riusciva a fare il papà a 360°, aiutato da un nonno anche lui vedovo».

È stata questa novità a farle accettare il ruolo del dottor Lele Martini?
«Non solo. La proposta mi arrivò mentre ero in Venezuela per un’altra fiction Rai, “La casa bruciata” di Massimo Spano. Lì per lì rimasi perplesso per la durata: erano previsti ben 14 mesi di lavorazione. Però la sceneggiatura mi piaceva, era divertente. Così presi un po’ di tempo, finché una sera successe una cosa incredibile».

Quale?
«Ero in albergo, alla fine della giornata di riprese e incappai in una puntata di “Médico de familia”, il format originale spagnolo su cui era basata la serie italiana. Pensai che fosse un segno del destino e fu così che accettai la proposta. Appena tornato a Roma, avevo ancora la barba lunga del mio personaggio che era un missionario comboniano, andai a incontrare il produttore della Publispei Carlo Bixio, una delle persone migliori con cui abbia mai lavorato, che per fortuna non si spaventò!».

E poi?
«Cominciammo subito a fare le prime letture tutti insieme, soprattutto per creare un rapporto con i bambini che nella prima stagione erano piccoli: Eleonora Cadeddu, che interpretava Annuccia, aveva solo 2 anni. Così individuammo meglio alcuni ruoli e scoprimmo per esempio che Ugo Dighero, chiamato per fare il marito di Cettina (ruolo poi interpretato da Enrico Brignano ndr), era invece perfetto nei panni del mio amico Giulio».

Che ricordi ha della prima puntata?
«Davvero non mi aspettavo tutto quel successo. Ricordo ancora la felicità nel realizzare che ci avevano seguito otto milioni di persone».

Ha citato i bambini: com’era lavorare con loro sul set?
«La fatica maggiore la facevano sicuramente loro. Nelle prime stagioni erano sempre in scena. Noi però eravamo tutti lì, pronti a coccolarli. Mi ricordo che a una festa di fine stagione Eleonora disse: “Ora mi tocca tornare a quella noia di asilo!” (ride)».

Poi c’era Lino Banfi, alias nonno Libero.
«Stabilimmo subito un ottimo rapporto. Si scherzava tanto ma si lavorava seriamente, con lui come con tutti. E questo, credo, è stato uno dei motivi del successo. Non a caso grazie a “Un medico in famiglia” sono nate amicizie che coltivo ancora oggi: Ugo Dighero, Paolo Sassanelli, Tiziana Aristarco e Riccardo Donna (questi ultimi sono due dei registi che si sono avvicendati nella serie, ndr) e Marco Presta, che ha collaborato ai dialoghi con Antonello Dose».

Quando un attore interpreta un ruolo per tanto tempo spesso finisce per essere identificato con il personaggio. È capitato anche a lei?
«Sì. Le persone mi fermavano per strada per chiedermi un parere medico».

Lei cosa faceva?
«Suggerivo di farsi vedere da un medico vero. A volte però, dopo tanta insistenza, ho dato qualche consiglio, lo ammetto. Spero siano ancora tutti vivi (ride). Una volta, invece, un tizio mi ha chiesto la mano di mia figlia. Gli ho risposto che mia figlia aveva 2 anni, poi ho capito che si riferiva a Margot Sikabonyi, che interpretava Maria».

È a causa di un ruolo diventato ingombrante che lei lasciò la serie alla fine della terza stagione, salvo poi tornare nell’ultima puntata della quarta e, poi, nella sesta, settima e ottava?
«Non solo. Il successo non ha controindicazioni ma deve essere controllato: non devi farti travolgere e mantenere vivo il desiderio di fare anche altro. Io avevo bisogno di fare teatro. Pensi che mentre giravamo una delle prime stagioni, in camerino studiavo “L’idiota” di Dostoevskij, con cui riuscii a portare a teatro persone che non c’erano mai state e che venivano per vedere Lele Martini».

Ora a che cosa sta lavorando?
«Dovrei riprendere “Il teatro comico” di Goldoni. È un testo molto particolare, la filosofia del nuovo teatro che lui proponeva».

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