Max Giusti torna con “Boss in incognito”

La trasmissione torna con un nuovo conduttore da martedì 8 settembre in prima serata su Raidue

Max Giusti
3 Settembre 2020 alle 10:11

Due ore di trucco. Parrucca, baffi e pizzetto posticci, protesi al naso, denti e labbro inferiore finti, inflessione dialettale che cambia a seconda delle situazioni e... Max Giusti è pronto a entrare in azione nei panni di Giancarlo.

Max, chi è Giancarlo, una sua nuova imitazione?
«No, è il personaggio che “interpreto” nella nuova stagione di “Boss in incognito”. Per la prima volta il conduttore del programma si trasforma e aiuta il capo di ogni azienda protagonista delle puntate a entrare in contatto con i suoi dipendenti, senza essere riconosciuto».

Avete girato i quattro nuovi appuntamenti subito dopo il lockdown, in un periodo difficile per le aziende.
«E abbiamo vissuto emozioni fortissime. C’è un’Italia che resiste, che non molla, che è tenace».

Molte sono realtà che si tramandano di padre in figlio. E nella sua famiglia?
«Mio papà era metalmeccanico e mamma commessa in un negozio di ferramenta. Poi a 23 anni papà ha aperto un piccolo negozio di casalinghi e detersivi. Col tempo il negozio è cresciuto, ci lavoravano 12 persone ma... è mancato l’erede!».

Che li ha lasciati per inseguire la passione per lo spettacolo.
«Già. Dal 1991 ho deciso di dedicarmi solo a quello. Ma fino ad allora davo una mano anch’io in negozio. Dalla terza liceo servivo dietro al banco e facevo le consegne. Per un periodo vendevamo anche mobili: cucine, bagni, salotti... A 23 anni ricordo che nella mia seconda apparizione televisiva a “Stasera mi butto” il conduttore Pippo Franco mi chiese: “Max, cosa fai nella vita?”. E io: “Porto i mobili su e giù per le scale...”».

Era vero?
«Come no? Il negozio di papà ormai era diventato grande e lui mi diceva: “Se un giorno sì e uno no non ci sei perché vai a fare gli spettacoli, io come faccio a farti crescere e a darti un ruolo di responsabilità? Quindi se vuoi te ne vai con gli operai a montare i mobili”. Io andavo e ne ero contento. Certo, ’na fatica!».

Si caricava i frigoriferi e i divani?
«Esatto. Con i portieri che dicevano: “Non si può usare l’ascensore”. Durante le riprese di “Boss in incognito” in una puntata ho dovuto portare a spalla 30 chili di limoni su per le “scalinatelle” della costiera amalfitana. Pensavano tutti che non ce la facessi».

E invece... lei si “incollava” i frigoriferi...
«Già (ride)! Quelli a colonna sono troppo lunghi da portare in due perché nelle scale non si riesce a girare, allora li portavo da solo con il metodo “a cannone”».

Ce lo spiega?
«Si fa passare una corda sotto al frigorifero, lo posizioni lungo la schiena e lo porti prendendolo dalle cime della corda».

E i divani?
«C’è un trucco. Quelli letto sono più pesanti, ma se levi il materasso e i cuscini si alleggeriscono un po’».

È un super esperto: a casa saprà fare tutto...
«Scherza? Dopo tutta quella fatica sono diventato così pigro che non cambio manco una lampadina!».

Torniamo alla “dinastia” dei Giusti. Suo nonno?
«Nonno Aldebrando, il papà di papà, aveva otto fratelli e dai 6 anni era stato affidato a una famiglia di mezzadri per pulire le stalle. Poi da ragazzo faceva il camionista da cava».

Che cosa significa?
«Quando c’è un cantiere aperto, la terra che viene scavata deve essere portata via con i camion. Viceversa, se in un cantiere serve della terra si carica il camion alla cava e si porta al cantiere. Nonno guidava quei camion. Io ho sempre amato i motori e dai 10 anni in poi mi portava il sabato alla cava, che era chiusa, mentre lui faceva dei lavoretti di manutenzione. Mangiavo il panino al formaggino che mi preparava mamma e poi mi mettevo al volante del camion. A malapena arrivavo allo sterzo e con grande fatica riuscivo a girarlo perché era durissimo. Ho cominciato lì a guidare».

Facciamo ancora un passo indietro: il papà di suo nonno?
«Di lui so solo che era un anarchico e venne ucciso dai fascisti sotto un ponte nelle Marche».

E oggi il negozio della famiglia Giusti c’è ancora?
“Certo! È sempre lì, a via della Casetta Mattei (a Roma, in zona Portuense ndr), i miei genitori si sono ritirati e ora è diventato una ferramenta».

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