«Donnavventura»: Zanzibar, ventosa e ridente isola, gioiosa terra di pescatori

Il reportage della nostra inviata Vanessa continua dalla magica isola africana

31 Dicembre 2017 alle 09:00

Palme.
Alte. Snelle. Oscillanti.
Sabbia.
Bianca. Impalpabile. Tanta. Soffice.
Acqua.
Oceanica. Infinita. Ricca. Brillante.
Ventosa Zanzibar. Ridente isola. Gioiosa terra di pescatori.

L’arrivo non fu dei più semplici. Prendemmo un volo Ethiopian Airlines e dopo uno scalo al Kilimangiaro, atterrammo nella nuova tappa, bagnata e piovosa. Eravamo pronte a tutto ormai, dopo le dure prove etiopi, ma la pioggia non era minimamente contemplata. Non qui, non adesso. La fila per la dogana fu terribilmente lunga e la stanchezza pesava sulla schiena di più delle nostre attrezzature e bagagli. Avvistammo il pullman e caricammo tutto all’interno. Eravamo stanche e bagnate e tra un villaggio e l’altro, girammo a sinistra, in una viuzza. Eravamo arrivate.

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Un sogno. Un miraggio. Un’oasi nel deserto. La Gemma dell’Est, un incredibile hotel 5 stelle superior. Non ci credevamo. Non poteva essere vero.
O forse sì. Forse era tutto reale. Forse ce l’eravamo meritate. Ci accolse con un sorriso radioso Francesca, la responsabile marketing e ci indicò le golf car sulle quali saremmo dovute salire per raggiungere le nostre camere. Arrivammo all’ingresso di una villa presidenziale, entrammo e non potemmo trattenerci. Era bellissima. Avevamo una piscina gigante tutta per noi con vista tramonto sul mare, un maggiordomo, un cuoco, un giardiniere, delle cameriere e una guardia di sicurezza fuori dalla villa.
Questa volta il campo base Donnavventura aveva tutta l’aria di essere un premio. Sistemammo tutta l’attrezzatura e i computer con gli hardisk e gli accessori vari sulla grande tavola del salone e cominciammo a lavorare insieme. Nei giorni seguenti avremmo dovuto conoscere, esplorare e raccontare una nuova terra e non si poteva perdere neanche un minuto.

L’Oceano mi chiamava. Ne sentivo il bisogno. Volevo lavare la mia anima, rigenerarla e ossigenarla. Mi tuffai come una creatura marina e volai nell’acqua cristallina. Mi sentii bene, pulita, nuovamente pronta per affrontare anche questa tappa. Abbastanza vuota da poter contenere un’altra cultura, da poter assorbire un nuovo mondo, da poter apprendere nuovi insegnamenti.

Ci siamo inoltrate poi lungo la costa orientale, luogo in cui si assiste all’affascinante fenomeno delle maree. Quando il mare si ritira, si può camminare per centinaia di metri fino a quasi raggiungere la barriera corallina. Quando l’acqua ricomincia a salire invece, si dipinge di sfumature che vanno dal bianco puro, al verde giada, al turchese squillante fino al blu indaco intenso. Abbiamo fissato il nostro campo base presso il Mapenzi Beach Resort e da lì siamo andate alla scoperta della costa. Le stradine si snocciolavano davanti ai nostri occhi in piccoli villaggi di pescatori. La semplicità e la gioia sui volti di chiunque incrociasse il mio sguardo mi illuminava. Fu come un ritorno alle mie origini. Riccione è una piccola città di pescatori e quello che avevo di fronte mi trasportò immediatamente a casa mia, in quella caotica e meravigliosa realtà che appartiene al mio cuore.
Ci addentrammo nella rigogliosa foresta di Jozani per cercare gli animali selvaggi endemici dell’isola: le scimmie colobo rosso, dei buffi esemplari dalla lunga cosa e dal pelo irsuto. Passammo poi nella Onlus italiana “Why” di Francesca e Gualtiero, una coppia di italiani che sono sull’isola da anni impegnati nel loro progetto di formazione ed educazione della gente locale. Siamo entrate nei laboratori di sartoria e di artigianato di terracotta e fu tanta l’emozione nel vedere la passione e l’impegno, sia negli occhi dei ragazzi italiani che di quelle persone, mentre imparavano l’arte del creare.

Tornammo in hotel e dopo il solito e tanto lavoro di produzione serale, ci addormentammo con le finestre delle nostre camere rivolte direttamente sull’Oceano e pensai a quanta strada ho percorso finora, a quanti insegnamenti ho ricevuto, a quanti limiti ho superato e a quanto sia appassionata a questo lavoro. Rivolsi un pensiero anche alle mie compagne di viaggio, delle sorelle pazze con cui condividere lavoro, sogni, preoccupazioni, risate, dolori e vittorie. Unite e forti come dei grandi alberi dalle immense radici.
Il giorno seguente, dopo colazione, andammo in mare con il catamarano, con le canoe e poi con le biciclette. Giocammo a beach volley, a bocce, a calcetto e infine un ragazzo si arrampicò per noi su una palma altissima per tagliarci dal vivo del cocco fresco. Lo sport finalmente, la mia metà.

La sera ci radunammo insieme ad alcuni ragazzi masai attorno al fuoco per cantare accompagnate dall’ukulele.

Tornammo al nord e passammo per il The Rock, un locale molto conosciuto qui a Zanzibar perché si trova in mezzo al mare. Con la bassa marea si può raggiungere a piedi, mentre con l’alta è necessario salire a bordo di una piccola imbarcazione. Nella via del ritorno incontrammo tanti altri villaggi dell’isola e quei colori swahili così vividi e brillanti ricaricarono le mie energie. Tornammo all’estremo Nord, nella Gemma dell’Est e qui finimmo il lavoro cominciato durante i primi giorni. Il meteo non fu tanto clemente con noi e dovemmo correre qua e là alla ricerca di qualche spiraglio di luce. Andammo alla scoperta del variopinto mercato di Stone Town, il centro storico della capitale Zanzibar City. I colori gridavano in festa e gli odori di pesce e spezie s’imponevano con fierezza e forza.

Finalmente arrivò il momento della videochiamata a casa. Dopo 60 giorni di spedizione senza telefono e senza contatto alcuno con il mondo esterno ci è stata data la possibilità di sentire le nostre famiglie. Vedere i miei genitori da quel piccolo schermo, anche solo pochi minuti, farmi forza e ripetermi che sono fieri di me, mi ha dato una carica e un amore inimmaginabile. Grata e molto commossa, mi addormentai leggera come una piuma.

L’indomani ultimo giorno e ultimo tramonto anche lì, in quella magica isola. Ci stringemmo forte forte. Felicitas aveva gli occhi lucidi. Marianna sorrideva come sempre. Alessia fissava con i suoi occhioni blu quel panorama. In quell’istante ci sentimmo libere. In armonia.

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