Nino Frassica racconta a Sorrisi la sua grande carriera

«Da Fazio a “Che fuori tempo che fa” e in radio con il “Programmone” mi diverto a improvvisare. Con “Don Matteo” potrei continuare all’infinito»

Con Nino Frassica dietro le quinte di «Che fuori tempo che fa»  Credit: © Pigi Cipelli
29 Ottobre 2015 alle 17:09

«Lasciate un messaggio. Vi richiamerò stanotte alle tre...». Così Nino Frassica risponde nella segreteria del suo telefono. Telefono che in questo periodo è spesso spento, dal momento che sta lavorando a pieno ritmo, tra l’appuntamento del sabato a «Che fuori tempo che fa», il set di «Don Matteo 10» e il suo «Programmone» alla radio. Stamattina però Nino ha qualche ora libera e, seduto davanti a una spremuta d’arancia nel bar sotto casa, sembra finalmente rilassarsi.

Nino, è un momento professionale d’oro per lei...
«Già. E festeggio con la copertina di Sorrisi. La prima da solo. Le altre erano con Renzo Arbore, con Pippo Baudo... con i conduttori veri, insomma».

E lei non lo è?
«No. Io recito il ruolo del presentatore. A “Indietro tutta” ne ho fatto addirittura una parodia. E quelle poche volte che l’ho dovuto fare seriamente mi sono sentito strano. “Signore e signori buonasera” non mi viene proprio, mi esce un “Ledisengents...”. Però questo equivoco mi è stato utile con Sofia Coppola».

La regista americana?
«Sì. Per il suo film “Somewhere” cercava un presentatore bizzarro. Gironzolando in Rete ha visto un video del bravo presentatore a “Indietro tutta” e mi ha voluto».

Ha avuto un’altra esperienza hollywoodiana.
«Il regista di “The tourist”, quello dal nome difficile (Florian Henckel von Donnersmarck, ndr), ha la mamma tedesca. In Germania “Don Matteo” va fortissimo e lei mi ha suggerito per il ruolo del maresciallo dei Carabinieri».

Torniamo all’Italia e alla novità di «Che fuori tempo che fa»: lei è una presenza fissa del programma...
«A 30 anni da “Quelli della notte” mi ritrovo in un salotto televisivo. Quello di Fabio Fazio è diverso: lì interpretavo il ruolo del finto frate, qui sono me stesso, lì contava più la forma del contenuto, qui è un vero talk show. Però c’è la stessa dose di umorismo intelligente. In questo Fazio è simile ad Arbore».

In cosa, in particolare, si somigliano?
«Stesso senso dell’umorismo. E nessuno dei due è un presentatore da “Ecco a voi...”, si apre il sipario e escono i comici. No. Loro riescono a creare quell’atmosfera giusta nella quale la battuta in sé non ha più importanza».

Eppure le sue sono esilaranti. Le prepara?
«Ho degli appunti, ma quello che conta è la lucidità. Cerco di stare sempre attento e concentrato e quando c’è da sparare... sparo!».

A proposito di sparare, il suo maresciallo Cecchini in «Don Matteo» non lo fa.
«In questa decima serie si è ridotta ulteriormente la percentuale di “giallo” a favore di quella della commedia e del privato. Arriverà mia sorella, le amiche di mia moglie... Gli sviluppi del quotidiano del maresciallo sono infiniti. Come nella vita. E potrei andare avanti a interpretarlo, a oltranza».

Lei fa tanta televisione. La guarda?
«No. L’accendo raramente. Io guardo solo i talk show, i reality, i talent, i tg, i film, i telefilm, le fiction, le serie, i varietà, lo sport... e basta!».

Cosa le piacerebbe fare ancora?
«Una fiction d’azione tipo “Squadra antimafia”».

E poi c’è la radio.
«Il mio primo amore. Conduco “Programmone” su Rai Radio2, un contenitore dove metto dentro tutto il mio mondo surreale. Mi diverto tantissimo, è aperto agli amici che vanno e vengono. Arriverò a 25 mila ospiti, con l’opzione di averne altri 25 mila. Mica mi fermo».

È per questo che è arrivato fin qua?
«Non mi sono mai scoraggiato. La mia fortuna, fin da ragazzo, è stata non amare il calcio, né i motori: i miei unici interessi erano lo spettacolo e le ragazze. A 16 anni ero il direttore artistico di un locale, un dancing: mi piaceva e mi faceva pure rimorchiare le ragazze. Ma il mio debutto come scrittore, regista e attore fu a 19 anni, a scuola. Era il 2 marzo 1970».

Lo ricorda ancora?
«Certo. Lo spettacolo si chiamava “C’è, ci fu, ci sarà la scuola”. Tre atti, per raccontare, a modo mio, la scuola dei cavernicoli, quella attuale e quella del futuro. Ridevano tutti. Fu il primo successo dei “Cantatori pelosi figli della cantatrice calva”, questo era il nome della compagnia».

E poi?
«Divoravo “Alto gradimento”. Mi sono iscritto alla scuola di pomeriggio per non perdermi le puntate alla radio. Sapevo che Arbore mi poteva capire: cercai il suo numero, non quello di Baudo, né quello di Corrado. E così gli ho lasciato il messaggio in segreteria: “Buongiorno, sono un mio ammiratore, al mio tre stacco”. E mettevo giù».

Arbore l’ha richiamata?
«Sì. Ma non ero in casa, ero andato a comprare la colla. Rispose mia madre: “Ah lei è Arbore? E io sono Pippo Baudo” disse. Renzo per fortuna richiamò...».

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