Renzo Arbore: «Papà voleva che diventassi dentista»

Dall’esame con Boncompagni al rammarico per non aver sposato Mariangela Melato: lo showman è un fiume di ricordi e nuove idee. Che presto vedremo in tv

23 Luglio 2017 alle 10:00

Èil santo protettore di tutti i dj italiani. L’ambasciatore della nostra musica nel mondo. Il compagno di tante nottate d’insonnia con programmi indimenticabili come «Quelli della notte» e «Indietro tutta!» (che tornerà in tv a Natale). Devo dire che quando Renzo Arbore ci apre le porte della sua casa-museo stracolma di memorabilia e oggetti di plastica (lui si scusa: «È vuota, i pezzi più belli li ho prestati per una mostra»), un po’ di soggezione c’è. Ma subito si scioglie di fronte al garbo di un vero signore della musica. «Un’intervista esclusiva a Sorrisi, e come potrei dire di no? Mi avete aiutato fin dagli esordi» ci dice.

In che senso?
«Nel 1964 ho fatto il concorso alla Rai per un posto di programmatore musicale. Il mio vicino di banco era Gianni Boncompagni: ci siamo conosciuti lì. Ancora ricordo il foglio dell’esame, 30 domande di cultura musicale».

Erano difficili?
«Non per me, sapevo tutte le risposte. Mi ero preparato studiando “Tv Sorrisi e Canzoni”».

Ma allora abbiamo contribuito a fare la storia della musica italiana!
«Eccome. E potreste farlo ancora se vorrete unirvi al mio appello».

Di che cosa si tratta?
«È un po’ di tempo che sto facendo una testa così ai ministri dei Beni culturali e dell’Istruzione perché la canzone italiana d’autore venga insegnata nelle scuole. Noi non ci rendiamo conto del patrimonio che abbiamo. I francesi hanno un decimo del nostro repertorio. Gli americani hanno grandi musiche ma in quanto alle parole... I love you, you are my man, ma per favore! Si salva solo Bob Dylan. Invece Dalla, De Gregori, Battisti e Mogol sono dei poeti e come tali vanno insegnati. Ve lo dice uno che ha passato gli ultimi 26 anni a girare il mondo per suonare».

Ci consideri arruolati. In quanto ai concerti, non si è ancora stancato?
«Ci mancherebbe, saremo in tournée fino a settembre. Sono stato a New York, Mosca, Rio de Janeiro, Shanghai... che sarà mai girare un po’ l’Italia?».

Che tipo di musica propone nei suoi concerti?
«Le grandi canzoni napoletane da una parte, un po’ di jazz dall’altra. Mi piace fare il “crooner” (cantante confidenziale, ndr). E poi le sigle delle mie trasmissioni. Guai se mancano!».

Ci spiega perché un signore di Foggia porta nel mondo la canzone napoletana?
«Ancora questa storia... Lo so che c’è qualche “nazionalista partenopeo” che brontola. Ma a parte il fatto che mio padre aveva uno studio a Napoli e io ho vissuto molto anche lì, dovete capire che Napoli è un po’ la capitale culturale di tutto il Sud. È il nostro faro. E visto che i partenopei come Pino Daniele o Enzo Avitabile, giustamente, erano impegnati a cercare strade nuove, a promuovere il grande repertorio classico chi ci ha pensato? Io. Dovreste vedere cosa succede a Mosca o a Pechino quando attacchiamo “Reginella”, vengono giù i teatri».

Allora le faccio la stessa domanda per il jazz. Che c’entra un signore di Foggia...
«Ma io sono cresciuto ascoltando dalla culla lo swing che veniva da un locale di fronte a casa mia. Tutti balli nuovissimi che arrivavano dall’America. Poi, con la mia prima band suonavamo per i soldati americani di stanza a Napoli. Mi ero studiato tutto il repertorio americano classico. Guardi che io ho ricevuto la cittadinanza onoraria di New Orleans “per meriti jazzistici”!».

Mi perdoni, era solo curiosità. Suo padre aveva uno studio di...?
«Dentista. E voleva che facessi il dentista anch’io. Mi portava con lui al lavoro per invogliarmi a seguire la sua strada, ma al mio terzo svenimento si arrese. Disse solo: “Almeno prendi la laurea in Legge”. E io, che già dovevo farmi perdonare i jeans, lo accontentai».

I jeans?
«A Foggia sono stato il primo a portarli. Quando papà li vide, per poco non gli venne un infarto. “Togliti subito quei pantaloni da operaio” disse».

Se vedesse la camicia che porta oggi, sopra i jeans per giunta!
«È bella, no? Vivace. Io adoro la fantasia, è sempre stata il mio faro. Per questo ho la casa piena di oggetti e soprammobili. Quando vedo qualcosa di fantasioso e colorato non resisto, devo comprarlo. Cappelli, pupazzi, orologi, strumenti musicali, jukebox, ninnoli di ogni tipo. Così è nata la mia collezione. Prima o poi ci farò un museo. Ho visitato due musei della plastica nel Nord Europa e hanno un decimo dei pezzi che ho io».

Anche «Indietro tutta!», che a Natale tornerà in tv, era un inno alla fantasia.
«Precisiamo: quello che andrà in onda sarà un “meglio di”, le parti più belle del programma degli Anni 80 presentate da me e Nino Frassica. E certo, “Indietro tutta!” era la fantasia al potere, come tutta la mia tv. Io ho inventato 15 programmi e il mio motto è stato sempre: fai qualcosa di diverso dagli altri. Ma una volta era più facile».

Perché?
«Perché più che l’Auditel contava l’indice di gradimento. E giustamente. Se mandi in onda una rissa, fa certamente ascolto, ma la gente resta disgustata. Io ho fatto programmi da 10 milioni di spettatori, ma tutti ricordano “Quelli della notte” che ne faceva tre. Perché tutti lo amavano. Perciò lancio un altro appello: ridateci l’indice di gradimento».

Parliamo invece del suo, di gradimento. Visto che è il papà riconosciuto di tutti i disc jockey italiani, ci dica un po’: qual è la più bella canzone italiana di sempre?
«Scelgo “Ancora” di Eduardo De Crescenzo. Con quel crescendo struggente, emozionante».

La più bella canzone straniera?
«”Stardust” di Hoagy Carmichael, con quel tocco jazz».

La più bella trasmissione tv?
«“Lascia o raddoppia?” di Mike Bongiorno».

Il più bravo showman italiano? Escluso lei, sia chiaro.
«Fiorello. Con la sua “Edicola Fiore” ha dimostrato di saper improvvisare e tirare fuori il meglio dai suoi ospiti, esaltandoli».

Come se la passano oggi i suoi eredi dj?
«Male. In radio non possono più neanche scegliere i brani da trasmettere. Io potevo dire a Battisti: “Guarda Lucio, mi spiace ma del tuo disco preferisco il lato B, io trasmetto quello”. E lui: “Ma no, ma perché?”. Oggi c’è una scaletta da seguire. Resistono, eroici, i dj delle feste e dei raduni. Quelli sono musicisti veri».

Parliamo un po’ di sentimenti. Lei non si è mai sposato. Pentito o convinto?
«Ebbene lo ammetto: pentito. Avrei dovuto sposare Mariangela Melato, una donna e un’attrice straordinaria. Però sono orgoglioso di averla ricordata con Fabrizio Corallo in uno speciale in tre puntate andato in onda su Rai Storia intitolato “Mariangela!”. E una quarta puntata la stiamo preparando per una delle tre reti principali della Rai».

Mi tolga solo due ultime curiosità. La prima: perché ha scelto proprio il clarinetto?
«Perché è uno strumento gentile, non prepotente, si insinua con eleganza nella melodia e accompagna gli altri con garbo. E poi è di ebano, un legno nobile, mica di metallo come gli altri strumenti a fiato».

Chiaro. La seconda: che ci faceva nel 1971 nel cast di «Per una bara piena di dollari», spaghetti-western onestamente atroce?
«Ah, sperimentavo! In quel film facevo lo sceriffo, ma Klaus Kinski mi uccideva subito. Per fortuna. Io non sono mai stato un grande attore e sa perché? Perché improvvisavo anche sul set. Io improvviso sempre, è tutta la vita che improvviso. L’ho imparato dal jazz». 

Le date del tour

Ecco le prossime tappe del tour di Renzo Arbore e della sua Orchestra Italiana:

22 luglio Sora (FR)
Campo sportivo G. Panico

24 luglio Roma
Auditorium Parco della musica

9 agosto francavilla (CH)
Piazza Sirena

17 agosto sanremo (IM)
Teatro Ariston

19 agosto forte dei marmi (LU)
Villa Bertelli

20 agosto bolgheri festival Marina di Castagneto Carducci (LI)

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