Justin Bieber agli I-Days di Monza: il racconto del concerto

Il ritorno dell'artista canadese in Italia il 18 giugno 2017 nell'ultima giornata di questo (bel) Festival

19 Giugno 2017 alle 02:34

Justin Bieber, devoto apostolo del «non mi interessa», con questo modo di muoversi nel business della musica ha ottenuto molte cose. Ha traghettato fino a oggi i suoi fan storici dall'età pre-adolescenziale, ha avvicinato moltissimi maschi e ha trasformato il suo nome in un "marchio" caldo e di tendenza. Così di tendenza che il suo merchandising non è più una roba da appassionati, ma uno status-symbol.

Abbiamo partecipato alla giornata più pop degli I-Days di Monza, festival estivo con un calendario bellissimo, immerso in un contesto da favola e con un numero di partecipanti impressionante: vengono non solo da ogni parte di Italia, ma da tantissime zone dell'Europa, inserendolo così nella rosa degli eventi musicali nostrani di maggior respiro internazionale. In una giornata nella quale si sono susseguiti una stupenda Alma, dei clamorosi Bastille e un divertentissimo Martin Garrix, è arrivato il turno di Bieber.

Il suo ultimo album che è anche quello di questo tour, «Purpose», sta (a suo modo) facendo la storia: la veste musicale proposta ha ispirato tutto il pop dell'ultimo anno e mezzo, anche in Italia. È un album considerato mediocre dalla critica che però ha avuto una potenza di fuoco devastante. È un progetto che si attesta intorno alle 4 milioni di copie vendute in tutto il globo con singoli di traino che hanno sempre fatto centro. Insomma, un successo vero che ha rinfrescato una carriera in ascesa che si è scontrata malamente con alcune non trascurabili difficoltà nella sua vita personale.

Adesso possiamo passare direttamente alle conclusioni. E il concerto? Potremmo non parlarne. Il motivo è semplice ed era già ampiamente noto perché scritto e sottolineato da tutta la stampa internazionale: Justin Bieber non canta. O almeno, se lo fa canta pochissimo. Lo show di fatto non si basa quindi sull'esecuzione vocale dell'artista, ma sul livello altissimo del ballo, sui fuochi d'artificio e naturalmente sulle hit che in un contesto così affascinante, diventano un collante sociale stupendo.

Quindi questo «Purpose Tour» è stato più che altro un raduno dei fan che si riconoscono nella sua musica: un po' matti e con tanta voglia di divertirsi. È una platea vasta che copre più o meno tre generazioni di adolescenti e bambini (e conquista anche qualche genitore).Ma non è più un artista per "teenager", diventando per sua fortuna molto trasversale.

A chi era lì non interessava un granché che non cantasse. È chiaro che nel 2017 il canto pre-registrato si riconosce dopo un secondo e questo in un contesto così grande indeboliva il coinvolgimento del pubblico, che guardava gli schermi e il palco fermi, come quando si guarda un dvd.

Il vero problema, questo lo dicevano molte ragazze mentre uscivamo dall'evento, non è il fatto che Justin non si esibisca usando la voce in diretta, che comunque spuntava spesso nelle parti rappate e tra un brano e l'altro, ma il fatto che nei brani acustici, tre, ha dato invece prova di grande talento. Se sei davvero capace, perché non lo fai? Lì, in quel momento acustico, ha mostrato quel mix tra dolcezza, passione per la musica e un dolore malcelato che può conquistare chiunque.

A dare corpo al concerto ci hanno pensato i musicisti (tra l'altro molto apprezzati dal pubblico) cornice piacevole di questa strana serata che ci ha riportati un po' ai tempi in cui gli strumenti tecnici impedivano di dare una buona resa live spostando tutto e tutti verso il playback. Se oggi il canto pop "non dal vivo" viene celato talmente tanto da non accorgersene, Bieber ci ha riportati a quando eravamo tutti molto meno esigenti e lamentosi, a quando non si faceva nulla, ma proprio nulla, per illuderci che tutto fosse vero.

Alla fine a quasi tutti interessava vedere l'artista, vederlo muoversi sul palco con disinvoltura e poter ricantare a squarciagola le sue hit. Fine.

Fa sorridere però: l'artista più cool del pianeta ci ha accompagnati verso il Festivalbar. Di questo concerto non ricorderemo molto, nemmeno quando ha urlato a caso sul palco «Pizza! Tortellini! Spaghetti!», ma una sensazione non la dimenticherò mai. In alcune cose che ha detto sul palco, nel modo in cui si muoveva e nelle parole spese per la Festa del Papà. Ecco: lì si capisce che non è molto felice.

Pensate cosa accadrebbe se quelle emozioni e quel disagio, un giorno, riuscisse a cantarlo veramente.

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