Ciao Gigi. Il ricordo di Proietti, scomparso il 2 novembre 2020

Diceva: «Chi non sa ridere mi insospettisce». E oggi forse lo “insospettirebbe” tutta l’Italia, che piange un artista straordinario e un maestro generoso, capace di unire la grande arte e l’anima popolare

Gigi Proietti ha debuttato nel 1955 a 14 anni come comparsa nel film «Il nostro campione»
12 Novembre 2020 alle 08:11

Il cuore di Gigi Proietti non ce l’ha fatta. Ha smesso di battere nella clinica romana Villa Margherita alle 5.30 di lunedì 2 novembre. Il giorno stesso del suo 80° compleanno. E pare di vederlo sorridere sornione per questo “scherzo”. Una coincidenza che riesce a pochi (a Shakespeare, per esempio). Come a pochi, pochissimi, è riuscita la magia di riempire come lui teatri e cinema, di conquistare i telespettatori, di strappare risate ed emozioni in 55 anni di carriera.

Attore, doppiatore, cabarettista, comico, cantante, ballerino, showman, conduttore, regista, direttore artistico di teatri, insegnante... la professionalità, il talento e la versatilità di Gigi sono impossibili da imbrigliare nelle definizioni. Era il genio della lampada di Aladino a cui aveva dato la voce nel capolavoro Disney; era Er Cavaliere nero, protagonista di una delle sue storie più divertenti; era Mandrake, l’irresistibile scommettitore di “Febbre da cavallo”; era l’adorato maresciallo Rocca, antesignano dei carabinieri in tv; era Babbo Natale, nel suo ultimo film che ancora deve uscire, accanto a Marco Giallini; era l’insuperabile raccontatore di barzellette; era il maestro affettuoso dei suoi tanti allievi del laboratorio di esercitazioni sceniche, allievi che lui chiamava “còre”, pezzi di cuore.

Quel cuore malandato che già da anni era sorvegliato speciale. E che però non gli aveva tolto il proverbiale gusto per la battuta: «Come vado? Je la faccio?» aveva chiesto al medico mentre faceva la sua ultima Tac. Purtroppo no. Gigi non ce l’ha fatta. E se n’è andato, avendo accanto la sua adorata famiglia tutta al femminile: Sagitta, sua compagna di una vita, e le figlie Susanna e Carlotta. Gigi e Sagitta si erano conosciuti nel 1962: lui che cantava la sera alle piscine del Foro Italico e lei, hostess svedese innamorata di Roma, che accompagnava i turisti e dopo cena li portava lì ad ascoltare della buona musica. Non si sono mai sposati: «Non ci teniamo al matrimonio» diceva lui «il traguardo più bello è quello di costruire una famiglia unita e siamo riusciti a realizzarlo».

Dal loro amore sono nate Susanna e Carlotta, che lavorano entrambe nel mondo dello spettacolo: Susanna come costumista e scenografa, Carlotta come attrice e cantante. Ed è proprio lei ad aver ringraziato con un tweet per i tantissimi messaggi di affetto che si sono riversati sui social: «Questo lutto è di tutti. Papà ha vissuto per il suo pubblico e il vostro affetto lo dimostra». Un affetto non solo “virtuale”. A Roma, dove Gigi è nato e cresciuto tra la centralissima via Giulia e la periferia del Tufello, campeggia la sua immagine enorme, proiettata sulla facciata del Campidoglio e pure sul Colosseo.

Un amore incontenibile, quello tra Gigi Proietti e la sua Roma. Il muro esterno della clinica nella quale si è spento è ricoperto di fiori e biglietti, gli autobus girano con il numero 18 18 18 18 acceso, a ricordare uno dei suoi più celebri sketch (vedi nelle pagine seguenti). Il Globe Theatre, il teatro shakespeariano di cui era direttore artistico da anni, è stato intitolato proprio a lui. La sindaca Raggi ha decretato il lutto cittadino per il giorno dei suoi funerali, lo scorso 5 novembre, nella Chiesa degli artisti di Piazza del Popolo. Le disposizioni anti Covid hanno imbrigliato tutto questo amore, che è rimasto chiuso nelle case, davanti ai televisori, a seguire la diretta di Raiuno. Ma lungo le strade un applauso interminabile ha accompagnato il passaggio del feretro. La sua gente non lo vuole lasciare andare via. «Ora Roma ha un colle in meno» ha commentato Walter Veltroni, ex sindaco della città.

Come si fa a raccontare una carriera come quella di Proietti? Dopo il liceo si era iscritto a Giurisprudenza perché il papà “impiegatuccio”, come lo aveva definito lui, e la mamma casalinga sognavano il posto fisso. Per mantenersi suonava nei night con un gruppo di amici, ma la svolta arriva nel 1970 quando Garinei e Giovannini lo scelgono per la commedia musicale “Alleluja brava gente”: doveva sostituire Domenico Modugno, che se ne era andato dopo aver litigato con Renato Rascel. E da lì tutto è cominciato. “A me gli occhi, please” (1976), lo spettacolo che ripropose in migliaia di repliche negli anni, lo consacrò tra i grandi del teatro. Quando recentemente gli veniva chiesto «Perché non lo rifai?», lui rispondeva scherzando: «Piuttosto dovrei fare “A me gli occhiali, please”».

Al cinema i suoi successi non si contano. Aveva cominciato come doppiatore di Gatto Silvestro (con Loretta Goggi che faceva Titti), poi Robert De Niro, Richard Burton, Sylvester Stallone, Marlon Brando. Da attore, il personaggio di Mandrake in “Febbre da cavallo” (1976) ebbe così tanto successo che lo ripropose nel sequel “Febbre da cavallo - La mandrakata” nel 2002.

E poi il pubblico televisivo è stato conquistato dal personaggio del maresciallo Rocca. Tra i messaggi dopo la sua morte c’è anche quello dell’Arma dei Carabinieri: «Vogliamo continuare a ricordarti così, col volto del maresciallo Rocca, che hai interpretato con umanità, passione e la giusta dose di ironia». Tra le sue frasi più citate nei messaggi di saluto c’era questa: «Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride mi insospettisce». Ed è quella che lo descriveva forse meglio di altre. Gigi aveva un talento insuperabile nel far nascere il sorriso. E allora sarebbe bello chiudere con l’immagine di Gigi che, nella sua celeberrima parodia degli chansonnier francesi, sfodera il suo sguardo “piacionico e acchiappesco”, come diceva lui, e dopo un momento di sapiente silenzio esordisce con un: «Nun me rompe er ca...». Ciao Gigi. E grazie.

Da Salemme ad Arbore, i ricordi di chi lo conosceva (e ci andava a cena)

LINO GUANCIALE
«Ho avuto la fortuna di esordire con lui 17 anni fa, dopo il mio diploma all’Accademia nazionale di arte drammatica. Era il suo “Romeo e Giulietta”, lo spettacolo che inaugurò il Globe Theatre. L’insegnamento più bello lo diede durante una prova dello spettacolo. Stava andando benissimo e un mio collega sull’onda dell’entusiasmo disse: “Bene, in scena sarà una passeggiata”. Gigi gli rispose: “E no! Al palcoscenico non gli devi mai dare del tu! Sul palco bisogna salire sempre con un po’ di paura, altrimenti finirai per comportarti da arrogante. E invece ci vuole umiltà per essere liberi in scena”».

RENZO ARBORE
«Tra me e Gigi c’era una simpatia reciproca dovuta al fatto che venivamo tutti e due dal mondo delle orchestrine nei night club. Nel mio film “FF.SS.” ha fatto un cameo. In una scena a tavola doveva imbastire una conversazione parlando un grammelot meridionale: una lingua incomprensibile. Una cosa che richiedeva grande abilità. A un certo punto mi siedo a tavola anch’io ma lui era così bravo che mi faceva morire dal ridere. Non so più quanti ciak abbiamo fatto. Alla fine, nella scena definitiva si vede che mi metto la mano davanti al viso, ma si capisce che sto ridendo alle battute di Gigi. Peraltro incomprensibili...».

VINCENZO SALEMME
«Era il 1978, eravamo al Teatro Tenda a Roma in occasione di una serata per il compleanno di Eduardo De Filippo. Lui invitò il gotha del teatro e del cinema, c’erano Gassman, Mastroianni, Scaccia, la Vitti. Ognuno recitava qualcosa di Eduardo. Gigi sale sul palco, inizia a recitare la poesia “E allora bevo”. Io ero in quel momento dietro le quinte accanto a Eduardo e lui disse, ascoltando Gigi: “Marò, chist’ guaglione parla napoletano meglio ‘e me...”».

TULLIO SOLENGHI
«La cosa più divertente erano le nostre “telefonate - la sai l’ultima?”. Lui era un cultore appassionato di barzellette e io non sono da meno. La telefonata andava così, senza convenevoli di rito tipo “Ciao, come stai?“. Driiin. Io: “Pronto?” Lui: “Ci sono un americano, un tedesco, un francese e un italiano su un aereo...”. Raccontava la barzelletta. Finiva. Risata. E metteva giù. La volta successiva toccava a me chiamarlo: Driiin! Lui: “Sì?”. Io: “C’è un carabiniere che si perde e viene fermato...”. Racconto, risata e fine telefonata. Lui mi chiamava “er genovese” e mi diceva: “Tu c’hai le barzellette nordiche, che me scompisciano a volte più di quelle romane!”».

SERGIO ASSISI
«L’ho conosciuto sul set di “Una pallottola nel cuore”. Un giorno in una pausa gli andai vicino e senza dire niente gli raccontai una barzelletta. Rise e me ne raccontò subito un’altra lui. Poi riprendemmo a girare. Era nato un gioco e da allora in ogni pausa c’era una specie di gara del buonumore. Naturalmente vinceva sempre lui!».

GABRIELE CIRILLI
«Ho frequentato il suo laboratorio dal 1988 al ‘90. Ricordo le cene dopo gli spettacoli. Una volta a Trieste a furia di risate, racconti, canzoni, si erano fatte le 5.30 di mattina. Il proprietario ci diede la chiave del ristorante: “Io vado, chiudete voi per favore!”. Quando Gigi prendeva la chitarra non si fermava. Lo sketch di “Nun me rompe er ca...” è nato così, a tavola dopo cena. Ogni volta in teatro prima di andare in scena diceva: “‘Ndo annamo a magna’ stasera?”. Il consiglio più prezioso? “Ascolta il pubblico, prima di iniziare uno spettacolo. Mettiti dietro al sipario ancora chiuso e ascolta il chiacchiericcio, il brusìo: da lì capisci che tipo di pubblico avrai davanti quando sarai in scena”».

VERONICA PIVETTI
«Con lui ho fatto “Il maresciallo Rocca”. Quando avevo 10 anni ero con mia mamma, che adorava Proietti, davanti alla tv a guardarlo. Ricordo questo bel signore con i pantaloni neri e la camicia larga bianca... poi la vita ti fa diventare sua moglie in una serie tv! Nelle pause, seduti sui gradini della roulotte con il cestino del pranzo in mano, raccontava le barzellette, specialità di cui era campione mondiale. Ce n’era una in particolare, quella del gelato al carciofo, che mi faceva impazzire. Gliela chiedevo in continuazione. Lui paziente la raccontava di nuovo. E ogni volta ridevamo insieme».

Eletto all’unanimità il re delle barzellette

Sul web si trovano decine di storielle di Proietti. Una più esilarante dell’altra. Scritte non hanno certo la comicità che veniva esaltata dalla sua interpretazione, ma ci proviamo. Per ricordarlo con quel sorriso che lui ci ha sempre regalato.

Il cavaliere bianco e il cavaliere nero
Un maestro chiede ai suoi allievi di raccontare una storia con una morale. Si alza uno e dice: «Ve racconto la storia der Cavaliere bianco e der Cavaliere nero. Ci sono il Cavaliere bianco e il Cavaliere nero che si sfidano a duello. Il Cavaliere nero ammazza il Cavaliere bianco. Il Cavaliere bianco ha tre figli, che sfidano a duello il Cavaliere nero. Il Cavaliere nero ammazza tutti e tre i figli. Questi avevano tre figli per uno, che sfidano il Cavaliere nero. Il Cavaliere nero li ammazza tutti e nove. Questi avevano tre figli per uno, che sfidano il Cavaliere nero. Il Cavaliere nero li ammazza tutti e 27...». Il maestro: «Basta, dimmi la morale». «La morale è che ar Cavaliere nero nun je devi rompe er ca...!».

Allo stadio
Un signore arriva allo stadio e chiede: «È libero quel posto?». «Sì sì, si accomodi» risponde il signore accanto, piangendo. «Scusi, non volevo. Che è successo? Perché piange?». E quello risponde: «È libero adesso, ma venivo sempre con mia moglie allo stadio, avevamo l’abbonamento, e quello era il suo posto. Ora è libero perché lei non c’è più. Che ricordi: quando la Roma segnava ci abbracciavamo, quando prendeva un gol eravamo tristi... ma ora lei non c’è più e io sono solo». «Ma non può venire con un amico o un suo parente?». «Macché, stanno tutti al funerale...».

La moglie sorda
Un tipo va dall’otorino e dice: «Dottore, mia moglie sta diventando sorda, come la curo?». E il medico: «Me la mandi, la visito e le do la terapia». «Ma no, non vorrei dirglielo, non vorrei farla dispiacere, la vorrei curare senza che lei se ne accorga...». «Va bene» dice il medico, «allora facciamo così. Lei vada a casa e le dica una frase. Se sua moglie non la sente, si avvicini e la ripeta con lo stesso tono di voce. Se non sente, si avvicini ancora, poi mi dice a quale distanza si è dovuto avvicinare per farsi sentire, così capisco la gravità». Lui torna a casa e dal grande salone chiede: «Cara, che hai preparato per cena stasera?». Niente. Si avvicina un paio di metri: «Cara, che hai preparato stasera per cena?». Niente. Si avvicina ancora. «Cara, che hai preparato stasera per cena?». Niente. Arriva sulla porta della cucina. «Cara, che hai preparato per cena stasera?». Lei si volta e urla: «Er pollo co’ i peperoni. So’ quattro volte che te lo dico! Devi anna’ dall’otorino!».

Il nome dell'amore
Due amici a cena. Uno dice all’altro: «Che bella cena eh? Adesso mia moglie ci prepara il caffè... Amore ci prepari un bel caffè?». E la moglie: «Certo amore, ve lo preparo». E lui: «Grazie amore, ci porteresti anche un dolcetto?». «Certo amore, ve lo porto». E lui: «Amore, e un bell’ammazza caffè?». «Eccolo, arriva». L’amico gli dice: «Accipicchia, da quanto siete sposati?». Lui: «Da 40 anni». E l’amico: «E ancora la chiami amore?». «È che me so’ scordato come se chiama».

18 18 18 18
Un tizio si sveglia la mattina e ripete in continuazione: «18 18 18 18...». Si prepara e «18 18 18...». Si veste e: «18 18 18 18...». Esce di casa: «18 18 18 18...». Sull’autobus: «18 18 18 18...». Scende dall’autobus: «18 18 18 18...». Un signore lo ferma e gli chiede: «Scusi ma perché ripete sempre 18 18 18 18?». E lui: «Eccone n’altro che ‘n se fa’ i cavoli suoi! 19 19 19 19...».

Una curiosità: Gigi è nato e scomparso il 2/11. Se si fa 2 diviso 11, il risultato è 0,18181818...

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