Raoul Bova ci apre le porte della sua casa-famiglia

«Volevo fare qualcosa per chi è in difficoltà» dice l’attore. E spiega: «Tutto ciò che stiamo realizzando qui si ispira al messaggio di papa Francesco»

Raoul Bova nella casa-famiglia «Associazione volontari Capirano Ultimo»  Credit: © Fabrizio De Blasio / Photomovie
9 Agosto 2016 alle 15:10

Tutto è cominciato, racconta Raoul Bova, nel 2002, quando ha interpretato il Santo di Assisi nella fiction «Francesco». ‹‹Diciamo che è uscito fuori il francescano che è in me›› scherza con il sorriso negli occhi.

Siamo nella casa-famiglia «Associazione volontari Capitano Ultimo», una porzione della Tenuta della Mistica a Roma, sulla via Prenestina. Raoul ci ha aperto le porte di quello che, non ce ne vogliano i suoi fan, è sicuramente il suo «prodotto» più emozionante. Perché tutto quello che vedete in questo servizio, e anche molto altro, lo hanno realizzato lui e il suo grande amico Ultimo, il mitico capitano (oggi colonnello) che tutti ricordiamo per avere messo le manette al boss della mafia Totò Riina. E che proprio Raoul (vedi box a destra) ha reso celebre interpretandolo in numerose fiction.
‹‹Io e Sergio (il vero nome di Ultimo, ndr) ci siamo conosciuti per lavoro e da lì sono nate prima l’amicizia e poi l’associazione che gestisce tutto questo›› racconta Bova, indicando con lo sguardo i sei ettari affidati alla loro gestione.

«Tutto questo» significa una casa famiglia per otto ragazzi intorno alla quale avete creato un piccolo mondo che serve a finanziarla, ma anche a dare una speranza a tante altre persone. Come è nata l’idea?
«Sergio, il capitano Ultimo, dopo l’arresto di Riina aveva avuto un momento difficile e io, come dicevo, interpretando San Francesco mi ero reso conto che la fede e l’amore per Dio non mi bastavano più. Un giorno ci siamo guardati e ci siamo chiesti: “Che facciamo?”».

E cosa vi siete risposti?
«Che volevamo fare qualcosa per gli altri, per chi è meno fortunato. Il primo passo è stato quello di incontrare il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchù Tum e lavorare con lei per portare, grazie ai pannelli solari, la corrente elettrica nel suo villaggio natale, Chimel, in Guatemala».

Come siete arrivati dal Guatemala alla Tenuta della Mistica?
«Abbiamo capito che bisognava fare qualcosa in Italia in cui potersi impegnare in prima persona. Così sono nate la casa-famiglia e, a seguire, tutte le attività che la circondano: il forno, il ristorante, la pizzeria, l’orto, la falconeria con i rapaci, la “tisaneria” per gli oli essenziali e i laboratori in cui realizziamo oggetti in pelle, legno e tessuto. E, naturalmente, la nostra chiesa dei Poveri dove, ogni domenica, celebriamo la messa insieme con tutti coloro che vogliono partecipare».

Chi lavora con voi?
«Tante persone a cui cerchiamo di dare una speranza, una nuova possibilità. Come Mario, il nostro fornaio, che aveva perso il lavoro e la casa, o Mamadou che è arrivato dal Mali in cerca di una nuova vita. Abbiamo migranti ospiti nei centri di accoglienza che svolgono lavoro diurno, ma anche minori dell’area penale esterna e giovani fino a 21 anni che scontano una pena alternativa con lavori socialmente utili. E poi, naturalmente, i volontari».

Migranti, ragazzi con problemi o che hanno commesso un errore, disoccupati: oltre allo spirito del Santo di Assisi sembra esserci anche quello di papa Francesco che ha particolarmente a cuore proprio queste persone.
«Per noi papa Francesco è un faro. Tutto quello che noi facciamo è anche un modo per dirgli: “Noi siamo con te”. Non ho ancora avuto modo di incontrarlo, ma non nascondo che mi farebbe piacere fargli vedere il nostro lavoro e, magari, pranzare con lui alla nostra mensa che ogni giorno serve il pasto ai nostri lavoratori, ma anche a tutti coloro che ne hanno bisogno e ci chiedono ospitalità».

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