04 Luglio 2019 | 11:12 di Alberto Anile
Carlo Vanzina se n’è andato l’8 luglio 2018. In occasione dell’anniversario, Iris manda in onda nove pellicole del regista romano, il 7, l’8 e il 9 luglio, a partire dalle 19. Ecco i titoli.
Domenica 7: “Selvaggi” (1995), “Vacanze in America” (1984) e “Tre colonne in cronaca” (1990).
Lunedì 8: “Il ritorno del Monnezza” (2005), “Un’estate ai Caraibi” (2009), lo speciale di interviste “L’Italia di Carlo Vanzina” e “South Kensington” (2001).
Martedì 9: “Sapore di te” (2014), “Buona giornata” (2012) e “I miei primi 40 anni” (1987).

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Come ha cominciato a recitare per Carlo Vanzina?
«Lavoravo con i “I Gatti di Vicolo Miracoli”, facevo il tecnico delle luci con loro al Derby di Milano. A un certo punto ho capito che il cinema si faceva a Roma (ci voleva poco, non è che sono un fenomeno) e allora con alcuni soldi che avevo messo via ho affittato un teatro in piazza Navona per fare un mio spettacolo e farmi conoscere. Sono venuti Benigni, Villaggio, Pozzetto, Arbore, tutta gente che più o meno conoscevo già. Ma è anche venuta Monica Vitti con Steno, che era il papà di Carlo Vanzina, e da lì è nato il primo approccio. È nata così: i fratelli Vanzina hanno visto le cose che facevo e Carlo mi ha proposto di fare il primo film che era “Arrivano i Gatti”».
Il personaggio del terrunciello, poi esploso in “Eccezzziunale... veramente” era già nato.
«Come tutti i grandi registi della commedia, anche i fratelli Vanzina si avvalevano di personaggi che già esistevano. Io portavo avanti due personaggi nel mio spettacolo di cabaret, facevo una parte in pugliese e una in Italiano. Ovviamente quella del pugliese era più forte. Ma in “Arrivano i Gatti” facevo un piccolo ruolo».
Il personaggio torna poi in “Una vacanza bestiale”…
«Che era il secondo film dei “Gatti”. Carlo mi propose di fare il personaggio in italiano, anziché quello pugliese che intanto stava esplodendo nei teatri. Lo faccio comunque e l’ultimo giorno mi va via la voce, mi si attaccano le corde vocali. Dopo tre settimane, mi chiama Carlo: “Senti, avevi ragione, è troppo forte quel personaggio, bisogna che lo doppiamo in pugliese”. Dico con un filo di voce: “Carlo, se lo volete, bisogna che aspettiate che mi operi”. Ma loro non potevano aspettare, e nemmeno rinunciarci. E cosa hanno deciso? Di farlo doppiare a Teo Teocoli. Ma ovviamente, per quanto Teo sia bravo e ci conoscessimo bene, non era la stessa cosa».
Come racconterebbe Carlo?
«Come una persona unica. Non posso fermarmi su niente di serio con Carlo, sennò vado subito in grande difficoltà: Carlo era un signore, una persona elegante dentro, uno generoso, uno buono. Non riesco a immaginare di non lavorare più con lui, perché era veramente un’emozione positiva. Quando lavori con un amico, quando senti che c’è affinità, che c’è affetto...».

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Com’è nato il personaggio che lei ha interpretato in “Sapore di mare” e ”Vacanze di Natale”?
«Ogni volta che dovevamo cominciare un film, Carlo Vanzina e suo fratello Enrico mi raccontavano di un loro amico cui si erano ispirati per il mio ruolo. Io cercavo di farmi raccontare, di capire, e poi chiaramente ci mettevo del mio. Rappresentavo il ragazzotto italiano degli Anni 80, quello che non era un adone però piaceva alle donne perché le faceva ridere, e che era anche un po’ uno stupidone. Il tipo che però nella sventura poi si rivelava positivo, alla fine era un buono, ecco».
Comicità ma anche un pizzico di malinconia.
«Carlo aveva una grande esperienza di commedia. Oltre a essere figlio del grande Steno, Carlo Vanzina aveva fatto da aiuto regista in molti film a Mario Monicelli, il maestro della commedia italiana. E questo suo essere anche un po’ figlio di Monicelli non precludeva ai suoi attori, anche in un film smaccatamente comico, di avere un momento di umanità che li riscattava da quel sembrare superficiale. Questa cosa accadde anche a me quando girammo la scena finale di ”Sapore di mare”, che poi è rimasta un po’, mi permetto di dire, nella storia. Prima di girare mi disse: “Adesso tu devi fare uno sguardo in cui ti penti, forse, di non aver riconosciuto la Suma e quindi del tuo essere così superficiale. Per un momento fai vedere che sei un uomo”. E girammo una scena che, devo dire, mi venne bene…».
Ha un aneddoto di set che descrive Carlo Vanzina?
«Durante ”Vacanze in America” eravamo a Las Vegas, dove grazie al nome di De Sica, che allora in America tutti osannavano per il padre Vittorio, ci avevano dato la suite che si vede nel film “Rain Man” con Dustin Hoffman, quella con la piscina in mezzo. Successe che un giovane attore, che aveva una piccola parte, si sentì male e dovette tornare in Italia, e ci trovammo un po’ spiazzati. Carlo mi disse: “Allora, qua stanotte dobbiamo scrivere una scena”. E mi ricordo che in questa meravigliosa suite, anche aiutati dall’atmosfera, abbiamo scritto insieme una delle ultime scene del film, quella in cui io incontro la escort. È stato emozionante, è stato divertente ed è stato anche un modo per diventare ancora più vicini, più amici in quel momento di difficoltà. Spesso gli rompevo le scatole, gli dicevo: ”Ma non me lo fai un primo piano, Carlo?”. Lui mi guardava e mi diceva: “Jerry, nooo”. Ogni tanto, però, mi accontentava perché lo stressavo. Anche se magari poi non lo metteva nel film...».