Enrico Lucherini: «C’era una volta a Cinecittà…»

Lo storico press agent del cinema italiano racconta la sua straordinaria carriera fra star e scandali

Enrico Lucherini. Ha curato la promozione di capolavori come “La dolce vita”, ”Signore & signori” e “Il Gattopardo”
1 Ottobre 2020 alle 09:07

Ti consegna ogni parola assicurandoti che «questa non l’ho mai detta a nessuno». Parla dei grandi del cinema chiamandoli per nome: Sophia, Federico, Luchino, Vittorio… Ha inventato scandali, convinto Rossellini a strappare una parrucca infuocata dalla testa di Sandra Milo, fatto salvare dai pompieri Mariangela Melato, rischiare l’affogamento ad Agostina Belli, cadere Lea Massari da un camion. Tutto purché si parlasse dei film che promuoveva e tutto rigorosamente falso, naturalmente. Perché Enrico Lucherini, 88 anni gioiosamente portati, è da oltre 60 anni il più importante press agent del cinema italiano.

Penserà che i giornalisti siano dei creduloni...
«Ma no, io producevo le “prove”. Avevo sempre le foto a testimoniare quello che raccontavo. Per dire: Mariangela Melato fotografata col teleobiettivo sembrava davvero in fiamme. Poi lei doveva svenire, i Vigili del fuoco la portavano via come se fosse morta e io davo la foto ai giornali. M’inventavo le cose d’accordo con attori e registi. Il fuoco e l’acqua mi hanno aiutato tantissimo. Però facevo anche cose innocenti, come la storia che i fiori di “Il Gattopardo” arrivavano ogni mattina da Sanremo. Macché! Li prendevamo dal fioraio dietro l’angolo».

Per lanciare quel film portò un ghepardo sulla spiaggia di Cannes.
«Fu pazzesco. Volevo a tutti i costi la Cardinale col ghepardo al guinzaglio. Di solito andavo a Cannes tre o quattro giorni prima e dal treno vidi che c’era un circo vicino alla città. Così, a caro prezzo, affittai il ghepardo e un domatore che doveva accompagnarlo. Se guarda bene le foto si vede la catenella e la mano del domatore. Lei era terrorizzata: “Claudia accarezzalo” le dicevo. Mi guardava come a dire: “Sei matto?”».

Dopo documentari, libri e mostre ora porta la sua storia a teatro.
«Sì, dal 6 novembre siamo nel teatro più elegante e carino di Roma: l’Off Off. Il titolo è “C’era questo, c’era quello”, ripreso da una mia vecchia trasmissione televisiva. Sul palco ci sarò io stesso a raccontarmi».

Ha curato 500 film. Tutti belli?
«Ho fatto di tutto. Compresi i film di Pierino, quelli con Edwige (Fenech, ndr) e anche dei film che dovevano essere belli e invece si sono rivelati brutti, massacrati dalla critica e dal pubblico. Ho fatto il mio lavoro. Poi se il film non piaceva che colpa ne avevo io?».

L’ultima diva italiana?
«Senza alcun dubbio Monica (Bellucci, ndr). Senza scordarci mai, però, che Sophia c’è ancora. Recentemente ha fatto un film bellissimo diretta dal figlio Edoardo Ponti (“La vita davanti a sé”, disponibile su Netflix dal 13 novembre, ndr)».

L’attore più esportabile?
«Favino è un bravissimo attore e può anche fare le cose comiche. E poi c’è Alessandro Borghi, che nel film su Stefano Cucchi è stato eccezionale. Mi piace anche Elio Germano, ma non è possibile che je facciano fa’ Leopardi, con la gobba... ma dai!».

Lei questo lavoro in Italia se lo è praticamente inventato.
«Quando ho cominciato io, fine Anni 50, gli uffici stampa non c’erano proprio. Cominciai promuovendo i lavori teatrali di Luchino Visconti e Giuseppe Patroni Griffi. Avevo velleità d’attore, ma dimostrai più talento nel gestire i rapporti con la stampa. Mio padre, un medico stimato, felice che smettessi di fare il teatrante mi regalò la casa dove vivo ancora oggi e che è stata, da sempre, il mio ufficio. Oggi, però la baracca la porta avanti il mio socio Gianluca Pignatelli. Bravissimo. Anzi, forse è diventato più bravo di me».

Andò subito bene?
«Il primo film “La notte brava” di Bolognini non fu difficile: l’aveva scritto Pasolini e le attrici erano quelle del momento, Antonella Lualdi, Anna Maria Ferrero, Elsa Martinelli. Erano ragazze bellissime ed ebbi l’idea di buttarle in una fontana vestite. Con quei vestiti bagnati appiccicati addosso erano molto sexy e le foto fecero scalpore».

C’era diffidenza verso di lei?
«Ammetto che Sophia (Loren, ndr) dapprima era scettica. Aveva lavorato in America dove c’erano 30 persone a curare un artista. Io ero da solo. Invece tra noi è nato un bel rapporto d’amicizia. Ha presente la foto della locandina del film “La ciociara”?».

Eccome!
«C’era questa foto bellissima di lei che tira il sasso al camion dei soldati, ma inizialmente Sophia non voleva che circolasse. Ne preferiva una in cui teneva in braccio un bambino. Le dissi: “Che te frega d’esser bella! Lo sanno tutti. Qui devi essere una donna stravolta, una madre. Accettò il consiglio e quella foto fece il giro del mondo».

Come si riconosce una diva?
«Si riconosce e basta. Quando Sophia entrava a un pranzo di gala calava il silenzio. Infatti lei voleva entrare sempre quando tutti erano già seduti: lì vedi come si muove una diva».

Però sbaglia anche Lucherini. Di Nicole Kidman, che ventenne girò “Un’australiana a Roma”, disse: «È una scopa secca. Non andrà lontano».
«E vabbè, mica era colpa mia se era un mostro: una secca-secca con dei capelli orribili! Infatti poi cambiò look e ci sono voluti altri due anni prima che emergesse con “Ore 10: calma piatta”».

Di Luca Argentero, invece, disse: «Il nuovo Mastroianni, diventerà una star».
«Fisicamente poteva essere. Bello, ma non bellissimo, molto simpatico nella vita come lo era Marcello. Purtroppo attori così nascono solo se ci sono i film giusti. Marcello ne ha fatti tanti prima di esplodere. E anche Sophia».

Lei cita una regola: «Se sei bella e non sei brava crolli. Se sei brava, spesso ti abbellisci pure». Per esempio?
«Sylva Koscina era bellissima e molto simpatica. Una notte in Via Veneto fu tamponata a bordo di un’auto. Accorsi subito, la vidi sul sedile posteriore che si lamentava e la rassicurai: “Tranquilla, chiamo un’ambulanza”. E lei: “Ma che sei scemo? Chiama i fotografi!”. Fu lei a farmi capire che dovevo allearmi con i fotografi, che in quegli anni non si chiamavano ancora paparazzi».

Mi scusi, ma noi parlavamo di bellezza e di bravura...
«Appunto. Sylva era bellissima, simpatica, però di certo grande attrice non lo è mai stata. Al contrario penso alla Capotondi, che a quarant’anni sembra un’eterna ragazzina. Le voglio un gran bene perché è una che s’impegna, una veramente seria. Ed è diventata pure bella».

Sostiene che è difficile diventare amico degli attori. Però di Vittorio Gassman è stato testimone di nozze.
«Lui veniva dal teatro, è diverso. Quelli del cinema hanno troppi isterismi e, adesso, una presunzione che non mi piace. Ero molto amico di Anna Maria Ferrero e uscendo con lei vedevo spesso Gassman (i due ebbero una relazione dal 1953 al 1960, ndr). Era un uomo di grande cultura, bellissimo. Avevamo entrambi casa a Cortina, facevamo lunghe passeggiate, gli telefonavo. C’era un bel rapporto».

Lei ne ha viste tante, che ne pensa del “Me Too”, il movimento contro molestie e violenze sulle donne?
«Il sofa del produttore è sempre esistito. La violenza, però, è un’altra cosa: non si può, come faceva Weinstein, invitare un’attrice a discutere nella propria camera d’albergo e presentarsi in vestaglia!».

Il cinema di oggi le piace?
«No. M’ha stufato. Da anni non vado più neppure al Festival di Venezia, dove all’Hotel Excelsior avevo sempre una camera riservata a mio nome, la 135. Ma li ha visti i film? Noiooosi! Sembrano certi film del dopoguerra! “Pinocchio” però mi è piaciuto. Questo di Matteo Garrone, naturalmente, non quello di Benigni».

Le è mai venuta voglia di smettere?
«È come faccio? L’ufficio sta nel mio pianerottolo, ci posso andare in pantofole. Difficile staccare».

Per finire mi racconta una lucherinata su Lucherini?
«Non voglio fare una serie su di me. Ho detto di no. Che fatica vedere me interpretato da un altro. E se non mi piaccio? E poi ci vorrebbero miliardi: come se fa’ a ricostruì la mia Roma, Via Veneto, quei set. Impossibile!».

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