“Everything everywhere all at once”, quello strano film che ha conquistato Hollywood

Ai premi Oscar ha trionfato un film che mescola fantascienza, commedia, azione e romanticismo. Non perdetelo!

23 Marzo 2023 alle 08:10

Un vortice di follia e di stravagante intelligenza ha travolto Hollywood. Il suo nome è “Everything everywhere all at once”, il film che il 12 marzo a Los Angeles ha trionfato alla 95a edizione degli Oscar ottenendo sette premi: Miglior film, regia e sceneggiatura (firmate da Daniel Kwan Daniel Scheinert, noti come “The Daniels”, ex registi di videoclip al loro secondo film), tre membri del cast (Michelle Yeoh e i due attori non protagonisti, Ke Huy Quan e Jamie Lee Curtis) e montaggio.

Eppure il film, che negli Usa è stato una rivelazione (ha incassato 73 milioni di dollari, cinque volte di più di quanto è costato, ed è stato acclamato da critica e appassionati), in Italia non è ancora stato scoperto dal grande pubblico: il giorno dopo la premiazione, non aveva ancora superato un milione di euro di incasso (circa 140 mila biglietti). Vi raccontiamo, quindi, la sua storia. E vi invitiamo a scoprirlo nelle sale: è un film davvero unico al mondo.

Di cosa parla?

Tranquilli, non vi riveleremo dettagli sulla trama. Vi basti sapere che la protagonista di “Everything everywhere all at once” (il titolo significa “Tutto ovunque contemporaneamente”) è Evelyn, una donna cinese di mezza età che gestisce una lavanderia a gettoni in una città americana. Per lei non è una giornata facile: è stata chiamata dal fisco per verificare alcune fatture, il marito Waymond ha preparato le carte del divorzio; il burbero padre è arrivato dalla Cina per il capodanno; e poi c’è la figlia Joy, con cui Eveyln ha un rapporto conflittuale.

In mezzo a tutto questo, scopre di essere destinata a battersi contro un’entità maligna che minaccia l’esistenza stessa dell’universo. E che ci sono molte, quasi infinite Evelyn, che vivono in altrettanti mondi paralleli...

Un mix di generi

Il film è un ottovolante che mescola fantascienza, azione (con combattimenti di arti marziali), un pizzico di horror (con un’antagonista da brividi chiamata Jobu Tupaki) e commedia surreale (in uno dei tanti mondi del “multiverso” le persone al posto delle dita hanno degli hot dog, salse comprese).

Ma non pensate a un film sciocco e sbarazzino: nella sua irrefrenabile bizzarria, “Everything everywhere all at once” è profondo e commovente. È la storia di una donna che cerca la propria identità dopo una vita di sacrifici, il racconto di una famiglia che affronta grandi sfide personali (in cui tutti ci possiamo riconoscere) e si spinge ad affrontare temi esistenziali.

Alcune rivincite

Ma Hollywood si è innamorata di questo film anche grazie al grande cuore del suo cast. Dalla malese Michelle Yeoh, che raccoglie i frutti di 40 anni di onorata carriera, al vietnamita Ke Huy Quan, ex bimbo prodigio di “Indiana Jones e il tempio maledetto” (commovente l’abbraccio con Harrison Ford sul palco) e “I Goonies”, che adesso sfoggia sui social i selfie con le star che incontra alle premiazioni. E poi Jamie Lee Curtis, irriconoscibile e strepitosa nei panni dell’ispettrice del fisco. L’Oscar l’ha dedicato a Janet Leigh e Tony Curtis, che non l’avevano mai ottenuto: «Mamma, papà, abbiamo vinto!».

E il miglior attore è Brendan Fraser

di Paolo Fiorelli
Se una sola statuetta, tra le principali, è sfuggita a “Everything everywhere all at once”, la ragione è lampante: la trasformazione di Brendan Fraser in “The Whale” ha convinto e commosso tutti. L’attore, celebre per i ruoli d’azione, si è reinventato in quello di un uomo di 270 chili che soffre di un disturbo alimentare che mette a rischio la sua stessa vita.

Mr. Fraser, come è diventato il gigantesco Charlie?
«I tecnici hanno letteralmente scannerizzato il mio corpo per creare una tuta prostetica su misura. Per il resto del trucco ci volevano fino a sei ore al giorno. Ma questo è stato solo metà del lavoro. Parlando con medici ed esperti, ho dovuto imparare a muovermi, parlare e respirare in maniera credibile. Perché l’enorme peso limita Charlie nei movimenti e gli rende faticoso ogni gesto».

Nella vita reale anche lei ha avuto grossi problemi fisici a schiena e ginocchio... Questo l’ha in qualche modo aiutata a impersonare il protagonista?
«Mi hanno ostacolato per molti anni: ho dovuto imparare a lavorare in maniera differente. Quindi sì. Però la cosa più bella del film, secondo me, è che dopo la sorpresa iniziale quasi ti dimentichi del corpo di Charlie. Non vedi più una persona obesa, ma un essere umano. Ti interessi della sua anima, del suo rapporto con la figlia, e certo della sua salute. Ma perché ormai gli vuoi bene, non perché ti stupisce».

Fino a oggi per il grande pubblico lei era soprattutto un eroe d’azione, quello di “La mummia”. Come ha accolto questo ruolo?
«Ero felice di poter cambiare e imparare. È quel che cerco nel mio lavoro. Mi sento fortunato».

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