Carlo Verdone corona il suo sogno nel film “Si vive una volta sola”

Girare questo film «È stato come coronare la mia seconda carriera. O meglio, il mio grande interesse privato, quello per la Medicina. Ma è successo quasi per caso» racconta l'attore

Carlo Verdone in una scena del film, di cui dice: «È una commedia dal tocco leggero, ma parla delle nostre paure più profonde»
27 Febbraio 2020 alle 09:40
Verdone, dica la verità. Ha girato “Si vive una volta sola” per realizzare il suo vecchio sogno di diventare medico. E che medico, addirittura il miglior chirurgo di Roma. Che cura persino il Papa... «È stato come coronare la mia seconda carriera. O meglio, il mio grande interesse privato, quello per la Medicina. Ma è successo quasi per caso. Giovanni Veronesi aveva questa idea di una équipe di medici tanto impeccabili nella vita professionale quanto incasinati in quella privata. E me l’ha regalata. Infatti firmiamo insieme la sceneggiatura». Comunque nei panni del medico è credibilissimo. Come si è documentato? «Ma io ho più amici tra i medici che tra i “normali”! Ho fatto leggere loro tutto il copione, non fosse mai dicessi castronerie proprio sulla mia grande passione. E devo dire, con un certo orgoglio, che non hanno corretto quasi nulla. Solo piccoli dettagli qua e là». E per le scene in sala operatoria? «Lì avevo di fronte un vero chirurgo che mi diceva: “No guardi, Verdone, il bisturi si tiene così, non come fa lei”. Io comunque non avrei mai fatto il chirurgo. Sono troppo impressionabile. Sarei stato invece un ottimo internista o un ottimo pediatra...». Nel film lei, Max Tortora e Anna Foglietta fate scherzi al povero Rocco Papaleo con un accanimento che sfiora il bullismo. O no? Qual è il limite di uno scherzo? «Non lo so, so solo di averlo superato molte volte. Ci sono scherzi di cui mi sono pentito e che non rifarei mai. Come quando feci credere ai miei genitori che un ladro era entrato in casa. Avevo 12 anni ma preparai tutto in modo molto professionale, rovesciando i mobili, diluendo il sugo di pomodoro con l’acqua per farlo sembrare davvero sangue... Mio padre mi inseguì per tutta la casa con la cinghia in mano. Mia madre aveva il cuore a 200 e si dovette prendere un betabloccante. Però anche Alberto Sordi non scherzava, con gli scherzi». In che senso? «L’ho incontrato la prima volta da bambino. “Fatti fare un autografo!” diceva mamma. Io non sapevo neanche chi fosse, guardavo solo John Wayne, ma andai. E questo signore grosso grosso mi disse: “No, perché sei di Mosca, non capisci l’italiano, non te lo faccio l’autografo!”. E io lì a spiegargli che ero “de Roma”. “No, sei russo, sei di Mosca, sei una spia russa!”. Allora sono scappato e Sordi, che si era pentito, mi ha rincorso gridando: “A bambino, scherzavo, vieni qui”. Ma non mi ha ripreso». I protagonisti del film sono bizzarri nella vita ma impeccabili sul lavoro. Possibile? Lei ne conosce di persone così? «Ma scherza? Sono la maggioranza! Si salva giusto un 20 per cento... Anche nel cinema: divi intoccabili sul palco e poi un sacco di casini economici, privati, sentimentali, di salute. Le persone che ammiriamo hanno un cassetto segreto che è meglio non aprire, pieno di cose non belle. A volte sono piccoli difetti, ma altre no...». E nel suo cassetto che c’è? «Ah no, io potrei vivere in una casa di vetro, non ho niente da nascondere, solo un po’ di nevrosi che mi tornerebbero utili per far ridere di più». Per esempio? «Dovreste vedermi quando, tutte le sante sere, mi rialzo dal letto per andare a controllare se il gas è chiuso. E lo avevo controllato un minuto prima di infilarmi sotto le coperte! Metti mai che mentre dormo esplode la casa...». Nel film se la prende anche con i balletti sexy in tv. «Sì, il protagonista ha una figlia che balla solo col didietro, va bene? Non sono bacchettone, ma su certe piccole emittenti si vedono cose deprimenti... Però ora con il “Me too” (il movimento femminista contro le molestie sessuali sulle donne, ndr) la sensibilità sta cambiando, c’è più rispetto». A proposito di rispetto, nel film c’è una battuta da applausi: «E basta con ’sto cinismo, hai rotto i...». È un appello a tutti noi? «Un po’ sì. Viviamo in un’epoca di grande cinismo ed egoismo, sembra quasi che essere altruisti sia una colpa! Però per i personaggi del film il cinismo è anche una via di fuga: stanno tutto il giorno in sala operatoria, e “apri e chiudi”, e “apri e chiudi”... Si devono pure sfogare. Alla fine però il film è una storia di amicizia, una grande amicizia». E il titolo? Perché l’ha scelto? «È un invito a cogliere le cose belle finché ci sono. Io non capisco quelli che rimandano le cose più importanti o che fanno progetti per un lontanissimo futuro... Certo, anch’io faccio progetti, ma poi la mia vita la vivo così. Giorno per giorno».
Seguici