Il primo piano di un pitbull che ringhia. È al guinzaglio. Pensiamo subito che gli stia accadendo qualcosa di brutto. E invece no. Perché nonostante le polemiche social di questi giorni, tutto si può dire sulla violenza in «Dogman», fuorché riguardi gli animali. Anzi, è proprio grazie agli amici a quattro zampe che ogni tanto si tira il fiato in questa storia sull’inesorabile malinconia del genere umano.
Dal micro al macro: Garrone allarga il campo e ci fa conoscere il suo protagonista. Marcello - un eccezionale e fisicamente perfetto Marcello Fonte - è un uomo buono, che adora lavorare al suo salone di toelettatura per cani e che ha il sogno di regalare alla figlia, con cui ha un rapporto speciale, una vacanza al mare.
Altro zoom out: il regista ci mostra il contesto in cui è calato questo uomo piccolo e mite. Siamo in una spettrale cittadina sul mare - fuori Roma, anche se Garrone non lo svela, come a dire che può accadere ovunque - dove di fianco al negozio Dogman di Marcello ci sono solo un Compro Oro, una trattoria e una sala giochi. Un luogo-non luogo che assomiglia volutamente a un villaggio western, in cui la violenza s’insinua attraverso il degrado, ma diventa insopportabile a causa della forza bruta e imprevedibile di Simoncino - Edoardo Pesce - un ex pugile tossico che terrorizza il quartiere e nei confronti del quale la sudditanza di Marcello è sia fisica che psichica.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2018 (Palma d'Oro a Marcello Fonte come miglior attore) e vincitore di ben otto Nastri d'Argento, «Dogman» è un ritratto cupo e straziante sull’esistenza umana, un film che parte da un fatto di cronaca per raccontare dilemmi universali sulle nostre scelte di vita.
La storia di cronaca da cui prende spunto «Dogman»
1988, Magliana. Pietro De Negri, detto er Canaro, è proprietario di un negozio di toelettatura per cani. Stufo di subire minacce e violenze dall’ex pugile malavitoso Giancarlo Ricci - la cui madre oggi sta provando a bloccare, con l’accusa di diffamazione, la distribuzione del film di Garrone - lo uccide, chiudendolo in una gabbia per cani e torturandolo a morte. O perlomeno dice così agli investigatori durante gli interrogatori. Le indagini, infatti, hanno dimostrato che parte del racconto di De Negri - soprattutto le torture, inflitte con tutta probabilità a omicidio già compiuto - sia stato pura immaginazione.
La storia di Marcello Fonte
Nonostante parta da un fatto di cronaca su cui Garrone ha lavorato per più di dieci anni, «Dogman» rimane la storia di un uomo e della sua irriducibile voglia di riscatto. La creazione di «Dogman» parte dall’immagine - effettivamente inserita nel film - di un gruppo di cani che osserva esplodere la bestialità umana. Anche un uomo mite come Marcello - sembra suggerirci Garrone - ha in sé un seme di violenza pronto a germogliare innescandone di nuova. Spesso alla ricerca di una soluzione inafferrabile o di un’illusoria redenzione agli occhi di affetti e amici persi lungo un cammino di scelte sbagliate.
I piccoli uomini di Matteo Garrone
Marcello Fonte è un uomo pieno di contraddizioni. Per questo s'inserisce a pieno titolo nell’umanità imperfetta di Matteo Garrone. È felice per la sua vita, ma è vessato. È onesto, ma anche un criminaluncolo che spaccia per arrotondare. Ama i suoi amici e la sua famiglia, ma poi li mette in secondo piano con l’idea di un privilegio che potrebbe arrivare da Simoncino. Marcello non è completamente buono, né integro. E il suo essere umano lo rende comprensibile al pubblico, anche se attraverso una storia estrema. Marcello non solo riesce sempre a fare la scelta sbagliata, ma spesso viene condotto da intenzioni poco nobili, oltre che inspiegabili. È un uomo che si fa gli sgambetti da solo, diventando più piccolo e insignificante a ogni decisione che prende. Matteo Garrone racconta il destino tragico di un povero cristo - che poi siamo tutti noi - in modo ineccepibile. Verso la fine, distrutti psicologicamente alla stregua di Marcello, dalla sala vorremmo gridare «Basta ti prego, abbi pietà di lui». Perché quello che sta facendo a lui, in fondo lo sta facendo un po’ anche a noi. E invece le conseguenze delle nostre scelte sbagliate Garrone ce le mostra fino ai titoli di coda.
La violenza in «Dogman»
Sono due i livelli di violenza presenti in «Dogman», che trovano il loro trait d’union nella figura di Marcello. Il primo - più presente nel film - è quello della violenza psicologica, che si traduce non solo nei soprusi continui che subisce il protagonista, ma anche nell’effetto che la sua figura, e le riflessioni che innesca, hanno sul pubblico. Il secondo, invece, riguarda la violenza fisica che esplode in modo cieco e cruento solo verso il finale del film, ma che rimane sotto i nostri occhi, sotto forma di sopravvivenza, per tutto il tempo. Marcello è un uomo fisicamente piccolo, uno di quelli che chiede sempre permesso nella vita, il vicino di casa gentile e affidabile che tutti vorremmo avere. Simoncino invece è forte, irrispettoso, drogato e soprattutto folle. «Qualcuno un giorno lo ammazzerà» dice uno dei commercianti del quartiere. E non c’è nessuna amoralità nel pensarla come l’unica soluzione. «Dogman» racconta la perdita dell’innocenza di un essere umano potenzialmente puro - come i suoi cani - calato in un contesto che non lascia scampo.
Il film di Matteo Garrone si è guadagnato il premio per la miglior interpretazione maschile a Marcello Fonte a Cannes e ora è candidato come miglior film straniero
Nel film di Matteo Garrone l'attore interpreta un bullo di periferia che terrorizza tutta la Magliana e col protagonista ha un ambiguo rapporto vittima e carnefice