Nel film l'attrice s’innamora del regista toscano. Ma lui è un prete...

Al suo primo incontro con Leonardo Pieraccioni, Sabrina Ferilli si è perdutamente innamorata di lui. Nel film, certo. Ma forse un pochino anche nella vita... «Conoscevo Leonardo, ho sempre amato l’umorismo ricco di sentimenti di cui è capace. E quando mi ha detto che voleva parlarmi di un progetto, sapevo già che avrei accettato».
Sabrina, in “Il sesso degli angeli” si innamora di Pieraccioni e gli dà anche un “bacio a stampo”!
«Innamorarsi è un parolone... diciamo che ne subisco il fascino. Anche perché il personaggio di Leonardo nasconde un segreto e quindi appare eccentrico e insieme misterioso. In verità c’è un equivoco. Anzi, un doppio equivoco: all’inizio lui non sa che io sono l’amministratrice di un bordello e io non so che lui... è un prete! Quando lo scopriremo, saremo l’uno più sconvolto dell’altra».
Lena, il suo personaggio, è una ex prostituta a cui gli assistenti sociali hanno tolto il figlio. C’è chi considera la prostituzione come fenomeno da combattere sempre, per altri può essere una scelta da non condannare. Lei che ne pensa?
«Penso che sia una libera scelta. E se lo Stato la permette, allora deve rispettare e proteggere chi la pratica, assicurandosi che lo faccia in luoghi sicuri e non per strada, in balia dei criminali. Dico di più: una prostituta può avere morale e dignità, così come una persona potente o riverita può essere in realtà spregevole. Ma togliere i figli a una donna perché si prostituisce è impensabile. Lo accetterei solo se non è in grado di fare la madre».
Nel film si chiede anche: «Ma che senso ha il celibato per i preti? Come fa un uomo ad amare il prossimo se non ama una donna?».
«Non so se avere una compagna renderebbe i preti migliori. Penso che se scegli liberamente una strada, poi devi accettarne tutte le regole. Se no meglio fare altro».
Chiarissimo. Del resto lei è famosa per le sue prese di posizione nette.
«Il mio impegno viene dalla famiglia. Dal papà che mi ha educata a sentirmi partecipe, attiva e a rimanere fedele ai miei ideali. Mi portava a sentire i comizi di Berlinguer... Riguardo la mia storia e penso: a me è accaduto come era giusto, ho avuto quello che meritavo. Quando posso, mi impegno per quelli a cui non è andata come doveva andare».
Agli inizi però non ha avuto sempre ciò che meritava: restò fuori dal Centro sperimentale di cinematografia, una scuola prestigiosa.
«Dissero che ero “troppo italica”. Penso che intendessero che avevo un aspetto così “italiano” che magari avrei fatto più fatica a ottenere parti in produzioni internazionali. Boh! Era un giudizio dell’attrice Ingrid Thulin, che era svedese. Ricordo ancora la scheda. Ci rimasi male perché, dico, eravamo a Roma, giocavo in casa...».
Poi arrivò “La bella vita” di Virzì (1994) e il successo.
«In realtà avevo già fatto dei film importanti, come “Diario di un vizio” di Ferreri. Ma “La bella vita” è stato una specie di battesimo. Era il primo film di Paolo Virzì e lì è cominciato il nostro sodalizio. Poi sono tornata a recitare con lui in “Ferie d’agosto” e in “Tutta la vita davanti”... Lavorare con Paolo è meraviglioso perché lui ama profondamente i suoi attori e si affida a loro. Per certi registi gli attori sono un elemento tra i tanti, per lui sono il centro di tutto».
In “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino aveva un personaggio simile a quello di Lena.
«Era una spogliarellista, non una prostituta. Ballava in locali scalcinati, attaccata a un palo, facendo soffrire il padre. E poi espiava tutto con la malattia. Paolo mi ha offerto un ruolo di grande malinconia, lontano da quelli solari che mi avevano messo in luce. Una svolta».
Ora vorrei chiederle di Sanremo. Come ha vissuto la serata finale con Amadeus?
«Me la sono proprio goduta! E più facevo il confronto con la mia prima esperienza al Festival e più ero contenta. Perché del 1996 ricordo tanta tensione e fatica. Essere a fianco di Pippo Baudo su quel palco... sentivo il peso della responsabilità. Questa volta mi sono lasciata andare».
Le succede anche quando Maria De Filippi la “punzecchia” ad “Amici” o a “Tú sí que vales”...
«Maria si diverte a mettermi un po’ in difficoltà, ma è un segno di confidenza e di affetto. Mica lo permetterei a tutti, eh! Noi giochiamo: con lei riesco a fare cose che non faccio con nessun altro. Perché so che c’è stima reciproca e ci vogliamo bene».
Tornando al film: il tema è delicato, non temete che qualcuno si offenda?
«Oggi c’è sempre qualcuno che si offende, qualsiasi cosa tu dica. Questa ossessione per la “correttezza” intesa come controllo per me è terribile, è una forma di censura. Ormai se dici “spazzino” ci sarà sempre qualcuno che ti accusa perché dovevi chiamarlo “operatore ecologico”. Ma per lui cosa cambia in pratica? Sono sciocchezze. Il cinema è sempre stato una voce libera, usa spesso la provocazione, l’umorismo, il paradosso. E dovrebbe restare così».