Al cinema dal 18 gennaio, la nuova bizzarra commedia del regista toscano
Poiché Leonardo Pieraccioni e Nino Frassica si trovavano in posti diversi, questa intervista è stata fatta in videochiamata. Il primo a collegarsi è stato il regista toscano, che pure si lamenta: «Che fatica, mi devo sempre far aiutare dalla figliola tredicenne che poi mi dice: “Ma come hai fatto a far 15 film, te?”. Sì, sono un boomer, diciamolo!». Poi arriva Nino che sventola una vecchia copia di Sorrisi: «Sono ancora al 2021, perché me lo leggo rigo per rigo e poi resto indietro. Comunque il 2021 è un’ottima annata». Possiamo cominciare.
Leonardo, il suo nuovo film “Pare parecchio Parigi” è ispirato alla storia vera di due fratelli che finsero di andare a Parigi per far contento il padre malato, ma in realtà non si spostarono dall’Italia. Perché l’ha scelta?
Pieraccioni: «Mi ha colpito il potere della fantasia che ti fa viaggiare anche stando a casa, come ai tempi del lockdown, quando si faceva un pediluvio e fingevamo di essere alle Maldive! La famiglia del film è una “Armata Brancaleone” e il viaggio è l’occasione per dirsi tutto quello che non ci si era confessati per anni. Vorrei che si uscisse dal cinema con la voglia di parlarsi tra fratelli e tra padri e figli».
Qui il papà malato è Frassica. Nino, com’è stato avere Leonardo per figlio?
Frassica: «È il bambino che tutti i babbi desidererebbero. Mi chiama, io stavo andando a Parigi per le vacanze. Allora ho pensato: “Ma che ci vado a fare a spese mie? Ci vado con i soldi della produzione”. Peccato che poi mica mi ci ha portato davvero. Siamo stati tutto il tempo in un maneggio».
Pieraccioni: «Imbroglio nell’imbroglio: dopo aver cercato in mezza Toscana, ho scoperto che tutti i maneggi del mondo si assomigliano e quindi abbiamo girato vicino a Roma, che era più comodo».
Ci sono anche Chiara Francini e Giulia Bevilacqua.
Pieraccioni: «Sono le due sorelle che mi sarebbero toccate se avessi avuto davvero due sorelle. Insieme, nel film, siamo praticamente tre bambinoni immaturi. Brave eh, ma quanto parlano... soprattutto la Francini. Ecco, vi do un titolo shock: “Quelle due non le voglio più vedere!”. Anzi meglio: sentire!».
Frassica: «Io volevo il ruolo della figlia. Ho fatto anche il provino, ma per un soffio l’ha spuntata Giulia Bevilacqua. Così mi sono accontentato di fare questo padre un po’ all’antica. Tanto che la figlia mi chiede: “Ma che sei omofobo?”. “No, Sagittario”».
Ricordi dal set?
Pieraccioni: «La cosa più difficile è stata trovare una parrucca bianca per invecchiare Nino. Tanti tentativi, sempre lo stesso risultato: sembrava una signora sudtirolese. Alla fine ci siamo accontentati di tingergli i capelli».
Frassica: «L’incidente più terribile è successo quando dovevo spillare i fogli delle battute. “Mi trovate una spillatrice?” chiedo. Arriva. Io schiaccio... e non c’era la spilla!».
Pieraccioni: «Tranquillo per lui, perché ha girato un sacco di scene sdraiato sul lettino di un camper. Penso che mezzo film se lo sia proprio dormito».
Nel film siete un padre siciliano e un figlio toscano. Sono tipi italiani che hanno qualcosa di simile?
Pieraccioni: «Per me gli italiani hanno tutti lo stesso modo di ridere. Io spesso scherzo sui toscani, ma i miei film “funzionano” molto anche in Sicilia. Ora che ci penso, c’è una regione dove forse sono un po’ meno entusiasti: il Veneto».
Frassica: «E io proprio per questo gli avevo suggerito di intitolare il film “Pare parecchio Venezia”. Ma niente, lui voleva le tre P nel titolo».
Pieraccioni: «Un’altra idea era di andare a Parigi in gondola, ma poi l’abbiamo scartata, non ricordo perché. Chissà... Io comunque adoro gli spettacoli che giocano su dialetti e parlate. A Firenze da ragazzo andavo sempre al Teatro dell’Affrico dove facevano le recite in vernacolo. Per non parlare di Francesco Nuti e i Giancattivi».
Frassica: «Io invece no, dopo tre minuti di Goldoni in veneziano mi stufo. E poi ormai l’accento siciliano l’ho perso, da quando abito a Roma non so pronunciare neanche “beddu” (che significa “bello”, ndr). Sa, i siciliani vanno dappertutto e quando gli piace un posto ci rimangono. Ai miei tempi in Sicilia non c’era proprio nessuno, erano tutti partiti! Adesso invece giù sono invasi da gente del Nord che viene in cerca di lavoro».
Mi raccontate il viaggio di famiglia più strano che avete fatto nella vita reale?
Pieraccioni: «Io non ho un grande viaggio di questo tipo da raccontare. Magari la voglia di girare il film nasce anche da questo. Però ricordo ancora quando ero bambino e si andava con tutta la famiglia a mangiare fuori: quei pochi passi da via della Mattonaia alla Loggia del Porcellino mi sembravano dieci chilometri, perché li facevo tutti correndo avanti e indietro dalla contentezza».
Frassica: «Anche a me viene in mente un ricordo da bambino: quando accompagnavamo qualcuno all’aeroporto di Catania, mi piaceva star lì a guardare gli aerei partire, fantasticando sulle loro destinazioni. Invece il viaggio che avrei voluto fare ma non ho mai fatto è quello per andare a trovare gli zii emigrati in America. E adesso è troppo tardi».
Pieraccioni, lei nel film canta anche una canzone in francese.
Pieraccioni: «Non c’è attore al mondo che non voglia cantare. Io ho inciso pure due album. Qui però il pezzo importante, che ha il titolo del film, lo canta Neena (nome d’arte di Irene Colzani, è un’artista fiorentina, ndr). Io in genere dico: “Avrei anche scritto una canzoncina” e poi la faccio sentire agli altri. Loro, che mi vogliono bene, rispondono: “Ma sì, mettila”. E io la metto sui titoli di coda».
E perché non canta anche Nino?
Frassica: «Io canterò in sala con un’orchestrina, tra il primo e il secondo tempo. Così non disturbo il film».