Marco D’Amore: «Ciro “L’Immortale” non lo ammazza nessuno. Neppure io»

L'attore e regista porta al cinema (e riporterà in tv) il personaggio reso celebre da "Gomorra": «L’idea di farlo “risorgere” è stata mia!»

Marco D'Amore è Ciro Di Marzio "L'Immortale", il personaggio reso celebre da "Gomorra"
28 Novembre 2019 alle 14:58

Per i fan di “Gomorra - La serie” è una notizia elettrizzante: Ciro (Marco D’Amore) non è morto. Così era sembrato alla fine della terza stagione, quando Genny (Salvatore Esposito) gli aveva sparato in pieno petto. La quarta stagione era servita poi per elaborare il lutto, ma dopo i titoli di coda dell’ultima puntata, ecco il colpo di scena: si annuncia l’uscita nei cinema, il 5 dicembre, de “L’immortale”, scritto, diretto e interpretato dallo stesso D’Amore. Film che segna il ritorno (in vita) di Ciro Di Marzio e farà da raccordo con la quinta stagione della serie dei record targata Sky.

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Marco, chi è la mente “diabolica” che ha studiato questo piano?
«Ci sta parlando (ride)! Ho avuto l’idea tre anni fa, ben prima della famosa scena in cui Genny mi spara. L’ho meditata a lungo, ma per realizzarla ho avuto bisogno di Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya, e Nicola Maccanico di Vision Distribution. Sono i primi a cui ho raccontato il progetto e che mi hanno aiutato a realizzarlo».

Perché tutte queste complicazioni?
«Avevo deciso di uscire di scena perché mi sembrava che Ciro non avesse più niente da raccontare, ma questo aveva creato grande dispiacere e discussioni con la produzione. La stima che mi hanno dimostrato da una parte e l’affetto verso il personaggio dall’altra mi hanno fatto pensare alla possibilità di un altro percorso».

Come ha fatto a mantenere il segreto per ben tre anni?
«Non lo so. L’ho mantenuto anche con i miei colleghi, ed è stata la cosa più difficile. Trovarsi in una stanza a provare senza poter dire nulla è stato pesante. Ma avevo il terrore che uscisse la notizia. Perfino mio fratello Giuliano (che è il suo manager, ndr) non ne sapeva nulla. Gliel’ho svelato soltanto quando l’ho visto piangere disperato davanti alla scena della mia presunta morte. Alla notizia è impazzito di gioia!».

Cosa può anticiparci della trama?
«Vedremo un tradimento. Si dice che “per crescere bisogna tradire il padre”. Noi abbiamo tradito perché, pur facendoci guidare dal linguaggio di “Gomorra”, siamo andati oltre. Nella serie non esistono flashback, mentre qui hanno uno spazio importante. Raccontiamo infatti anche la Napoli della fine degli Anni 80. Quando Ciro ha circa 9 anni e si muove in un contesto malavitoso più guascone, piratesco, direi quasi “romantico”, fatto di scelte sbagliate ma diverso da quello che troviamo nella serie. Qui prevale infatti il contrabbando di sigarette grazie al quale campavano 250 mila famiglie».


Lei è nato nel 1981 ed era un bimbo in quegli anni. Ha portato qualcosa della sua infanzia?
«Tutto. Il personaggio ha la mia stessa età ed è cresciuto in un contesto simile al mio. Io però non ero un orfano come Ciro, anzi, avevo una grande famiglia che mi spiegava quello che vedevo per strada e mi insegnava ad allontanarmi da quei pericoli. Per fortuna io e mio fratello avevamo i nostri genitori come modelli. Oggi sono in pensione ma all’epoca mamma insegnava Italiano, Latino e Greco in un liceo e papà era fisioterapista».

Oltre a Ciro ci sarà qualche altro personaggio della serie?
«Il film è pensato perché anche chi non ha visto “Gomorra” possa andare al cinema e imbattersi nella storia di un uomo, ma i fan della serie troveranno tanti rimandi che li emozioneranno parecchio».

Lei ha già diretto alcuni episodi della quarta stagione di “Gomorra”. Quindi non è esattamente un debutto alla regia.
«Sì, ma c’è una grande differenza perché in “Gomorra” facevo solo la regia, mentre nel film sono anche in scena. Una sfida tosta, e non poteva essere altrimenti. In un primo tempo ho ragionato se farlo dirigere a un altro, ma poi hanno insistito che lo facessi io. Non sono un tipo ansioso ma adrenalinico sì, ho un eccesso di energia che sfogo nel lavoro».

Cosa ha provato al primo ciak?
«Una grande paura: giravamo in una bisca di Napoli e c’erano molti attori esordienti e dieci bambini scatenati. Ho avuto il timore di perdere le redini, ma poi per magia le cose sono andate da sé».

E l’ultimo giorno di lavoro?
«Ero diviso. Da una parte sentivo una sensazione di liberazione. Dall’altra una struggente malinconia perché è stato un set grandioso e incredibile».

Soddisfatto del risultato?
«L’hanno già visto un centinaio di persone e sono impazzite. Non voglio sembrare vanitoso, ma è un grande film, lavorato tanto, meditato, di grande impatto visivo e dove niente è lasciato al caso».

La sua vita privata ha risentito di questo intenso periodo di lavoro?
«Il mio progetto più grande è riuscire a fare convivere in pace e in equilibrio vita artistica e vita privata. Non ho mai rinunciato né alle esperienze professionali che volevo fare né alla voglia e al desidero di vivere i miei affetti e la mia famiglia. Se ci sono riuscito è anche grazie alle persone che mi stanno intorno, che sanno cosa significhi il lavoro per me e non mi fanno pesare la lontananza. Anzi, i ritorni a casa sono pieni di una gioia enorme che forse non proverei se li vivessi quotidianamente».

Stare dall’altra parte della cinepresa ha cambiato il suo modo di recitare?
«Più che altro ha cambiato la visione che avevo di me. Per circostanze legate al lavoro e alla timidezza, non avevo mai dato sfogo alla mia creatività, ma ho sempre saputo di essere un autore più che un attore. Questa esperienza mi ha restituito il coraggio di assecondare la mia natura».

Quando inizieranno le riprese della quinta stagione di “Gomorra”?
«Non lo so ancora. Gli sceneggiatori sono già al lavoro. Con il nuovo anno ragionerò con la produzione sulla data di inizio delle riprese e leggerò la sceneggiatura. Avrò anche la supervisione artistica sul progetto. L’impegno con la serie comporterà almeno un anno di lavoro, ma mi sembrava bello e doveroso chiudere il cerchio».

E poi un po’ lo deve a Ciro. In fondo questo personaggio l’ha resa “immortale”.
«Me lo auguro, per me non è un peso ma una fortuna essere identificato con Ciro. Se fra dieci anni farò il pizzaiolo, parlando con i vecchi amici almeno potrò dire di averlo interpretato».

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