Dopo sei mesi dall'inizio dell'anno, ecco un piccolo punto sui film che sono usciti fino ad ora (o che aspettiamo a breve)
Sembra un buon anno per il Cinema italiano, questo 2016 (almeno per quanto riguarda questi primi sei mesi).
Affermazione importante, ma che viene confermata dalle diverse angolature da cui possiamo osservare il nostro Cinema, perché di fianco all'enorme successo economico ottenuto dal recordman Checco Zalone con il suo Quo vado, c'è anche la vittoria al Festival di Berlino di Fuocoammare, opera autoriale dell'indiscusso Gianfranco Rosi.
In mezzo c'è un'Italia che ride e riflette su se stessa e i suoi difetti e vizi (come avviene nel film Perfetti sconosciuti), ma anche qualche esperimento interessante e riuscito, vedi la sorpresa di Lo chiamavano Jeeg Robot d'acciao.
La buona notizia è che al di là dei contenuti, non solo grazie a registi affermati come Paolo Virzì e Bellocchio, la qualità dei film italiani è in crescita e la speranza di tornare a poter dire qualcosa a livello internazionale sembra più che mai accesa.
Ecco a voi dieci film italiani del 2016 (già uscit o che stanno per uscire), che secondo noi non dovreste perdere.
Quo vado, di Gennaro Nunziante
Film-fenomeno già dal primo giorno in cui uscì, che con i suoi oltre sessantacinque milioni di euro incassati ha sfiorato il record assoluto di incassi raggiunto Avatar (in Italia); uno di quei film su cui si sentono discussioni animate a bar, spesso anche tra persone che non hanno visto il film. Ma noi parliamo di Cinema, non di costume, quindi diciamo che il signor Checco Zalone (co-sceneggiatore e protagonista), alla sua quarta fatica cinematografica, è riuscito a confezionare la sua pellicola migliore, che a differenza delle precedenti presenta una narrazione costruita e ben oliata, senza per questo rinunciare ai momenti di ilarità assoluta tipici del comico pugliese. Rievoca la commedia all'italiana degli Anni Settanta (pur senza la qualità dei grandi maestri nell'immagine), parlando dei vizi dei nostri connazionali e del posto fisso senza mai scadere nelle facilonerie dei sedicenti film di denuncia. Divertentissimo.
Fuocoammare, di Gianfranco Rosi
Vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino (Rosi aveva già vinto a Venezia con Sacro Gra nel 2013), è un film sull'isola di Lampedusa, che racconta la vita verace e fuori dal tempo dei suoi abitanti, alternandola alle drammatiche immagini degli sbarchi dei migranti. In parte documentario (non c'è bisogno di fiction quando le trame della vita reale sono così potenti), in parte mocumentary (gli attori lampedusani interpretano loro stessi, ma le sequenze e le micro-narrazioni sono costruite dal regista), è un film necessario che porta al cinema (e agli occhi dell'Europa tutta) questioni cruciali del mondo contemporaneo con il tocco di un autore dall'indiscutibile talento. Curiosità: il titolo è ispirato all'omonima canzone popolare che i lampedusani intonavano durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le esplosioni delle navi illuminavano la notte pesta del Mediterraneo.
Perfetti sconosciuti, di Paolo Genovese
Film dell'anno secondo il palmares dei David di Donatello di quest'anno (praticamente gli Oscar Italiani), serata dalla quale Perfetti sconosciuti si è portato a casa i premi per il Miglior Film e la Migliore Sceneggiatura, ma le candidature totali erano ben otto. Sulla scia dei successi di Dobbiamo parlare e Il nome del figlio, ancora una volta ci troviamo in un appartamento della Roma medio-borghese, e non usciamo mai da quelle quattro mura: sette amici (tre coppie sposate più il quasi-single Battiston), sono a cena a casa di Eva e Rocco (rispettivamente Kasia Smutniak e Marco Giallini) e decidono di fare un gioco rischioso per i loro rapporti, che consiste nel mettere il cellulare di ciascuno sul tavolo a disposizione dei commensali, i quali potranno così leggere i messaggi e ascoltare le varie ed eventuali chiamate ricevute durante la serata. Inutile dire che i segreti che emergeranno non andranno a genio a tutti, ma l'abile sceneggiatura riesce a mantenere quasi sempre il dramma all'interno del tono della commedia. Bene tutti gli attori, con Mastandrea (come al solito) sempre una spanna sopra gli altri.
La pazza gioia, di Carlo Virzì
Sempre interessante questo Virzì, che ha presentato il suo La pazza gioia al Festival di Cannes (pur senza che fosse stato selezionato tra i film in concorso), uscendo piuttosto bene dalla fossa di serpenti dei critici più esigenti del mondo. Protagoniste due donne diversissime tra loro che si incontrano in una comunità terapeutica toscana e, dopo un inizio difficile dal punto di vista relazionale, finiscono per scappare insieme per vivere un'avventura di scambio reciproco facendo le Thelma e Louise alla toscana (ma questo film non ha nulla a che vedere con quello di Ridley Scott). Il segreto di questa pellicola -sulla quale non è oppotuno aggiungere altro, perché si svelerebbe il nodo narrativo nascosto- è lo sguardo di Virzì su due personaggi scritti e interpretati egregiamente: Valeria Bruni Tedeschi è una ex signorotta decaduta della Milano altolocata, mantre Micaela Ramazzotti è una magrissima ragazza tatuata con forse qualche problema di droga alla spalle. Da vedere, soprattutto per la prima impeccabile metà.
Assolo, di Laura Morante
Secondo film alla regia (dopo il molto carino Ciliegine) per Laura Morante, che ci racconta di una bella donna di mezza età (una volta si diceva così), alle prese con le difficoltà e le incertezza della sua vita. Più alla francese che all'italiana, questa commedia delicatamente divertente vede protagonista Flavia -interpretata dalla stessa Laura Morante- e la lunga lista di uomini sbagliati della sua vita, tra i sogni, le poltrone dell'analista, le delusioni e i propositi per il futuro. Cast con anche molti uomini, tutti alla corte della bella Laura-Flavia. Ci sono Francesco Pannofino, Marco Giallini, Lambert Wilson e Gigio Alberti; tra le donne, invece, spicca Angela Finocchiaro.
Veloce come il vento, di Matteo Rovere
Film maschio (anche se la protagonista è una Matilda De Angelis che ricorda vagamente Jennifer Lawrence) sui motori e il mondo delle macchine che corrono in pista. Tipica storia di sport e valori dello sport, con il riscatto attraverso l'impegno e la passione, ma il film funziona ed è un sollievo sapere che un film italiano di questo tipo possa farlo. Stefano Accorsi (capelli lunghi, sigaretta e qualche chilo in meno) è un ex pilota talentuoso caduto in disgrazia psicofisica -causa le solite droghe e alcol- che per tutta una serie di ragioni legate alla scomparsa della madre (ma non solo), decide di fare da allenatore alla sua sorellina-pilota, affinché vinca una gara che potrà cambiare le vite di tutti. Dramma familiare moderato alternato a sequenze di sport efficaci (quello che vi ho raccontato è solo la premessa).
Un bacio, di Ivan Cotroneo
Film onestamente e orgogliosamente anti-omofobo in cui Lorenzo, il protagonista, è un quasi-diciottenne dichiaratamente omosessuale adottato da una coppia e in procinto di approdare nella sua nuova scuola. Lorenzo non si vergogna di se stesso e, anzi, esplicita chiaramente il suo gusto sessuale nei modi e negli atteggiamenti, ma gli adolescenti sono crudeli, lo sappiamo, ed ecco che il nostro si trova ad essere emarginato dai più, finendo per fare amicizia con altri due appartenenti alla gioventù-minoranza: Blu (che una sera ha limonato con cinque ragazzi e per questo è considerata una poco di buono) e Antonio (ragazzo d'oro, ma tremedamente lento e insicuro, troppo per gli standard dei bulletti che fanno il bello e il cattivo tempo a scuola). Nascerà una amicizia, forse qualcosa di più, per una teen comedy abbastanza classica, con sullo sfondo, però, il dramma del desiderio insoddisfatto e l'angoscia del vivere in balia degli eventi nel contrasto spesso non risolvibile tra mente e corpo adolescenziale.
Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti
Si è parlato molto (e spesso molto bene) di questo film, sin da quando è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma l'ottobre scorso. E lo si è fatto a ragione, perché un film così, in Italia, non si era davvero mai visto e l'operazione denota grande coraggio, ma anche grande capacità da parte del regista e di tutta la squadra. Si tratta di una commedia d'azione con lievi note drammatiche e crime, che riesce contemporaneamente a citare, riutilizzare e deridere due grandi filoni cinematografici: da un lato quello dei supereroi seriosi e nemici del crimine, dall'altro quello tutto italiano degli ambienti della criminalità organizzata o semi-organizzata romana a fare da sfondo ostile all'eroe protagonista. Diamante del film l'eccezionale Luca Marinelli (giustamente David di Donatello per lui), nei panni del cattivissimo 'Zingaro', che non ha nulla da invidiare al Joker di Nolan, ma sa anche far ridere, rendendosi protagonista, con i suoi vizietti, di alcune delle scene più geniali del film.
Fai bei sogni, di Marco Bellocchio
Anche Bellocchio (come Virzì) quest'anno a Cannes è stato relegato nella rassegna Quinzane de Réalisateurs, ma il film ha ricevuto grandi applausi dopo la prima proiezione. Tratto dall'omonimo romanzo e best seller di Massimo Gramellini, Fai bei sogni ci racconta la complicata vicenda interiore di un bambino, che poi diventerà uomo, alle prese con la scomparsa della madre a soli otto anni. Negazione del lutto con i suoi compagni di classe (si inventa un viaggio a New York), rancore per un padre che la mamma non gliel'ha fatta neanche vedere (da morta) e poi l'età adulta (in cui prende le sembianze di Valerio Mastandrea) nella sua quasi aristocratica Torino, alle prese con i suoi fantasmi, con le donne e con la vita. Film che funziona e che sarà un successo, perché il tocco dell'autore Bellocchio di vede in alcune scene visivamente memorabili, ma il fondo della narrazione resta il racconto del Gramellini, che comunque è sempre un romanzo pop da un milione copie. Due appunti: Bérénice Bejo è qualcosa di meraviglioso e attenzione al finale.
In guerra per amore, di Pierfrancesco "Pif" Diliberto
Chi ha visto La mafia uccide solo d'estate (e chi non lo ha visto dovrebbe farlo) sa benissimo che il caro Pif non è un ragazzo superficiale, ma anzi possiede una sensibilità gentile attraverso la quale racconta questioni immense con seria leggerezza e una comicità appena accennata attraverso modi garbati. Anche questa volta resta nella sua Sicilia, della quale evidentemente ha molto da raccontare, ma invece di seguire la crescita di un ragazzino che cresce nella Prima Repubblica e scopre la Mafia, ci teletrasporta nella Seconda Guerra Mondiale, al tempo dello sbarco alleato e poco dopo, quando la Mafia approfittò della situazione e paradosalmente venne favorita nella sua ascesa dalle dinamiche di liberazione dello stivale, uscendo dalla guerra solida come una roccia. Su questo sfondo, in realtà, la storia è una commedia romantica, che spiega come Arturo (Pif) sia costretto ad arruolarsi per riuscire ad ottenere la mano (e non solo) della bella Flora (Miriam Leone); da notare come i nomi dei protagonisti siano gli stessi del film precedente.