Il dottor Carlo Verdone, farmacista ad honorem

Il grande regista ci racconta la sua passione per la Medicina. E di come cura tutti gli amici...

Carlo Verdone in versione “farmacista“. Nel suo prossimo film “Si vive una volta sola“, invece, sarà un chirurgo
12 Settembre 2019 alle 10:18

Probabilmente pensate a lui “solo” come a un celebre attore e regista romano. E vi sbagliate. Perché Carlo Verdone è innanzitutto un esperto di Medicina e Farmacologia. Tanto da essere regolarmente iscritto all’Ordine dei farmacisti della capitale, che il 28 agosto lo ha nominato tra i suoi membri con una cerimonia solenne «per aver condiviso la missione di adoperarsi in ogni modo per far star bene gli altri».

E lui conferma: «Caro mio, che le devo dire... Mi sarebbe piaciuto fare il medico di famiglia, ma ero troppo emotivo per iscrivermi a Medicina: non avrei retto la camera operatoria o le lezioni di anatomia. Però, in qualche modo, un po’ lo faccio adesso. Per esempio, proprio l’altro giorno un mio amico si lamentava di un fastidio tra le natiche: “Mi hanno dato un antivirale ma non passa, non passa”. Mi sono fatto raccontare meglio i sintomi e gli ho detto: “E ti credo amico mio, hai un fungo, non un virus. Non ho neanche bisogno di vedere la parte, guarda. Partiamo con tre giorni di Travocort e poi prendi quest’altra crema qua. Se non migliori lo dici al medico va bene?”. Oh, è guarito! Poi gli ho anche chiesto: “Che medico hai? Ah no, guarda è meglio che lo cambi”».

Ma succede spesso?
«Lasciamo perdere, non vorrei inimicarmi la categoria. Ormai agli amici do i consigli ma raccomando anche: “Non dite che ve l’ho detto io!”. Se no i loro dottori si irritano, il commento più comune è: “Ma insomma, ti curo io o ti cura Verdone?”».

Be’, è anche comprensibile...
«Sia chiaro che io dico sempre a tutti di parlare anche col loro medico. Non intendo sostituirmi ai professionisti, ci mancherebbe. E però...».

Però?
«Le giuro che non ho mai sbagliato una diagnosi. Loro invece...».

Carlo, ci spiega come nasce questa passione per la scienza medica?
«Quando ero bambino la nostra casa era frequentata da grandi medici che condividevano la passione di mia mamma per la musica classica. Sto parlando dei più stimati chirurghi di Roma: Valdoni, Stefanini, Borromeo... Gente così ammirata, per capirci, che poteva anche permettersi di perdere qualcuno sotto i ferri, perché il commento unanime sarebbe stato: “Se è morto mentre l’operava Valdoni vuol dire che non c’era proprio più niente da fare!”. Ora, questi giganti della Medicina discutevano tra di loro di questo o quel caso, e io li ascoltavo affascinato. Pensi che allora non avevano la Tac, la risonanza magnetica, i mezzi di contrasto... spesso potevano basarsi solo su una radiografia. E che ci fai oggi con una radiografia? Eppure avevano un intuito pazzesco, ci azzeccavano sempre. Cosa vuole, si vede che qualcosa ho imparato. Di fatto ho salvato la vita a più di una persona».

Mi fa un esempio?
«Ricordo il caso di una carissima amica che era stata ricoverata con una diagnosi sbagliata di varicella. Si era riempita di bolle nere, io ho chiamato all’ospedale un medico che conosco e ho detto: “Ma quale varicella, qui è crollato il sistema immunitario, questa per me è la sindrome di Stevens-Johnson. Partite subito col cortisone, vi prego!” Oh, mi hanno ascoltato e si è salvata».

Be’, una volta può essere fortuna. Ha un altro episodio da raccontarmi?
«Ma tantissimi! Ricordo un signore che ci faceva avere i permessi per girare i film all’aperto. Un giorno l’ho visto seduto con la testa tra le mani. “Che hai?”. “Scusatemi, un mal di testa fortissimo, e poi non vedo bene di lato”. L’ho messo subito su un taxi e ho chiamato il mio amico all’ospedale: “Guarda che sta per arrivare al pronto soccorso un signore che ha perso la vista laterale, per me è un ictus”. Purtroppo avevo ragione. Per fortuna si è salvato. Adesso non passa Natale che non mi arrivi un suo regalo».

Ma come fa a essere così preparato?
«Mi tengo informato. Leggo gli atti dei congressi. Per esempio, ne ho appena finito uno interessantissimo sulla dipendenza dalle benzodiazepine (una classe di psicofarmaci, ndr). Lo sa che una relatrice sostiene che è più facile curare la dipendenza da cocaina? E poi ho un’enciclopedia medica a fascicoli mensili e il Merck, un manuale fondamentale di diagnosi e terapia che mi ha regalato il mio dentista».

Se lei dovesse fare il medico, quale sarebbe il suo campo preferito?
«La mia specialità sono i polmoni: so riconoscere al volo una polmonite dal tipo di tosse del paziente. E poi i calcoli alla cistifellea, che danno all’alito un odore inconfondibile e pessimo. Poi riconosco bene i problemi neurologici, gastrointestinali e osteoarticolari. Solo in cardiologia e ginecologia sono debolino. Troppo complesse».

Alle medicine naturali e alternative ci crede?
«Non ci sono prove scientifiche che funzionino, ma se uno si sente meglio, si accomodi... Io credo solo nell’arnica, che è un blando antinfiammatorio naturale, e nel magnesio per facilitare il sonno».

Medicina preferita?
«Beh, per chi ha il colesterolo alto come me le statine sono un farmaco salvavita. Hai voglia a intervenire sulla dieta, è un problema soprattutto genetico, ereditario».

Perdoni Verdone, ma non c’è proprio nulla che un medico vero le potrebbe rimproverare?
«Certo, il fumo. Però con grandi sforzi negli anni sono passato da un pacchetto intero a otto sigarette al giorno. Anche lì sto migliorando».

Dicono che sia più facile smettere del tutto che diminuire gradualmente.
«No guardi, ci ho provato: mi ha preso una crisi d’astinenza che per poco ci lasciavo le penne. Sono stato proprio malissimo».

Ma non sarà anche un po’ ipocondriaco?
«E daje... Assolutamente no. Avendo una passione per la Medicina è ovvio che ci scherzo su con i miei personaggi e i miei film. E da qui è nato l’equivoco, in particolare da “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, dove facevo a gara con Margherita Buy a chi prendeva più medicinali. Questa etichetta onestamente mi secca moltissimo, ma non c’è modo di scrollarmela di dosso, è un fardello che ormai mi tocca portare dietro. Che ce posso fa’?».

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