A 78 anni appena compiuti, Dario Argento si considera ancora il maestro del brivido italiano, spiegando che «L’horror è una questione interiore, dipende da quello che hai dentro». E sul «Suspiria» di Luca Guadagnino dice: «È un film diverso dal mio, fatto con uno spirito diverso, nello stile raffinato, elegante e ben fatto di Luca Guadagnino, che resta uno dei migliori registi europei». Si lascia però scappare che la sua versione, quarant’anni fa, «Aveva una ferocia e una grinta che questo remake non ha».
Figlio di un produttore esecutivo e di un’indossatrice, Argento si accosta al cinema negli Anni 60, prima come critico e poi come soggettista e sceneggiatore: sono suoi i dialoghi di «C’era una volta il West», commissionati da Sergio Leone nel 1968 e scritti insieme all’amico Bernardo Bertolucci. Esordisce alla regia due anni più tardi, prodotto dal padre, che lo seguirà fino a «Tenebre» del 1982. Il suo stile è subito evidente: ambientazioni claustrofobiche, colpi di scena improvvisi, voyeurismo quasi sadico, musica martellante, fotografia carica e soprattutto invisibilità dell’assassino, la cui identità si svela solo nel finale. E sì: le mani del killer sono ogni volta le sue. Il regista ha sempre affermato di avere un’ottima manualità: «Penso di essere molto bravo a muovere le mani, per cui scelgo sempre me stesso per quella parte».
Tra cinema e tv, con molto meno rigore ha portato avanti anche la carriera d’attore, cominciata nel ’66 in «Scusi, lei è favorevole o contrario» e terminata con «Tutti pazzi per amore 2» nel 2010. E dopo il flop (di critica e di pubblico) di «Dracula 3D», è passato ad occuparsi di teatro, dirigendo il «Macbeth» di Verdi (la stessa versione che aveva trasposto al cinema nel film «Opera»), «Lucia di Lammermoor» e, lo scorso anno, «Salomè».
«Opera» è un film tristemente importante, che segna la sua carriera: la travagliata produzione subisce continui ritardi, l’attrice Vanessa Redgrave lascia il set, il regista si separa dalla compagna (dietro e davanti alla macchina da presa) Daria Nicolodi, madre di Asia, e suo padre sta molto male. E mentre i detrattori continuano a considerarlo «Un abile confezionatore di paure facili», è innegabile il suo apporto al cinema contemporaneo: ispiratore e padre putativo di tanti cineasti splatter, ha lavorato sempre alla soglia del thriller, poche volte vero horror, contaminato da elementi gotici, fiabeschi e parapsicologici.
Più recentemente ha annunciato ufficialmente la cancellazione del progetto «The sandman», un film ispirato all’omonimo racconto di E.T.A. Hoffmann con Iggy Pop nel ruolo del protagonista per il quale il regista aveva lanciato sul Web una campagna di crowdfunding: i 165mila dollari richiesti dall’asta sono stati raggiunti e superati, ma per il grande ritorno del maestro dovremo, purtroppo, aspettare.
L’uccello dalle piume di cristallo (1970)
Uno scrittore americano cerca ispirazione in Italia e assiste, accidentalmente, a un omicidio: la memoria però vacilla. La colpa ricade su un killer di donne, ma lo scrittore continua a indagare. «L'uccello dalle piume di cristallo» è il primo capitolo della «Trilogia degli animali», che proseguirà l’anno successivo con «Il gatto a nove code» e «Quattro mosche di velluto grigio». Le pellicole ebbero talmente successo che altri registi aderirono alla moda creando un filone formato, tra gli altri, da «Una farfalla dalle ali insanguinate» di Duccio Tessari, «La coda dello scorpione» di Sergio Martino e «Gatti rossi in un labirinto di vetro» di Umberto Lenzi.
Le cinque giornate (1973)
Commedia poco nota e “intrusa” nella carriera del regista, unico titolo a non appartenere al genere thriller: è la 13esima apparizione di Adriano Celentano sul grande schermo poco prima della stagione dei musicarelli, e racconta i fatti veri intorno alle cinque giornate di Milano, durante la rivolta austriaca del 1848 mentre un delinquentello e un panettiere si ritrovano, loro malgrado, coinvolti nei moti. Argento e Celentano subentrarono alle “prime scelte” Nanny Loy e Ugo Tognazzi; il film incassò poi più di un miliardo di lire al botteghino italiano.
Profondo rosso (1975)
La presenza (e l’assassinio) di una medium sposta il film alla seconda fase dell’autore: interviene il paranormale, il thriller diventa horror e gli oggetti iniziano ad essere molti e spesso importanti. Per proseguire la «Trilogia degli animali» si sarebbe dovuto chiamare «La tigre dai denti a sciabola». È andata meglio così, sebbene i francesi abbiano preferito il titolo «Les frissons de l’angoisse» alla traduzione letterale di «Profondo rosso». Sceneggiatura di Bernardino Zapponi, che sarebbe stato candidato all’Oscar per «Il Casanova» di Fellini, musiche di Giorgio Gaslini eseguite dai Goblin, ormai cult.
Suspiria (1977)
Lucy, studentessa di danza classica, si trasferisce in un’accademia di Friburgo ma già l’accoglienza è a dir poco movimentata: un’altra allieva viene massacrata e uccisa a pochi metri dalla porta d’ingresso. Anche l’istituto appare strano e ancora più strane le sue insegnanti. Insieme all’autore della fotografia Luciano Tovoli, Argento utilizza per «Suspiria» una pellicola assai sensibile, ripropone il Technicolor ormai passato di moda e copre le fonti di luce con stoffe colorate. Il risultato finale è indimenticabile, psichedelico, quasi violento.
Inferno (1980)
Una poetessa, a New York, acquista il volume «Le tre madri» da un antiquario: la sua curiosità diventa ossessione e addirittura risveglia la Mater Tenebrarum. Il fratello, intanto, studia Musicologia a Roma – dove, a quanto pare, c'è la casa di un’altra delle tre megere. La terza è a Friburgo e in tutte avvengono efferati delitti. Come in «Suspiria», fa irruzione il paranormale, la dimensione fantastica e viene meno la logica. Si dice che gli otto delitti e la maggior parte delle scene di «Inferno» siano stati girati da Mario Bava.
Tenebre (1982)
Uno scrittore americano è in trasferta a Roma per presentare il suo nuovo romanzo, «Tenebræ». Al suo arrivo scopre che una ragazza è stata uccisa proprio soffocata dalle pagine del suo libro e il killer, in seguito, si ispirerà a quella trama per far fuori le sue vittime. «Tenebre» è forse il più celebre film di Veronica Lario, ex signora Berlusconi, a cui viene praticamente tagliato un braccio a colpi d’accetta: la sequenza è stata tagliata ogni volta che il film è passato dalla televisione. La scena finale ha fatto scuola e ha ispirato, tra gli altri, Brian De Palma.
Phenomena (1985)
La figlia di una stella del cinema si trasferisce in un collegio svizzero elitario e inizia ad avere strane avventure notturne causate dal suo sonnambulismo. Nei dintorni, intanto, altre ragazze vengono assassinate – e se lei si salva è solo grazie all’amicizia con insetti e un entomologo paralitico. Per riprendere gli animali, Argento esibisce acrobazie registiche e li contrappone all’orrore (del trucco) di Davide Marotta nei panni del nano deforme Patua. Secondo film della quindicenne Jennifer Connelly; nell’ultima mezz’ora si perde il conto dei finali.
Opera (1987)
Sarà poi vero che il «Macbeth» porti sfortuna agli attori d’opera che lo interpretano? Alla vigilia della prima, un’interprete s’infortuna e una giovane soprano la deve sostituire, un maniaco però la perseguita, costringendola ad assistere a una serie di omicidi. Nel libro «Profondo Argento», il regista confessa che Cristina Marsillach è stata l’attrice con cui ha avuto più difficoltà sul set. Per il personaggio di Marco invece – il regista horror che diventa direttore d’opera – ammette di essersi ispirato a se stesso. Ultimo lungometraggio di Ian Charleson.
La sindrome di Stendhal (1996)
Asia Argento, la poliziotta romana Anna Manni, viene spedita a Firenze per catturare un killer stupratore seriale. Durante una visita agli Uffizi, l’assassino le tende una trappola e lei, che soffre della sindrome di Stendhal, sviene davanti a un quadro di Bruegel e ci casca. Prima che ci venga svelata l’identità dell’assassino, il collega di Anna, che la sorveglia in casa, guarda in televisione «L’esorciccio» di Ciccio Ingrassia. Al sequel del film, che avrebbe dovuto intitolarsi «In the dark», Argento ha preferito girare «Il cartaio» con Stefania Rocca.
Non ho sonno (2001)
Un detective in pensione, affetto da insonnia, è chiamato a risolvere una serie di gialli. Lo affianca un giovane debuttante munito delle più moderne attrezzature investigative. Tra il 1983 e il 2000, il film è una «Escrescenza di incubi personali» dalla trama confusionaria, ma dagli altissimi momenti di cinema: la sola sequenza della partenza del treno dura venti minuti senza respiro. Max von Sydow (la Morte ne «Il settimo sigillo», l’imperatore Ming di «Flash Gordon») interpreta il protagonista Moretti, Stefano Dionisi il suo assistente.
La terza madre (2007)
Conclusione della trilogia delle «Tre madri» o, come la chiamava l’autore, «Dell’alchimia moderna», cominciata con «Suspiria» e proseguita con «Inferno». Sarah Mandy (Asia Argento), archeologa americana in trasferta a Roma, trova in una tomba tre statuette che scatenano la furia sanguinosa della Mater Lacrymarum. Fortunatamente ha ereditato i poteri benefici della madre (Daria Nicoldi, vera genitrice di Asia), e dopo tanti squartamenti arriva inaspettato il lieto fine. La pellicola fu presentata a Cannes 2007 insieme al restauro di «Suspiria».
Il film del 1977 verrà proiettato al cinema Odeon martedì 11 dicembre alle 20.30 e da quel giorno sarà disponibile su Chili. In sala anche Luciano Tovoli, direttore della fotografia