Dal 1956, ogni anno, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS), l'organo che assegna i Premi Oscar, invita le industrie cinematografiche di tutti i Paesi a presentare il loro film migliore, distribuito nella nazione fra l’1 ottobre dell’anno precedente e il 30 settembre di quello in corso, perché partecipi alla competizione della statuetta al Miglior Film in Lingua Straniera.
La regola principale per concorrere è proprio quella per cui almeno la metà dei dialoghi della pellicola deve essere in una lingua diversa dall’inglese. La Gran Bretagna può quindi concorrere quest’anno con un film, «I am not a witch», recitato in lingua chewa; il Porto Rico invece, da qualche tempo, chiede all’Academy di riconsiderare la sua posizione: territori e protettorati degli Stati Uniti non possono infatti inviare nessun titolo. L’ultima volta che il Porto Rico ha presentato una pellicola in lingua straniera nella competizione era il 2010, e da allora non è più considerato idoneo.
La scadenza per la presentazione dei film, quest’anno, era stabilita per l’1 ottobre e la settimana successiva l’AMPAS ha comunicato la lista dei film selezionati, riesaminata dal comitato per il premio. Degli 89 film proposti, 87 sono adesso in lizza per la nomination al 91esimo Premio Oscar. Per il Malawi e il Niger si tratta della prima volta, mentre il film cubano e quello selezionato dal Kirghizistan non hanno passato il primo vaglio.
Le nomination dei Premi Oscar 2019 saranno annunciate martedì 22 gennaio. La 91esima edizione di premiazione si svolgerà invece domenica 24 febbraio al Dolby Theatre di Hollywood, trasmessa dalla ABC in più di 225 Paesi del mondo.
Roma
Regia di Alfonso Cuarón (Messico)
Dei 51 tentativi del Messico di ottenere una nomination al Premio Oscar, solo 8 sono andati a buon fine: nessuno però ha mai portato la statuetta in patria. Arturo Ripstein ha rappresentato il suo Paese cinque volte, più di qualsiasi altro regista – ma sono altri tre i “messicani eccellenti” che hanno onorato il cinema di casa, ricevendo tutti l’Oscar per la migliore regia. Sono Alejandro González Iñárritu, Guillermo del Toro e Alfonso Cuarón, reduce dal Festival di Venezia dove il suo «Roma» ha vinto il Leone d’Oro, consegnato dalle mani di del Toro stesso, che a sua volta lo ricevette lo scorso anno. «Roma», che rappresenta il Messico nella gara di quest’anno, sarà disponibile su Netflix dal 14 dicembre.
Le ereditiere
Regia di Marcelo Martinessi (Paraguay)
Discendenti di famiglie benestanti di Asunción, Chela e Chiquita stanno insieme da oltre trent’anni e sono costrette ad affrontare, insieme, la bancarotta e un’accusa di frode. La prigionia di una delle due potrebbe significare la libertà per l’altra… Questo è solo il terzo tentativo che fa il Paraguay di ottenere una candidatura all’Oscar, e magari la prima statuetta: ci avevano provato, solo recentemente, nel 2015 e nel 2017. «Le ereditiere» ha ricevuto l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per la migliore interpretazione femminile, quella di Ana Brun, e dal 18 ottobre è anche arrivato nei cinema italiani.
Gutland
Regia di Govinda Van Maele (Lussemburgo)
Il Lussembrugo ha cominciato a partecipare alla competizione statunitense solo nel 1997, e la sua presenza non è stata sempre consecutiva. Nel 2006 il film «Your name is Justine» fu squalificato perché vigeva ancora la regola secondo cui il film selezionato doveva essere recitato nella lingua del Paese: problema che toccò anche al nostro «Private», diretto da Saverio Costanzo e interpretato in lingua araba, che fu poi sostituito da «Le chiavi di casa». «Gutland» è un noir rurale surrealista su un ladro tedesco che fugge in un piccolo villaggio del Lussemburgo, con Vicky Krieps nel cast che parla la sua lingua natale dopo il successo internazionale de «Il filo nascosto». Disponibile su Prime Video.
Capharnaüm
Regia di Nadine Labaki (Libano)
Dopo la sua presentazione a Cannes, il film ha ricevuto 15 minuti di standing ovation e la regista Nadine Labaki ha vinto il Premio della Giuria. Come questo, anche i precedenti due film diretti dall’autrice sono stati selezionati per rappresentare il Libano agli Oscar, ma nessuno ha mai ricevuto una nomination: «L’insulto», lo scorso anno, ha segnato la prima candidatura del Paese. «Capharnaüm» racconta la storia di un bambino che denuncia i propri genitori per averlo messo al mondo senza essere in grado di mantenerlo: quasi ad altezza di neonato, la macchina da presa lo insegue mentre si costruisce una nuova vita con un’altra donna e il suo bebè. Temi importantissimi che sono stati accusati di scivolare nella “eccessiva povertà”.
L'albero dei frutti selvatici
Regia di Nuri Bilge Ceylan (Turchia)
La Turchia aderisce attivamente alla gara per l’Oscar dall’inizio degli anni Novanta; ci sono state comunque “incursioni”, come la statuetta del 1990, che andò alla Svizzera ma raccontava dei rifugiati turchi. Nel 1964 il Paese inviò all’AMPAS, isolato, il film che aveva vinto l’Orso d’Oro a Berlino, «L’estate arida», e da allora sono in tutto 25 i titoli che hanno concorso per la nomination, e solo «Tre scimmie» è riuscito ad arrivare in semifinale, senza però poi essere nominato dall’Academy. Il regista di quella storia, Nuri Bilge Ceylan, è anche il regista di questa, che ci prova per la quarta volta dopo aver vinto la Palma d’Oro 2014. «L’albero dei frutti selvatici», passato pure dal Festival di Cannes, è arrivato nei nostri cinema il 4 ottobre scorso.
Opera senza autore
Regia di Florian Henckel von Donnersmarck (Germania)
Per un decennio, a partire dal 1973, la Germania ha partecipato alla corsa per il miglior film in lingua straniera con due titoli: uno proveniente dalla Germania Est e uno dall’Ovest. Delle 19 nomination, solo 3 statuette sono entrate oltre i confini: l’ultima è stata proprio grazie al nobile (di discendenza) Florian Henckel von Donnersmarck, con la sua opera prima «Le vite degli altri». Dopo il disastro di critica di «The tourist», che comunque regalò a Johnny Depp e Angelina Jolie due candidature ai Golden Globes ed ebbe molto successo al botteghino, il regista ci riprova in lingua tedesca, con una lunghissima pellicola passata dal concorso di Venezia e nei nostri cinema dal 4 ottobre.
Girl
Regia di Lukas Dhont (Belgio)
Nel 2009, a 18 anni, Lukas Dhont legge sul giornale la storia di una giovane belga a cui era stato assegnato il maschile alla nascita e che aspirava, adesso, a diventare ballerina. Poco meno di dieci anni dopo, decide di farne un film e apre le audizioni a chiunque, a prescindere dal genere: si presentano 500 persone tra i quattordici e i diciassette anni, maschi e femmine, e così seleziona il suo interprete: Victor Polster, nato nel 2002 e mirabile danzatore dell’Accademia di Anversa. Al Festival di Cannes, dove il film è passato fra gli applausi generali, i due hanno vinto la Camera d’Or per la migliore opera prima, il Premio FIPRESCI, quello dell’interpretazione e la Queer Palm. «Girl» è arrivato nei cinema d’Italia lo scorso 27 settembre.
Un affare di famiglia
Regia di Hirokazu Kore’eda (Giappone)
Viene dal Festival di Cannes anche l’ultimo film di Kore’eda e una Palma d’Oro mai stata così unanime. È la storia di una famiglia giapponese con precari lavori part-time che si affida alla pensione della nonna e a qualche furtarello per sbarcare il lunario. Un giorno accolgono una bambina maltrattata in casa e, da che mondo è mondo, dove mangiano in cinque mangiano anche in sei. Il Giappone ha una tradizione cinematografica eccellente, che ha portato in patria tre Oscar onorari fra il 1951 e il ’55: l’unica statuetta competitiva, però, è del 2010, grazie a «Departures». «Un affare di famiglia» è nei nostri cinema da settembre.
L'ingrediente segreto
Regia di Gjorce Stavreski (Macedonia)
Il primo e unico film macedone candidato all’Oscar per il film straniero fu «Prima della pioggia», era il 1994 e la pellicola aveva già vinto il Leone d’Oro al 51esimo Festival di Venezia. «Ingrediente segreto», passato dal Bergamo film meeting dove ha ricevuto il Primo Premio, si prevede che arrivi sugli schermi d’Italia il 14 febbraio 2019, e potrebbe portare la prima statuetta in casa. È la comica storia di un ragazzo, un meccanico sottopagato, che consegna al padre una torta di marijuana rubata, perché possa alleviare i dolori dati dal cancro; un gruppo di criminali però, scoprendo i componenti del dolce, lo mette alle strette per avere la ricetta.
La bella e le bestie
Regia di Kaouther Ben Hania (Tunisia)
La Tunisia prova a conquistare il suo primo Oscar da tre anni, senza grandi successi. Gli altri due tentativi risalgono al 1995 e al 2002 e i cinque film finora sottoposti all’Academy (uno dei quali squalificato) sono recitati in lingua araba, tunisina e francese. «La bella e le bestie», girato in soli nove pianisequenza, è stato presentato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard del 2017 ed è approdato nelle sale italiane lo scorso 26 luglio. Racconta la travagliata notte di Mariam, giovane studentessa, che durante una festa incontra il misterioso Youssef che la accompagnerà in un cortocircuito legale per denunciare la violenza subita da alcuni poliziotti.
Dogman
Regia di Matteo Garrone (Italia)
Da un elenco di 21 film, a fine settembre, l’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali, composta da giornalisti, produttori, distributori e addetti ai lavori) ha scelto il rappresentante italiano per gli Oscar 2019: prima che «Fuocoammare» fosse candidato nella categoria dei migliori documentari, l’Italia aveva ricevuto 31 nomination, 11 Premi Oscar e 3 premi onorari antecedenti all’istituzione della statuetta nel 1956, detenendo il record del Paese col maggior numero di vittorie, seguito dalla Francia. «Dogman» ha ricevuto la Palma dell’interpretazione di Marcello Fonte a Cannes e otto Nastri d’Argento, tra cui il miglior film.
Sergio & Sergei – Il professore e il cosmonauta
Regia di Ernesto Daranas (Cuba)
Con alti e bassi, la competizione cubana per l’Oscar al film straniero è cominciata solo alla fine degli anni Ottanta e solo un titolo è riuscito a ottenere la nomination: si tratta di «Fragola e cioccolato», diretto da Tomás Gutiérrez Alea nel 1994 e vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino. Il candidato di quest’anno è stato «Sergio & Sergei», storia di un cosmonauta russo che conversa per interferenze radio con un insegnante d’Arte, passato dai nostri cinema lo scorso 24 maggio e già disponibile in DVD. Alla pubblicazione dell’Academy della lista dei film in gara, però, l’8 ottobre, la pellicola risultava rimossa.
The guilty
Regia di Gustav Möller (Danimarca)
Dei tre film danesi vincitori del Premio Oscar come miglior film in lingua straniera, due sono già dei classici: si tratta de «Il pranzo di Babette» e di «Pelle alla conquista del mondo», trionfatori delle edizioni del 1987 e ’88. A loro si è aggiunto, nel 2011, «In un mondo migliore» di Susanne Bier e negli ultimi sette anni la Danimarca ha visto altri 4 film entrare in cinquina e uno fermarsi alla semifinale di gennaio. In questo fermento, quest’anno, il candidato sottoposto promette bene: è un thriller drammatico, si chiama «The guilty», è l’opera prima di Gustav Möller e ha già vinto il Premio del Pubblico al Sundance con una media di critica pari a 80 su 100.
Cosa dirà la gente
Regia di Iram Haq (Norvegia)
Attingendo all’esperienza personale, la regista Iram Haq (già scelta per rappresentare la Norvegia agli Oscar del 2013) racconta una storia di estrema attualità. La sedicenne Nisha, di famiglia pakistana, è costretta a incarnare – almeno a casa – l’immagine della figlia perfetta, e si ritaglia brevi momenti con gli amici, uscendo di notte di nascosto, per vivere invece la quotidianità dei suoi coetanei europei. Il padre la sorprende in camera con un ragazzo e la spedisce in Pakistan sperando che si adatti alla cultura del luogo. Ma la libertà sembra sempre lontanissima e qualsiasi comportamento scatena conseguenze eccessivamente grandi. Uscito il 3 maggio, è anche questo già disponibile in DVD.
Cold war
Regia di Paweł Pawlikowski (Polonia)
Da «Il coltello nell’acqua» di Roman Polanski del 1963 a oggi, solo dieci film polacchi sono stati candidati all’Oscar – e l’unica statuetta è arrivata nel 2014 per «Ida», sempre diretto dal regista (inglese d’adozione) Paweł Pawlikowski, che prova a fare doppietta quest’anno con «Cold War», una sorta di film musicale in bianco e nero ispirato alle vite dei suoi genitori, uno dei film più corti presentati nel concorso del Festival di Cannes: appena 85 minuti. Durante la kermesse francese Pawlikowski ha ricevuto la Palma per la migliore regia, poi è volato a Toronto, dove gareggiava per il Premio del Pubblico. La protagonista Joanna Kulig, già nel film precedente, pare portagli bene: il voto di critica è 90 su 100.
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