Il più noto regista spagnolo dopo Luis Buñuel racconta, da quasi quarant'anni, il suo Paese post-franchista, le sue donne e soprattutto il cinema della sua vita
Solo cinque volte è successo che l’Oscar alla migliore sceneggiatura originale l’abbia ritirato qualcuno che non aveva scritto in inglese. Una volta è toccata a noi, con “quei difficili nomi italiani”, come disse Bette Davis nel 1963, autori del «Divorzio» di Pietro Germi. Un’altra, invece, fu spagnola: Pedro Almodóvar batté «Gangs of New York» e «Il mio grosso grasso matrimonio greco» con la storia a incastri di «Parla con lei». Fu una statuetta difficile, segnò la rottura definitiva fra il regista iberico e l’Academia de las Artes y las Ciencias Cinematográficas, che non aveva selezionato quel film per la competizione americana bensì «I lunedì al sole».
La vita
Polemiche e controversie non sono mai mancate nella carriera di Pedro: nato e cresciuto nella Mancia, la più povera provincia spagnola, dove ha frequentato i Salesiani e i Francescani, si sposta a Madrid a sedici anni per lavorare nella società Telefónica. Nella capitale liberata dalla dittatura franchista partecipa attivamente anche alla movida, con il gruppo punk-rock Almodóvar & McNamara, con i suoi primi scandalosi cortometraggi, con la pubblicazione di fumetti e di racconti su riviste underground. Il caos cittadino si rispecchia nelle trame e nei personaggi dei suoi primi film, soprattutto i primi tre, che fungono anche da manifesto degli intenti e delle tematiche: l’ironia goliardica, la disinibizione, il rifiuto per le istituzioni e soprattutto l’interesse per i personaggi femminili, “sicuramente più autentici e misteriosi” di quelli maschili. Dopo le proiezioni amatoriali durante le feste in casa, e poi quelle ufficiali sul grande schermo, tutto rimane a una stretta dimensione. Bisogna aspettare «Donne sull’orlo di una crisi di nervi» per il successo internazionale: il film viene presentato in concorso al Festival di Venezia e viene candidato a un Oscar. La statuetta arriverà però solo undici anni più tardi, nel 2000 di «Tutto su mia madre». Una delle sue attrici-feticcio, Penélope Cruz, urlerà al microfono dello Shrine Auditorium di Los Angeles: «Pedrooo!». L’epoca dei capolavori è appena cominciata, e durerà per i dieci anni successivi.
La tradizione dei cameo
Come Alfred Hitchcock, Almodóvar conserva la tradizione ironica del cameo in tutti i suoi film. Non è lui a comparire sullo schermo ma suo fratello, il produttore Agustín: ora commesso in un negozio di ferramenta, ora poliziotto, farmacista in «Légami!» e controllore sul treno di «Julieta». Lo scorso aprile Agustín e Pedro hanno annunciato la loro nuova pellicola, sempre prodotta da El Deseo, «Dolor y gloria». Le riprese sono iniziate a luglio di quest'anno, la pellicola uscirà nelle sale nel 2019.
Che ho fatto io per meritare questo? (1984)
Quarto lungometraggio di Almodóvar: dopo le storie di violenze domestiche, incesti, cambiamenti sessuali e movida madrilena di «Pepi, Luci, Bom» e gli altri film ?del mucchio?, il trentacinquenne Pedro mischia al solito grottesco una vena di surrealismo, al comico il melodramma. La musa protagonista, Carmen Maura, madre di uno spacciatore quattordicenne e un dodicenne omosessuale, ammazza il marito violento con l'osso di un prosciutto mentre un ramarro vola. Antonio Banderas è momentaneamente messo da parte: tornerà nel successivo «Matador» e sarà candidato al Goya.
Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988)
Farsa degli equivoci in un appartamento da affittare nella Madrid degli Anni 80, è una commedia frenetica che guarda alla Pop Art e alla moda dell'epoca, alla sit-com e alla pubblicità. Latentemente ispirato alla «Voce umana» tutta al telefono di Cocteau, cita «La finestra sul cortile» e un milione di altre cose. Il tema del doppiaggio e il film intero torneranno ne «Gli abbracci spezzati», dopo vent'anni esatti, col titolo «Ragazze e valige». Incredibile successo internazionale: nomination all'Oscar, al Golden Globe, al BAFTA, Osella d'Oro a Venezia, 5 Goya, 2 EFA, un David.
Légami! (1989)
Ennesima situazione paradossale: Antonio Banderas (al quinto film con Almodóvar) esce dal manicomio e decide di sposarsi con una celebre pornostar. La rapisce e, per farla innamorare di lui, la lega al letto. Lei si dimena, poi inizia ad abituarsi ?" e apprezzare ?" la situazione. In seguito alla rottura senza spiegazioni con Carmen Maura, la nuova musa di Pedro sarà Victoria Abril per altri due film. La critica non si sbraccia, ma «Légami!» segna una tappa importante verso un cinema più classico. 15 nomination ai Goya, tra cui quella per le musiche del nostro Ennio Morricone.
Carne trémula (1997)
Per la prima volta Almodóvar scrive una sceneggiatura non originale: attinge a «Carne viva» di Ruth Rendell, ma se ne allontana molto. Scrive anche a più mani, ma era già successo nel 1986 con «Matador». Se sceglie come protagonista la nostra Francesca Neri ?" che recita in spagnolo e si doppia in italiano ?" per la geniale sequenza d'apertura chiama invece a sé la giovanissima Penélope Cruz, che partorisce su un autobus il protagonista Victor tra la Spagna post-franchista e l'inizio liberatorio della movida. Ironia della sorte, diventato grande Victor si contenderà l'amore con Javier Bardem.
Tutto su mia madre (1999)
Venticinque anni esatti di carriera sono serviti ad affinare l'incredibile tecnica con cui si mescolano commedia e melodramma: alcuni critici coniano appunto il termine ?almodramma?. L'argentina Cecilia Roth capeggia un cast tutto al femminile in cui anche i pochi uomini sono diventati donne. Mettono in scena «Un tram che si chiama desiderio», ma per vivere si lasciano ispirare da «Eva contro Eva», il cui titolo originale apre il film. La consacrazione internazionale è definitiva: Oscar alla migliore pellicola in lingua straniera, Golden Globe, BAFTA e Palma alla regia, un David, 3 EFA, 7 Goya.
Parla con lei (2002)
Ancora un film che medita sulla morte, questa volta però a lungo termine: il giornalista Marco e l'infermiere Benigno (ispirato a un amico intimo di Almodóvar, Roberto Benigni) stringono amicizia accudendo due donne in coma, una ballerina e una torera. Dopo tanti personaggi femminili, iniziano a comparire quindi gli uomini ?" e fanno avanti e indietro nel tempo. Mentre Caetano Veloso canta in riva al mare, però, sono riunite ad ascoltarlo anche le interpreti di «Tutto su mia madre». Nomination all'Oscar per la regia e statuetta per la migliore sceneggiatura originale.
La mala educación (2004)
Un protagonista con doppia identità, quadrupla personalità, un flashback nel flashback nel flashback e molte scatole cinesi: sceneggiature più difficili di questa non se ne potevano scrivere. La lavorazione, per Gael García Bernal, fu particolarmente difficile: interpreta un ragazzo, suo fratello e poi un travestito che canta con la voce di Sara Montiel in un film basato sull'esperienza del regista, negli Anni 60, in un collegio religioso. Passò dal Festival di Cannes fuori concorso: grande smacco, fu poi candidato a soli 4 Goya e un BAFTA, vincendo uno dei nostri Nastri d'Argento.
Volver (2006)
Uno dei libri scritti dalla protagonista de «Il fiore del mio segreto», nel 1995, raccontava di una donna, quasi proletaria, che nasconde il cadavere del marito ?" ammazzato dalla figliastra ?" nel frigo del ristorante del vicino. È parte della trama di «Volver», elaborato dieci anni dopo e affidato a una Penélope Cruz matura e allieva di Sophia Loren. Il ruolo di Raimunda le vale la prima nomination all'Oscar e il secondo Goya, oltre a una sfilza di premi internazionali. Carmen Maura, che interpreta la madre morta, ?ritorna?, come dice il titolo, in un film di Almodóvar dopo quasi vent'anni.
Gli abbracci spezzati (2009)
Il Festival di Cannes inizia ad applaudire sottotono: eppure ci sono sequenze di grande cinema e alcuni momenti di sarcastico paradosso. Lola Dueñas è ingaggiata per interpretare il labiale nelle riprese nascoste che un vecchio ricchissimo commissiona, gelosamente ossessionato da Penélope Cruz. Lei interpreta la protagonista di «Ragazze e valige», mentre Carmen Machi parla da sola nel cortometraggio «La consigliera antropofaga», passato sulla TV spagnola un mese prima dell'uscita del film. Nomination al Golden Globe e al BAFTA, Goya alla musica del fedelissimo Alberto Iglesias.
La pelle che abito (2011)
La critica comincia a farsi sempre più severa, però «La pelle che abito» diventa il più popolare film di Pedro sul Web, con ben 14mila visualizzazioni in più di «Tutto su mia madre». È un altro adattamento da romanzo, questa volta ancora più annacquato: il libro si chiama «Tarantola» e racconta della tremenda vendetta del chirurgo Antonio Banderas ai danni del ragazzo che violentò sua figlia. La protagonista femminile avrebbe dovuto essere interpretata dalla Cruz che all'ultimo momento disdice: la sostituisce Elena Anaya, che vince il suo primo Goya. È il decimo, invece, per Alberto Iglesias.
Julieta (2016)
Nel 2013 esce «Gli amanti passeggeri» e il Telegraph scrive che è ?vertiginosamente deludente?, come solo i brutti film dei grandi registi sanno essere. Servono tre anni per tornare sullo schermo, con un adattamento dei racconti di Alice Munro, e passare per la quinta volta dal concorso di Cannes. «Julieta» mette d'accordo tutti e torna a concorrere per il Premio Oscar. Abbandonata definitivamente la commedia, si ritorna ai toni del dramma (senza il mélo) per arginare il rancore di una figlia verso sua madre: Adriana Ugarte e Emma Suárez interpretano quest'ultima in due età della vita.
il regista spagnolo ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera. Scandaloso e sentimentale, barocco e melodrammatico, (quasi) sempre sopra le righe: i suoi film non piacciono a tutti, ma hanno scritto una pagina, per molti entisiasmante, della storia del cinema
L'attore arriva al cinema italiani con uno splendido film in cui veste i panni di Pedro Almodóvar. E lo fa letteralmente: «Pedro mi ha passato i suoi vestiti di un tempo, e per quelli che non mi andavano bene ha fatto fare copie della mia misura!»