Room e i migliori film girati in una stanza (o quasi)
Un solo ambiente o una stanza, pochi personaggi e un regista visionario. Da Alfred Hitchcock a Quentin Tarantino: ecco dieci film imperdibili di questo genere
Per parlare di "Room", film di Lenny Abrahamson che è valso a Brie Larson il premio Oscar come miglior attrice protagonista, non potevamo esimerci dall'andare a recuperare i migliori film girati all'interno di un'unica stanza, o comunque di un singolo ambiente.
La tecnica è datata (Hitchcock fu il primo a provarci nel 1948), ma ancora molto attuale, soprattutto perché questo tipo di virtuosismo si adatta molto bene ai grandi registi che talvolta vogliono riproporre le dinamiche del teatro ben fatto e ben scritto al cinema (come Roman Polański in "Carnage"), mentre altre volte utilizzano l'espediente dell'ambiente unico per enfatizzare la claustrofobia di alcune situazioni (vedi David Fincher), o semplicemente per studiare come l'essere umano si comporta quando è costretto ad avere relazioni da cui non può sfuggire.
Il bello di questi film, solitamente, è il fatto che la scrittura è sublime, i tempi sono perfetti e i movimenti ben studiati a tavolino, tutte cose che trasformano la pellicola in una composizione manicale che nulla lascia al caso, in cui gli attori diventano strumenti danzanti e i registi dei maestri d'orchestra. Nulla di meglio per chi il cinema lo ama e ne vuole godere.
Abbiamo scelto dieci film ambientati in un'unica stanza o ambiente, di tutti i tipi e generi, in modo che possiate vederli (o rivederli) e apprezzarli.
Carnage, Roman Polański (2011)
Tratto dall'opera "Il Dio del massacro", "Carnage di Roman Polański" tratta della degenerazione dell'incontro tra due famiglie della borghesia newyorkese per chiarire uno spiacevole episodio accaduto ai loro figli (uno dei due ha colpito con un bastone l'altro). Le grandi formalità e le cortesie ostentate dei primi scambi lasciano gradualmente spazio al nervosismo nascosto dietro le maschere del bon ton, in una escalation inesorabile e ben studiata che finirà per rovinare irreparabilmente i rapporti. Il testo è bellissimo e curatissimo, Polański è un maestro nel raccontare la claustrofobia di quella stanza da cui nessuno sembra poter uscire. Attori perfetti, del resto sono gli ottimi Kate Winslet, Jodie Foster, Christoph Waltz e John C. Reilly. Del piccolo-grande regista polacco, si segnaliamo anche "La morte e la fanciulla" (1994) e "Venere in pelliccia" (2013), altri due piccoli capolavori girati interamente in un unico ambiente.
The Hateful Eight, Quentin Tarantino (2015)
Premiato con l'Oscar per la splendida colonna sonora di Ennio Morricone, "The Hateful Eight" è un giallo travestito da western che si ispira alle dinamiche di "Assassinio sull'Orient Express" di Agatha Christie e richiama i temi del sospetto, della paranoia e del tutti-contro-tutti già presenti ne "La cosa" (1982) di John Carpenter, di cui - ironia della sorte - fu proprio il nostro connazionale Morricone a firmare il commento musicale. Tarantiniano nel midollo (per alcuni anche troppo) e pieno di personaggi bugiardi, cattivi e molto cattivi, tutti con il grilletto facile e un atteggiamento tipicamente hobbesiano, autoconservativo e tendenzialmente vendicativo. La vicenda si svolge (quasi) interamente all'interno dell'Emporio di Minnie, in cui gli otto personaggi sono costretti a rimanere a causa di una bufera di neve. Non il miglior film di Quentin, è comunque meglio di "Django Unchained" e se fosse uscito negli anni Novanta qualcuno avrebbe gridato certamente al capolavoro.
Dobbiamo parlare, Sergio Rubini (2015)
Bell'esperimento di Sergio Rubini, che prova a mettere a confronto due coppie di amici in una commedia brillante, divertente e intelligente. Costanza e Alfredo, cinquantenni, sono in crisi a causa di qualche scappatella di troppo che il marito si sarebbe concesso e chiedono supporto morale a Vanni e Linda, due cari amici più giovani (quarantanni lui, una trentina lei) che convivono in un attico della Roma-bene. Una parola tira l'altra, e cominciano ad emergere alcuni piccoli segreti che metteranno a repentaglio la loro amicizia e l'apparentemente stabile relazione di Vanni e Linda. Molti temi, molte micro-critiche acute e un lieve cinismo di fondo che rendono "Dobbiamo parlare" un film molto interessante e fanno emergere diversi possibili modi di amare e di intendere la vita. Ritmi alleniani e confronti generazionali che ricordano Noam Baumbach, ma tutto rigorosamente all'interno degli schemi classici della commedia all'italiana.
Nodo alla gola, Alfred Hitchcock (1948)
Universalmente riconosciuto come uno dei film più importanti del gigante Alfred Hitchcock, Nodo alla gola non solo è un film girato in una unica stanza, che è la casa in cui convivono gli studenti Brandon e Philiph, ma è anche girato come se fosse un unico lungo piano-sequenza (e con gli strumenti di oggi lo sarebbe davvero). Tecnicamente impeccabile - pare ci fossero dei segni sul pavimento per segnare i movimenti degli attori e della macchina da presa- e ritmicamente perfetto, questo film si distingue anche per il tema del delitto per il piacere del delitto, perpetrato da due protagonisti annoiati che dissertano di filosofia (Nietzsche esplicitamente citato) e sfidano loro stessi mettendo in pratica le loro strampalate teorie sull'omicidio. Ma tra gli ospiti del ricevimento durante il quale si svolge la vicenda, c'è anche un invitato che pare essere molto sospettoso: il loro ex-professore Cadell (James Stewart). Da segnalare come i due protagonisti, secondo tutta una serie di teorie, sarebbero omosessuali, questo nonostante ai tempi (1948) fosse vietato dalla legge della sedicente 'civile inghilterra' mostrare al cinema persone omosessuali; il buon Hitchcock li ha fregati tutti un'altra volta.
The Big Kahuna, John Swanbeck (1999)
Tratto da una commedia teatrale, "The Big Kahuna" di John Swanbeck racconta la storia di tre agenti di commercio, venditori di lubrificanti, che debbono incontrare un loro cliente molto importante nella suite di un albergo del Midwest (siamo ovviamente negli Stati Uniti). C'è il giovane inesperto, pieno di aspettative e fervente credente Bob (Peter Facinelli), c'è il disilluso e arrogante sofista Larry (Kevin Spacey) e l'ormai irreparabilmente cinico e più anziano del gruppo Phil (Danny DeVito). L'attesa è lunga e come già avvenne in "Aspettando Godot", nel film non succede nulla, se non il fatto che i tre signori iniziano a discutere della vita confontando i loro diversi punti di vista e le loro prospettive ed esperienze. Kevin Spacey e Danny DeVito sono straordinari (come in effetti, dobbiamo ammetterlo, avviene molto spesso).
Panic Room, David Fincher (2002)
Nell'anno domini 2002, a dieci anni dal terzo Alien (il suo primo e unico), il quarantenne David Fincher arriva dagli enormi successi di "Fight Club" (1999), "The Game" (1997) e "Seven" (1995), che lo avevano già trasformato in un autore riconosciuto e riconoscibile. Anche questa volta il punto di partenza sono le ossessioni e le nevrosi fobiche dell'America e dei suoi drammi psicologici nascosti, che ci portano all'interno di una di quelle stanze-bunker in cui l'upper class si illude di potersi nascondere mettendosi al riparo dall'imprevedibile pericolosità e cattiveria del mondo là fuori. Meg (Jodie Foster) e la figlia Sarah (l'allora bambina Kristen Stewart) si trasferiscono a Manhattan, in un appartamento su tre piani che contiene una stanza blindata piena di provviste nella quale nascondersi nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto. Combinazione vuole, proprio la sera in cui le due iniziano a vivere nell'appartamento penetrano tre ladri (capitanati da Forest Withaker), ma quello che vogliono, a quanto pare, si trova proprio in quella stanza, in cui le due poverette si erano nascoste. Claustrofobico in ogni suo aspetto, dalla luci agli ambienti, con una regia perfetta, "Panic Room" sorprende nella sua prima parte, per poi perdere qualcosa nella seconda, restando comunque un film da vedere assolutamente. Più Thriller che Horror.
Shining, Stanley Kubrick (1980)
Semplicemente magnifico. Stanley Kubrick mette in scena l'omonimo libro di Stephen King e lo trasforma in uno dei film più conturbanti di sempre: Jack Torrance, un mezzo scrittore in cerca di tranquillità e di un lavoro che gli permetta di scrivere, accetta di custodire l'Overlook Hotel, in cima alle montagne del Colorado, per il periodo invernale; si trasferirà lì con i suoi cari (moglie e figlio) occupando una stanza e facendo piccoli lavori di manutenzione. Purtroppo l'isolamento giocherà un brutto scherzo al nostro buon padre di famiglia, che piano piano si trasformerà in un completo pazzo omicida, di quelli che hanno visioni allucinate e girano con un'ascia in mano. Jack Nicholson, in stato di grazia, entrerà nei vostri incubi peggiori per anni e anni.
Cube - Il cubo, Vincenzo Natali (1997)
Immaginete di svegliarvi una mattina all'interno di un cubo di tre metri per tre con sei porticine quadrate, una per ciascuna parete. Non avete idea di come ci siate arrivati e provando a uscire dalle porte vi accorgete che dietro ogni porta c'è un altro cubo, identico al precedente per forma, ma di diverso colore. E così via per il cubo successivo, fino a che non vi accorgete che non siete soli, ma che neanche gli altri hanno idea di cosa stia succedendo. Come vi comportereste? Vi fidereste delle altre persone? Ma soprattutto: chi diavolo vi ha messo lì dentro? Perché lo ha fatto? E perché in alcuni cubi ci sono delle trappole mortali? Film che avevamo amato quando uscì al cinema, di un regista canadese ma di origine italiana, che parte da una eccellente e allucinante premessa, per trasformarsi in un thriller darwiniano in cui l'estetica futuristica degli ambienti si contrappone agli istinti primordiali che muovono i personaggi. Ci fu un seguito niente male nel 2002 ("Hypercube") girato dal direttore della fotografia di "Pulp Fiction" (suo unico film da regista). Astenersi claustrofobici e stomaci deboli.
Locke, Steven Knight (2013)
Fantastica sorpresa del Festival di Venezia del 2013 (non era in gara, ma il Direttore del Festival dichiarò a posteriori di essersi pentito di non averlo inserito nella lista del Concorso), "Locke" è la storia di un uomo - uno straordinario Tom Hardy - che guida verso Londra a fine giornata e, in sostanza, si gioca la sua vita nell'ora e mezza di viaggio in cui lo vediamo parlare al telefono con sua moglie, con dei suoi colleghi e con una sua ex amante (roba di una notte e niente più). Il film è girato in tempo reale e sullo schermo altro non c'è che Ivan Locke - questo il nome del personaggio - mentre guida e parla, ma è un thriller avvincente come pochi se ne sono visti, perché è scritto meravigliosamente e perché Tom Hardy si ri-dimostra attore profondissimo e magnetico. Non ascolterete mai con tanta attenzione un signore che parla di calcestruzzo e palazzi in costruzione. Scritto e diretto da Steven Knight, già sceneggiatore de "La promessa dell'assassino" di Cronenberg.
Melbourne, Nima Javidi (2014)
Non si dica che il cinema iraniano è noioso, perché la nuova generazione di cineasti dell'ex Persia, capitanata da Asghar Farhadi ("Una Separazione", "Le passé") ha da insegnarci davvero tante cose su come si scrive e si gira un film. Il giovane Nima Javidi è uno dei più promettenti registi di questa nuova ondata e il suo Melbourne è girato interamente nell'appartamento di una coppia di fidanzati che sta per trasferirsi in Australia per motivi di studio e lavoro. Il giorno prima di partire, però, la baby sitter della vicina affida loro per qualche ora il neonato di cui dovrebbe prendersi cura, ma tra una valigia e l'altra, il bambino (che è sul letto e sta dormendo) smette di dare segni di vita: è morto. Il panico dei due giovani, il loro senso di colpa e la gravità della situazione li porta a dire e fare cose che nessuno dei due -e neanche noi- si sarebbe mai aspettato. Lui (Peyman Moaadi) è bravissimo, lei semplicemente splendida. Finale tremendo, film da recuperare assolutamente.