Drammi, commedie, documentari, videoclip e serie TV: il regista di Atlanta racconta dagli anni Ottanta la condizione afroamericana con una sola regola: “a Spike Lee joint”
«Ho sempre ambito, nel caso in cui avessi avuto successo, a tentare di fare un ritratto più veritiero, al negativo e al positivo, degli afroamericani» disse nel 2007 alla monografia di Fernanda Moneta; e poi nel 2016, quando ritirò il Premio Oscar alla Carriera: «Noi neri non siamo ancora entrati nelle stanze dei bottoni». Fu proprio lui, Spike Lee, a far partire il boicottaggio per gli Academy Awards, lamentandosi che tra i venti attori candidati non ci fossero interpreti di colore: con l'hashtag #OscarSoWhite chiamò a raccolta, tra gli altri, Jada Pinkett Smith e il reverendo Al Sharpton. Oggi quindi possiamo dire che sì, ce l'ha fatta: sia ad avere successo che a fotografare la condizione degli afroamericani.
Nato nel 1957 ad Atlanta, in Georgia, frequentò la New York University Film School insieme a Martin Scorsese e si diplomò con un mediometraggio che fu subito premiato a Locarno. Prima di scrivere e girare il suo primo film, si rese indipendente aprendo una propria casa di produzione, la Forty Acres & A Mule. Alle storie orgogliosamente black inizia ad aggiungere la musica jazz, influenzato soprattutto dal mestiere del padre. Con «Fa' la cosa giusta», il lungometraggio che lo porta alla prima candidatura all'Oscar nel 1990 come miglior sceneggiatore, cominciano ad arrivare le prime critiche: che un afroamericano sia razzista verso gli altri gruppi etnici, in particolare italoamericani ed ebrei.
La prima metà degli Anni 90, nonostante tutto, lo consacrerà, tra produzioni colossali («Malcolm X») e pellicole più intime («Crooklyn», «Jungle fever»), sempre mirate a raccontare lotte e integrazioni razziali. La fine della decade, invece, non brilla per recensioni positive, fino al giro di boa sorprendente di «Summer of Sam», nel quale racconta per la prima volta una comunità diversa da quella nera. Per il suo capolavoro, però, bisogna aspettare i primi anni Duemila, con l'analisi del clima emotivo americano dopo l'attacco alle Torri Gemelle de «La 25a ora».
Nei titoli di testa di tutti i suoi film appare, irrimediabilmente, la scritta «a Spike Lee joint». Non importa che siano documentari per il grande o per il piccolo schermo, videoclip musicali, segmenti in film collettivi, episodi di serie televisive (l'ultima, «She's gotta have it», è il remake del suo primo film). Mentre prosegue la collaborazione con Netflix, ha già annunciato che la sua prossima pellicola sarà «Nightwatch», ma il 27 settembre arriverà nelle nostre sale «BlacKkKlansman», a tre anni esatti da «Chi-Raq», il film con cui è tornato al Festival di Cannes e con cui ha vinto il Gran Premio della Giuria presieduta da Cate Blanchett: il primo grande riconoscimento dal Festival francese.
Lola darling (1986)
Menage a quattro tra Lola e due uomini che la vorrebbero, come la stanza, tutta per sé. Il primo lungometraggio di Lee, girato con 35mila dollari e con un cast ?all black?, fu il primo film nero indipendente ad essere distribuito a livello internazionale. Tutto in scala di grigi, eccetto una sequenza a colori. Musiche di Bill Lee, padre di Spike, che compare in un cameo insieme alla figlia Joie. Nel 2017 è diventato una serie tv per Netflix di 10 episodi che ha mantenuto il titolo originale del film: «She's gotta have it».
Fa' la cosa giusta (1989)
Brooklyn: nel ghetto di Bedford Stuyvesant scoppia una violenta rissa tra gli abitanti neri del quartiere e i proprietari italiani di una pizzeria; si consumerà in due citazioni sulla violenza: una di Martin Luther King e l'altra di Malcolm X. Ispirato a un fatto di cronaca del 1986 (la tragedia di Howard Brach, quando un nero fu ucciso da una banda di adolescenti), musicato ancora una volta da Bill Lee e interpretato dallo stesso Spike insieme al grande Danny Aiello. Candidato a 2 Oscar, 4 Golden Globes e alla Palma d'Oro.
Jungle fever (1991)
Architetto nero intraprende una relazione con la collega italoamericana: lui ha moglie e figlia, lei ha padre e fratelli a carico. Da entrambi le parti si scatena il putiferio. Una storia semplice raccontata da punti diversi: uomini, donne, bianchi, neri. Le musiche sono di Stevie Wonder e Terence Blanchard, nel cast John Turturro, Anthony Quinn, lo stesso Lee e Queen Latifah che interpreta la cameriera razzista. Menzione speciale della Giuria Ecumenica a Cannes 44 e premio a Samuel L. Jackson come miglior attore non protagonista.
Malcolm X (1992)
Storia dell'afroamericano Malcolm Little, scritta dall'Arnold Perl già autore del documentario omonimo del '72. Dalla violenza del Ku Klux Klan al cognome imposto dalla società bianca, fino ai ghetti neri e la prigione; l'incontro con Elijah Muhammad prima e poi il pellegrinaggio alla Mecca rendono Malcolm un paladino inflessibile dei diritti dei neri. 3 ore e 22 minuti sorretti da Denzel Washington, Orso d'Argento a Berlino e candidato al Golden Globe e all'Oscar come attore protagonista. Nomination anche per i costumi.
4 little girls (1997)
Le quattro bambine del titolo rimasero uccise in una chiesa battista di Birmingham, nell'Alabama, in seguito all'esplosione di una bomba il 15 settembre 1963, durante la messa della domenica. La strage rimase senza colpevole fino al 1977, quando fu riconosciuto responsabile un membro del Ku Klux Klan, condannato all'ergastolo. Nato sulla HBO, il film fu proiettato in un cinema di New York il 13 luglio 1997 e fu poi distribuito in tutte le sale degli Stati Uniti. Nomination all'Oscar per il miglior documentario e 5 candidature agli Emmy Awards.
He got game (1998)
Condannato a vent'anni per aver ammazzato involontariamente la moglie, Denzel Washington ottiene una settimana di libertà vigilata per convincere il figlio diciottenne, famoso giocatore di basket, che lo odia, ad accettare una borsa di studio per l'università tanto amata dal direttore del carcere. Le sequenze della pallacanestro sono puro cinema: compaiono da Michael Jordan a Shaquille O'Neal. Metà colonna sonora è composta dai Public Enemy. Ray Allen fu candidato all'MTV Movie Award come miglior attore emergente.
La 25a ora (2002)
Il primo film post-11 settembre di Lee è l'adattamento (dello scrittore stesso) del romanzo di David Benioff, traslato però in un'America inginocchiata dalla tragedia. Edward Norton interpreta uno spacciatore nell'ultimo giorno di libertà prima di andare in prigione per sette anni: col sospetto che la fidanzata lo tradisca e abbandonato dagli amici, l'unico conforto arriverà dal padre. In concorso al 53esimo Festival di Berlino, fu candidato al Golden Globe e a moltissimi altri premi per le musiche originali composte da Terence Blanchard.
Inside man (2006)
Molto prima de «La casa di carta», Clive Owen faceva irruzione in una banca di Broadway insieme a due uomini e una donna: sequestravano cinquanta ostaggi, li vestivano come loro, tergiversavano all'interno senza interesse per i soldi. Danzel Washington era il detective, Jodie Foster la negoziatrice. La sceneggiatura d'esordio di Russell Gewirtz doveva rilanciare la carriera di Spike Lee dopo il flop di «Lei mi odia»: ci riuscì, ma a nessuno dei due andò più così bene. L'American Film Institute lo inserì tra i migliori film del 2007.
When the levees broke (2006)
Miniserie TV o documentario in quattro parti sulla devastazione di New Orleans dopo l'uragano Katrina del 2005. Spike Lee dimostra che la negligenza nei soccorsi ha fatto gran parte dei danni: i politici litigano, gli sfollati vengono ammassati e lasciati senza acqua, le assicurazioni non rispettano gli accordi e le agenzie speculano sugli immobili. Bush preferisce mandare i soldati in Iraq che i medici dai neri. 3 Emmy, tra cui la migliore regia, Premio Orizzonti per il documentario e Premio FIPRESCI al Festival di Venezia.
Bad 25 (2012)
Dopo aver contribuito a finanziare «Malcom X», Michael Jackson chiese che la regia del video di «They don't care about us» fosse affidata a Spike Lee. Siccome la clip mostrava scene di violenza in una prigione, MTV costrinse i due a girarne una nuova versione: ma anche questa, filmata in Brasile, creò problemi. Dopo la morte del cantante, nel 2009, Lee ha diretto il video tributo «This is it» e, nel 2012, il documentario che celebra i 25 anni trascorsi dall'album «Bad».
BlacKkKlansman (2018)
L'adattamento del libro «Black Klansman», scritto dall'ex poliziotto Ron Stallworth, riporta Spike nel concorso di Cannes dopo ben 27 anni. È la storia dello stesso Stallworth, interpretato da John David Washington, che dopo la laurea, a Denver, si imbatte prima nel leader afroamericano Stokey Carmichael e poi nel Ku Klux Klan locale, dove diventa membro ?al telefono?: non può mostrare, ovviamente, il colore della sua pelle. Si fa sostituire, allora, da Adam Driver. Gran Premio e menzione speciale della Giuria Ecumenica al 71esimo Festival.
Sono stati ufficiaizzati i nomi dei presidenti delle giurie dei Festival del cinema di Cannes (dal 12 al 23 maggio) e di Venezia (dal 2 al 12 settembre)