Il premio Oscar per il miglior film d’animazione è incredibilmente recente: è stato istituito, infatti, solo nel 2001. La prima pellicola animata a vincere la statuetta fu «Shrek»; la seconda, «La città incantata». Nessuno di questi due titoli era firmato Disney. Gli Studios, pionieri della tecnologia, non solo hanno dovuto aspettare che l’Academy fondasse un Premio Oscar per i lungometraggi (quello per i cortometraggi animati già esisteva e “zio” Walt l’aveva vinto 12 volte), ma hanno dovuto aspettare fino al 2013 per vincerlo, con il neo-cult Frozen, senza contare gli onorari a Biancaneve e Fantasia. Prima di queste date la Disney concorreva quasi solamente per le canzoni originali e le colonne sonore – anche se conosciamo più o meno tutti l’eccezione: nel 1992 «La bella e la bestia» fu il primo film animato ad essere candidato a sei Premi Oscar, il primo film animato della storia ad essere candidato come miglior film – contro pellicole come «Il silenzio degli innocenti» e «JFK».
L’anno successivo a «Frozen», la Disney Animation ha portato a casa la sua seconda e ultima statuetta, a sorpresa, grazie a «Big hero 6». Il record di vittorie lo detiene, prevedibilmente, la Pixar, con 8 Oscar su 10 nomine. Senza «Alla ricerca di Dory», però, quest’anno la società di Pete Docter è fuori dai giochi, mentre gli animatori cugini fanno doppietta con «Oceania» e «Zootropolis».
Nonostante l’ovvio patriottismo, con gli anni la categoria dell’animazione ha imparato ad aprirsi al mondo: alla produzione europea, soprattutto francese (da «Appuntamento a Belleville» a «Persepolis», passando per «Un gatto a Parigi» e «Ernest & Celestine») e irlandese («The secret of kells», «La canzone del mare»), ma anche a quella più prolifica giapponese e addirittura sudamericana («Chico & Rita», «Il bambino che scoprì il mondo»). Le nomination in questi casi non davano grandi speranze di vittoria; però aprivano e aprono tutt’oggi gli studi candidati a numerose prospettive future.
Zootropolis (Walt Disney Animation)
In una paese di animali antropomorfi una coniglietta – femmina e preda – dichiara alla fine di una recita scolastica: «da grande farò poliziotto!». I genitori sussultano perché quello del poliziotto è un lavoro 1) da maschi e 2) da predatori – ma con la giusta costanza, l’istruzione militare e il trasferimento nella più grande città di Zootropolis la coniglietto Judy ce la farà. La metteranno, ovviamente, a fare multe alle macchine in doppia fila – e meno male!, perché solo così potrà scontrarsi con la truffaldina volpe Nick, con la quale riuscirà ad essere utile alla corrotta politica cittadina. Grazie forse anche al risvolto crime (sono coinvolti, tra gli altri, il sindaco e la scienifica) Zootropolis, uscito da noi a inizio 2016, è uno degli unici tre film capaci di superare il miliardo di dollari di incasso globale nell'anno. Non solo: è anche il quinto film d’animazione più visto della storia, il secondo di casa Disney dopo Frozen, ed è in corsa per i 44esimi Annie Awards, i premi del cinema d'animazione, con ben 11 nominations. La canzone originale Try everything, invece, interpretata da Shakira che dà la voce anche a uno dei personaggi, la popstar Gazelle, è candidata al GRAMMY Award.
Kubo e la spada magica (Laika)
Lo studio fondato da Phil Knight (il presidente della Nike) ha al suo attivo solo quattro lungometraggi ma tutti e quattro hanno ottenuto una nomination dall’Academy e il primo, indimenticabile, si chiamava Coraline e la porta magica. La Laika questa volta fa doppietta, perché Kubo è candidato anche agli effetti speciali – insolito per un film d’animazione, a meno che non si tratti di animazione ripresa. La tecnica di cui gli studios sono maestri infatti è lo stop motion, e in questo caso fanno centro due volte perché al tradizionale passo-uno aggiungono le storie nelle storie raccontate attraverso gli origami, l’antica arte che dello stop motion si può dire precorritrice. Non mancano gli elementi e le ambientazioni cupe che hanno caratterizzato i precedenti ParaNorman e Boxtrolls: Kubo infatti, bambino nel Medioevo orientale, non ha un occhio: suo nonno glielo strappò alla nascita giurando di strappargli anche l'altro, se solo riuscisse a incontrarlo per strada di notte. Il ragazzo quindi è costretto a non uscire dopo il tramonto, e si prende cura della madre che, rimasta vedova, ha perso la ragione – e che in realtà nasconde un segreto “magico”.
La tartaruga rossa (Wild Bunch / Studio Ghibli)
Il tempio sacro dell’animazione giapponese, lo Studio Ghibli, fondato dai maestri Hayao Miyazaki e Isao Takahata, dal 1983 sforna solo capolavori. Negli ultimi anni, però, si è visto costretto ad affrontare il cambio generazionale: dopo Si alza il vento, ad esempio, in concorso al Festival di Venezia e candidato all’Oscar, lo stesso Miyazaki annuncia il pensionamento. Nel 2014 Hiromasa Yonebayashi, animatore storico, abbandona lo studio e firma Quando c’era Marnie, altra nomination all’Oscar. In questo clima movimentato arriva al Festival di Cannes, nella sezione Un certain regard, La tartaruga rossa, che è una inusuale co-produzione franco-giapponese ed è, ancora più inusuale, completamente muto. Durante un naufragio un uomo si ritrova su un'isola tropicale abitata solo da uccelli esotici e tartarughe. Cerca di utilizzare il lego della sua imbarcazione per costruire una zattera con cui scappare, ma il mare ha il sopravvento. Si ritrova a dover combattere contro una enorme tartaruga rossa, che abbandona, ribaltata, sotto al sole. Si tramuterà in una misteriosa ragazza con cui il protagonista dovrà convivere. Cinque nomination agli Annie Awards incluse quelle per la regia e il miglior film indipendente. In questa categoria se la dovrà vedere con Your name., lungometraggio fantasy di Makoto Shinkai capace di incassare nel solo Giappone 23 miliardi di yen.
La mia vita da zucchina (Blue Spirit Animation)
Céline Sciamma ha dimostrato perfettamente di saper raccontare i turbamenti della crescita tanto come regista che come sceneggiatrice. Non poteva non innamorarsi dell’Autobiografia di una zucchina di Gilles Paris che ha adattato per il grande schermo e affidato all’animatore Claude Barras, al suo primo lungometraggio. Attraverso lo stop-motion raccontano una storia più per adulti che per piccini: comincia infatti con la morte accidentale di una madre alcolizzata per mano di un bambino già orfano e prosegue nel centro d’accoglienza per figli di tossici e ragazzini abbandonati dove il bullismo è una fase obbligatoria dell’accoglienza. Eppure qui Icar, soprannominato da sempre Zucchina, scopre l’amicizia e il senso di famiglia, l’affetto e quelle prime turbolenze che si confondono con l’amore. Il precedente e unico altro film della Blue Spirit era un’ambiziosa opera meta-pittorica che si svolgeva all’interno di un dipinto, dal titolo La tela animata. La mia vita da zucchina ha anche rappresentato la Svizzera nella categoria del miglior film straniero.
Oceania (Walt Disney Animation)
Dopo essersi chiamata Pocahontas, poi Mulan e poi ancora Merida – la figlia di un capo severo che sfida l’autorità paterna per salvare il suo popolo, adesso, prende il nome d’arte di Vaiana – perché l’originale Moana, in Italia, era compromesso. L’indivisibile duo di registi Ron Clements e John Musker – insieme dagli anni Ottanta già dietro a La sirenetta, Aladdin, Hercules e La principessa e il ranocchio – attinge al vero mistero polinesiano per cui improvvisamente, tremila anni fa, la gente smise di viaggiare per mare, quell’Oceano Pacifico che unisce, e non separa, i territori. Per spiegarlo attinge anche alla mitologia locale: il semidio metaforma Maui rubò il cuore di Te Fiti, l’isola madre creatrice, per donarlo all’umanità: ma fu attaccato dalla lava di Te Kā, e il cuore – una piccola pietra verde – cadde nel mare. L'Oceano stesso sceglierà la piccola Vaiana Waialiki per ripristinare il cuore della dea. Con questa eroina e la principessa di Avalor Elena, latinoamericana, protagonista dell'omonima serie in onda su Disney Channel da Novembre 2016, gli studios proseguono la loro raccolta di nazionalità per caratterizzare le proprie protagoniste.