Paola Cortellesi: «Vivo mille vite ma quella che amo di più è la mia»

Nel film "Ma cosa ci dice il cervello" è una super mamma con molte identità sorprendenti. «Un po’ come nella realtà...»

Paola Cortellesi
25 Aprile 2019 alle 08:35

Nel suo nuovo film Paola Cortellesi ha una doppia vita. Ma anche in quella vera non scherza, come ci racconta in questa intervista. L’occasione è l’uscita di “Ma cosa ci dice il cervello”, una commedia in cui l’attrice fa il mestiere più avventuroso del mondo: l’agente segreto. Il problema è che non può dirlo a nessuno, neppure alla figlia, che la crede una grigissima impiegata del ministero. E deve subire la concorrenza degli altri genitori, molto più ammirati.

Paola, il suo personaggio soffre perché vive nell’ombra. Lei al contrario gira il mondo, vince premi, è inseguita dai fotografi. Insomma, è una diva.
«Ma neanche troppo, sa? Chi pensa che la vita dell’attrice sia tutta feste e lustrini dovrebbe vedermi quando suona la sveglia alle 4 di mattina perché bisogna girare con la luce dell’alba. Mi tiro su e vado sul set in tuta. Poi sto seduta due ore al trucco. E magari passo l’intera giornata a ripetere la stessa scena: e riprendila da sopra e riprendila da sotto... Non è così glamour».

Però qualche giorno fa un giornale economico ha scritto che “la Cortellesi vale 250 milioni” per via degli incassi che garantisce con i suoi film. Altro che “L’uomo da sei milioni di dollari” del vecchio telefilm. Con titoloni così sarà facile stupire la sua bambina.
«Io le spiego sempre che il mio è un lavoro di squadra e che, anche quando va bene, il successo va condiviso con altre cento persone, perché un film è un’opera corale. Poi, certo, quella più in vista sono io».

Il regista di questo e altri suoi film, Riccardo Milani, è anche suo marito. Vi portate il lavoro a casa?
«Beh, per forza, visto che spesso le riunioni di sceneggiatura le facciamo in salotto. Poi torna la bambina da scuola, si pranza insieme... Non ci siamo solo noi due però: i film li scriviamo con Furio Andreotti e Giulia Calenda. E per fortuna, perché quando abbiamo idee opposte su una scena, ci rivolgiamo a loro».

Vi capita di litigare, in questi casi?
«Quando cominciamo gli altri due intonano la sigla di “Casa Vianello” per prenderci in giro. Veda un po’ lei... Ci capita anche di litigare a casa e fare la pace sul set. Lì è più facile, il rapporto diventa meno diretto e più professionale».

Si litiga tanto anche nel film, che prende di mira la maleducazione imperante. La protagonista userà i suoi travestimenti per vendicare i piccoli e grandi soprusi subiti dagli amici...
«Tutte persone che fanno lavori difficili e anziché i “grazie” si beccano gli insulti: Stefano Fresi è un insegnante, Lucia Mascino un medico, Claudia Pandolfi una hostess, Vinicio Marchioni un allenatore. E poi ci sono Carla Signoris, Giampaolo Morelli, Remo Girone, Paola Minaccioni, Ricky Memphis... un lavoro di squadra, appunto».

Ma a lei è mai capitato di trattar male qualcuno?
«Il massimo che ho fatto è stato inseguire con la macchina una signora che mi aveva insultato. Stavo girando attorno all’isolato per sorprenderla dall’altra parte quando ho pensato: “Ma che sto facendo?” e ho lasciato perdere. Io almeno poi mi pento. Oggi il problema è che tanta gente va fiera della sua maleducazione».

E le scene sugli 007 come le avete inventate?
«Abbiamo parlato con ex agenti segreti in pensione, tutte donne: i familiari spesso le sottovalutano perché non sanno nulla del loro lavoro. Ci vuole un bello spirito di sacrificio».

Le sequenze delle missioni sono spettacolari. Lei fa anche un salto alla Tom Cruise che è pure nel trailer...
«Mi è costato due mesi di allenamento con lo stuntman Emiliano Novelli. Ero appesa a una gru e a una carrucola con due cavi invisibili. Al momento di saltare mi sono chiesta: “La faccio la sbracciata alla Tom Cruise?”. Alla fine non ho resistito: rende il salto tanto più spettacolare... Ora spero che Tom non mi chieda i diritti d’autore».

Se come le capita nel film dovesse spiegare ai bambini di una scuola la cosa più sorprendente che ha fatto per lavoro, quale sceglierebbe?
«Potrei raccontare le scene girate in Marocco per questa commedia: il volo in elicottero e gli inseguimenti per le strade di Marrakech. Ma ripensandoci, credo che direi un’altra cosa: e cioè che, grazie al mio lavoro, potrò continuare a giocare a “facciamo che io ero...” per tutta la vita».

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