Ken Follett: «Per scrivere i miei libri io ci vivo dentro»

Abbiamo incontrato uno dei più grandi scrittori del mondo in occasione dell’uscita del suo nuovo best seller «La colonna di fuoco»

Ken Follett a Hatfield House, residenza della regina Elisabetta I  Credit: © Olivier Favre
14 Settembre 2017 alle 12:09

«Attento! Questa barca è molto scivolosa». A mettermi in guardia, mentre mi tende la mano per aiutarmi a salire a bordo, è Ken Follett, uno degli scrittori più famosi al mondo. Il romanziere inglese ha venduto oltre 160 milioni di libri in 80 Paesi e si ritrova regolarmente in cima alle classifiche di diffusione ogni volta che sforna un nuovo romanzo.

• «La colonna di fuoco», il nuovo romanzo di Ken Follett

Ho la fortuna di poter passare due giorni in sua compagnia e mi trovo in Scozia in occasione della presentazione del suo nuovo romanzo, «La colonna di fuoco» (qui tutte le informazioni sul libro), in libreria in questi giorni, e capisco subito che sarà un’intervista parecchio movimentata. Si svolgerà infatti, nell’ordine: su una barca che ci porta a visitare la prigione della regina Maria Stuarda (tra i protagonisti del romanzo) su un’isoletta del lago scozzese Loch Leven, in un castello trasformato in un resort di proprietà del tennista Andy Murray, in una alcolicissima cena a Edimburgo e infine nella sua lussuosa suite.

Ma cominciamo dal principio.

Intervista a Ken Follett

Perché mi ha portato su questa isoletta ventosa?
«Perché è l’unico modo per capire come lavoro quando scrivo un libro. Per completare quest’ultimo ci ho messo tre anni, il primo solo di ricerche e sopralluoghi. È necessario che io veda coi miei occhi ciò di cui scrivo, e dato che in un capitolo racconto della prigionia della regina di Scozia Maria Stuarda, sono venuto più volte tra questi ruderi per capire come ha vissuto qui e come ha fatto a fuggire».
Immagino che questa sia la parte più bella del suo lavoro.
«È senz’altro la più interessante, ma amo molto anche la parte di scrittura. Io lavoro così: per circa un anno faccio ricerche e mi documento, spesso viaggiando. Nel secondo anno butto giù la prima stesura del libro, e questa è la parte più difficile, mentre nel terzo metto a punto la versione definitiva. E questa è la parte che preferisco perché vedo avvicinarsi la meta».
Come si svolge la sua giornata lavorativa?
«Mi sveglio presto e alle sette mi metto al computer. Dopo pranzo continuo a scrivere fino alle 17, poi per circa un’ora rispondo alle mail e da qualche anno ho dovuto introdurre nella mia routine una sessione di ginnastica per tenermi in forma. Il sabato e la domenica non lavoro. La sera, se non esco a cena, guardo la tv con mia moglie Barbara».
Cosa guarda in televisione?
«Principalmente serie tv come “Il trono di spade”. Ora voglio vedere la fiction sulla vita di Ian Fleming: i suoi libri su James Bond sono il motivo che mi ha spinto a diventare scrittore».
Com’è diventato un romanziere?
«Avevo 24 anni e facevo il giornalista a Londra. Un giorno mi si ruppe l’auto e mi chiesero 200 sterline per ripararla. Mi ero appena sposato e avevo da poco avuto un figlio; pensai che scrivere racconti poteva essere un modo per guadagnare i soldi che mi servivano. Ne scrissi uno e l’editore del mio giornale lo pubblicò. Da allora non mi sono più fermato».

Nel frattempo, dopo un pranzo veloce nella tenuta scozzese (trasformata in hotel di lusso) del tennista Andy Murray in cui Follett mi ha raccontato tutte le complesse ricerche necessarie alla stesura del libro, ci siamo spostati in uno dei migliori ristoranti di Edimburgo per la cena. A questo punto è più che evidente che l’attenzione dello scrittore per il buon cibo e i comfort è «maniacale» quasi quanto la precisione delle sue ricostruzioni storiche. Infatti, mentre ci accingiamo a gustarci l’aperitivo, Follett, che da buon gallese ha la risata sempre pronta, alza in segno di brindisi una coppa di champagne e mi invita ad apprezzarne l’annata particolarmente ben riuscita.

Ha iniziato ad amare il lusso da quando è diventato ricco?
«In realtà no, amavo lo champagne,  gli abiti di sartoria e altre belle cose già prima, ma purtroppo non potevo permettermeli (sorride)».
Quali «vizi» ama concedersi?
«Oltre alla mia passione per lo champagne, di cui ho una cantina con oltre 2.000 bottiglie, e il buon cibo, più che altro mi piace viaggiare con tutti i comfort e quindi, quando è possibile, volo su un jet privato e scelgo con cura i migliori alberghi nei quali cerco di farmi riservare sempre la suite presidenziale (fa un cenno con la mano per mostrare l’enorme camera in cui nel frattempo ci siamo spostati per proseguire l’intervista, ndr). Inoltre ho una certa passione per le Rolls-Royce; attualmente ne possiedo un paio».
E quando non è in viaggio per i suoi sopralluoghi?
«Ogni lunedì amo suonare con la mia band, i “Damn Right I’ve got the Blues”. Il mio strumento è il basso e facciamo prevalentemente cover blues, pescando soprattutto da un repertorio Anni 50 e 60: il mio mito è B. B. King. Quando è possibile facciamo anche qualche concerto, soprattutto ai festival musicali. E poi con i miei amici ci siamo inventati un giochetto molto divertente...».
Di cosa si tratta?
«Ogni tanto decidiamo insieme un drink che incontra il gusto di tutti, per esempio il Martini cocktail, e giriamo per i migliori bar di Londra per stabilire dove lo preparano meglio.
E prendiamo la cosa molto seriamente: un mio amico disegnatore grafico, che è anche l’autore delle copertine dei miei libri, prepara delle schede prestampate sulle quali esprimiamo i nostri voti per decretare il cocktail vincitore».
E poi, dopo tutti quei drink, chi guida la Rolls-Royce?
«Ah no, in queste serate la guida il mio autista!».
Sembra molto divertente. Senta, anch’io, come lei, ho iniziato facendo il giornalista, amo lo champagne e mi vedrei bene su una Rolls-Royce: ha qualche consiglio?
«Facile: scrivi subito un romanzo! (ridacchia di gusto)».

Seguici