Alla scoperta del “contact tracing”, il lavoro dei detective che inseguono il virus

Per capire chi è a rischio serve una vera e propria indagine caso per caso. Un’esperta ci spiega come funziona il lavoro dei 10 mila “tracciatori” incaricati di combattere la diffusione del contagio

Dottoressa Chiara Ceccaroli, dirigente della struttura di Igiene e Profilassi della Asl 3 di Genova
12 Novembre 2020 alle 08:24

In Italia sono circa 10 mila, ma ne servirebbero di più. Parliamo dei “tracciatori”, quelle persone che si occupano di trovare chi, spesso senza saperlo, è stato a stretto contatto con un positivo al coronavirus. Veri e propri “detective del virus”, incaricati di scovarlo ovunque si trovi e bloccarlo prima che possa fare altri danni con la propagazione del contagio.

Ma come funziona davvero il loro lavoro? E cosa succede se un “tracciatore” dovesse telefonare... proprio a noi? Per capirlo meglio abbiamo rivolto alcune domande alla dottoressa Chiara Ceccaroli, dirigente della struttura di Igiene e Profilassi della Asl 3 di Genova.

Dottoressa, chi sono i “tracciatori”?
«Sono dipendenti del settore di profilassi e igiene del territorio delle singole Asl, con una formazione nel campo della prevenzione medica».

Come funziona il contact tracing?
«Ogni medico che diagnostica un caso di positività ha l’obbligo di comunicarlo alla Asl. Altri nominativi arrivano dagli ospedali e dai laboratori che fanno i tamponi. Il “tracciatore” contatta la persona positiva, solitamente al telefono, e la intervista per ricostruire tutti i suoi contatti, da 48 ore prima della comparsa dei sintomi (o del tampone positivo) fino al momento in cui è entrata in isolamento».

E poi?
«Le persone individuate sono divise in due gruppi: “Alto rischio” (chiunque sia stato vicino a un positivo per più di 15 minuti, a una distanza inferiore ai due metri) e “Basso rischio” (tutti gli altri). A questo punto chi fa parte del primo gruppo viene contattato per comunicargli la notizia e l’obbligo di mettersi in quarantena».

Quanto dura la quarantena?
«14 giorni, che scendono a 10 se al decimo giorno si risulta negativi a un tampone».

Ma come si fa a garantire che l’obbligo di quarantena sia rispettato?
«I nomi dei positivi e delle persone in quarantena obbligatoria sono inseriti in una banca dati informatica a cui ha accesso anche la Questura, per i controlli del caso (i positivi che non rispettano l’obbligo rischiano una multa fino a 5 mila euro, ma soprattutto l’arresto e una denuncia penale per reato contro la salute pubblica; più lievi le misure per chi è semplicemente in quarantena ma non positivo, ndr)».

E chi è nel gruppo a “Basso rischio”?
«Viene comunque avvisato perché limiti i suoi contatti e per consigliargli di fare un tampone, ma non ci sono obblighi».

Quanto tempo ci vuole per “tracciare” ogni singolo caso?
«Nei casi più semplici meno di mezz’ora. In quelli complicati, molto di più. Il tracciatore è un po’ come un detective che deve scoprire i possibili movimenti del virus. I testimoni più affidabili, oltre al positivo e ai suoi familiari, sono il suo medico di base, amici e colleghi di lavoro. Spesso riusciamo a individuare con una certa facilità i nomi dei contatti, ma poi riuscire a parlarci può essere complicato e prendere molto tempo».

E se il positivo nel frattempo ha preso un aereo o un treno?
«Vengono avvisate le compagnie di viaggio, che si occupano di rintracciare le persone che erano sedute vicino al positivo».

È vero che, con l’aumentare dei contagi, riuscire a tracciare tutti diventa un’utopia?
«Più salgono i numeri e più è difficile il nostro lavoro. Ma tutto quello che si può fare va fatto, perché è comunque utile».

Per chi ha scaricato la app “Immuni” il tracciamento serve comunque?
«Sì. “Immuni” affianca il lavoro dei tracciatori, ma non si sovrappone. Infatti noi possiamo rintracciare solo le persone che il positivo ricorda di avere incontrato, invece la app individua soprattutto gli sconosciuti che gli si sono avvicinati nei giorni a rischio».

Come la mettiamo con le regole sulla privacy? La persona positiva al virus può rifiutarsi di rispondere alle domande dei “tracciatori”?
«In teoria non è obbligata a rispondere. Visto però che c’è in gioco la salute delle persone, contiamo sulla sua collaborazione».

Quando avvertite i “contatti” cosa dite?
«Non facciamo il nome del positivo, diciamo solo “il giorno X lei ha avuto un contatto a rischio”. Fanno eccezione i conviventi, perché dobbiamo dare istruzioni su come comportarsi durante la quarantena del positivo».

E con “Immuni” cosa succede?
«Qui il livello di privacy è ancora più alto: perché l’app possa inviare gli avvisi alle persone a rischio ci vuole prima l’autorizzazione del positivo. Inoltre noi non conosciamo mai i nomi di questi “contatti”. Le persone ricevono un messaggio dalla app che le invita a informare il loro medico di base, che valuterà meglio la situazione, senza obbligo alcuno».

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