Emergenza coronavirus: tutto quello che c’è da sapere sul vaccino

Dà l’immunità al Covid-19 nel 90% dei casi, è sicuro e le prime dosi arriveranno dall’America a fine anno. Un esperto ci spiega...

Il virologo Massimo Clementi
20 Novembre 2020 alle 18:31

Il mondo intero parla del vaccino progettato e sviluppato dalla società tedesca BioNtech con l’azienda americana Pfizer, che durante la fase tre della sperimentazione è risultato efficace nel 90 per cento dei casi nel prevenire la comparsa dei sintomi del Covid. Per l’Organizzazione mondiale della sanità è una notizia «incoraggiante» e i mercati hanno reagito in modo euforico con le Borse europee in rialzo. Possiamo iniziare a sperare? Quanta strada c’è ancora da fare perché la pandemia venga debellata?

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Cerchiamo di fare chiarezza con Massimo Clementi, Direttore del laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’Ospedale San Raffaele e docente di microbiologia e virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che a risposto alle domande che tutti noi ci facciamo.

Professore, a che punto siamo con la sperimentazione?

«Lo studio sul vaccino Pfizer ha coinvolto più di 43 mila partecipanti. La metà ha ricevuto un placebo, ovvero un falso vaccino del tutto innocuo. Sono state somministrate due dosi del vaccino: tra la prima e la seconda sono trascorsi 21 giorni, la seconda dose è stata somministrata l’8 novembre e l’efficacia della vaccinazione è stata raggiunta dopo sette giorni. In tutto ci sono stati 94 casi di infezione da Covid-19. I risultati indicano che il vaccino è efficace in più di 9 casi su 10, cioè in più del 90 per cento delle persone che lo hanno ricevuto. Ma l’indagine non è ancora terminata, si concluderà alla fine del mese. Le previsioni sono ottimistiche e si può parlare di un risultato eccellente, se consideriamo che i normali vaccini antinfluenzali hanno un’efficacia tra il 40 e il 60 per cento. Questo vaccino per efficacia somiglia ai migliori per l’infanzia, come quello per il morbillo».

Come funziona il vaccino Pfizer?
«Il vaccino Pfizer, che tecnicamente si chiama BNt162b2, contiene un Rna (molecola di acido ribonucleico, ndr) “messaggero”, che viene utilizzato per produrre nelle cellule la proteina Spike, ovvero quella che rappresenta la chiave di ingresso del virus nell’organismo, ma non contiene tutto il resto che serve a infettarci. La produzione di questa proteina attiva gli anticorpi contro il Covid e l’immunità viene stimolata in modo rapido».

Quanti altri vaccini esistono?
«Si stanno studiando più di 200 vaccini. Fra questi, circa 50 si stanno testando sull’uomo e 10 sono in fase avanzata di sperimentazione. Tra i più promettenti c’è quello dell’azienda farmaceutica tedesca CureVac, un altro americano dell’azienda Moderna e il vaccino dell’istituto Jenner di Oxford, anche questo in fase tre, con il nome tecnico Chadox1, che rispetto a quello Pfizer ha un meccanismo diverso. Anziché l’Rna, come “navicella” per le informazioni si usa un adenovirus reso inattivo che trasporta la proteina Spike all’interno delle cellule. Anche il vaccino di Oxford, come quello Pfizer, potrebbe essere pronto per la fine del 2020. In genere per validare l’efficacia di un vaccino servono dai quattro ai cinque anni, ma siamo in una situazione di emergenza. Quindi nelle ultimissime fasi di sperimentazione, intanto, le dosi vengono prodotte per essere disponibili quanto prima».

Si parla tanto anche di un vaccino cinese e di uno russo, lo “Sputnik V”. Possiamo fidarci?
«Quanto a sperimentazione clinica, i cinesi sono stati i primi a partire e hanno un vantaggio temporale. Il loro è un vaccino classico, coltivato e poi “ucciso” in formaldeide, come quello antipoliomielite che fu sviluppato da Jonas Salk negli Anni 50. Ma in Brasile la sperimentazione del vaccino cinese è stata bloccata qualche giorno fa per un grave incidente. Anche il vaccino russo, lo “Sputnik V”, è in fase avanzata di sperimentazione e a giorni dovrebbe essere pubblicato un lavoro riassuntivo, dettagliato e internazionale, per valutarlo. Perché la trasparenza in questi casi è necessaria: dubbi non ce ne devono essere!».

Quando saranno disponibili le prime dosi del vaccino Pfizer?
«A fine anno ci saranno 50 milioni di dosi per immunizzare fino a 25 milioni di persone. Nei primi mesi del 2021 ce ne saranno 1,3 miliardi. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato un contratto per l’acquisto di 200 milioni di dosi, con l’opzione per altri 100 milioni».

Chi potrà vaccinarsi?
«La sperimentazione è stata fatta con volontari dai 16 agli 85 anni d’età. Non c’è interesse a vaccinare i più piccoli per cui la malattia non è clinicamente rilevabile statisticamente. Si darà precedenza agli operatori sanitari e ai soggetti fragili che hanno delle “comorbidità”, cioè diabete, ipertensione, cardiopatie... E potrà farlo anche chi è positivo all’Hiv o alle epatiti B e C».

Potrà fare il vaccino anche chi ha avuto il Covid in forma più o meno grave?
«Non lo sappiamo ancora. Perché non sappiamo quanto dura l’immunità dovuta alla malattia. L’immunità permanente non dipende dalla gravità della patologia».

Quanto durerà l’immunità del vaccino?
«Non sappiamo se sarà un vaccino “a vita” o se richiederà dei richiami. Le aziende dicono che dura un anno dalla somministrazione. Io comunque consiglierei di fare un test sierologico dopo una quindicina di giorni per vedere se ha funzionato».

Effetti collaterali dopo la somministrazione?
«Nella sperimentazione si sono avuti quelli lievi, classici: dolore nel punto dell’iniezione, astenia, febbre, mal di testa, soprattutto tra i più giovani».

Un anno basterà a debellare l’epidemia?
«Dal punto di vista epidemiologico è il tempo minimo per sviluppare la famosa immunità di gregge, perché cioè succeda qualcosa che porti a far sì che l’infezione decresca. E non è necessario vaccinare tutti: basta immunizzare il 60-70 per cento della popolazione perché il virus non circoli».

Il vaccino sarà gratuito?
«Mi auguro proprio di sì. I costi in genere sono sostenuti dal Sistema sanitario nazionale».

Potrebbero esserci problemi nella distribuzione?
«Di tipo logistico. Il vaccino va conservato a temperature bassissime: -75, -80 gradi. Questo va considerato per organizzare trasporti, stoccaggio, distribuzione. Il vaccino può essere tenuto nei frigo normali non più di cinque giorni, poi è inutilizzabile».

La speranza è anche in una cura

Al telegiornale sentiamo spesso parlare di anticorpi monoclonali dagli effetti “miracolosi”. C’entrano qualcosa con il vaccino? «Nulla» chiarisce Massimo Clementi, virologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Gli anticorpi monoclonali sono utilizzati come farmaco per la malattia in corso o come profilassi per difendersi dall’infezione. Sono anticorpi naturali, non costruiti ma moltiplicati in laboratorio e vengono trasmessi nell’organismo con una semplice iniezione intramuscolo. Entrano subito in circolo e bloccano il virus nel giro di tre giorni (come si è visto nel caso dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che è stato curato in questo modo). Si è investito molto per sviluppare questo tipo di siero, ci sono 10-15 studi, tra cui uno italiano a Siena, che danno risultati ottimi: l’efficacia si attesta circa nell’80 per cento dei casi».

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