Dall’antico Egitto a oggi, tutto sui tattoo amati dai personaggi dello spettacolo (e non solo)
La parola tatuaggio viene dal polinesiano “tattaw”, che vuol dire “incidere, decorare”. Fu coniata dal capitano inglese James Cook che tra il 1768 e il 1771 si spinse a esplorare l’Oceano Pacifico e nel diario di bordo raccontò dettagliatamente l’usanza di decorarsi il corpo tipica degli abitanti di Tahiti. Al ritorno portò in patria un uomo completamente ricoperto di quegli strani segni e introdusse la parola “tattoo” mutuandola dal polinesiano “tattaw”, ispirato al ticchettio (“ta ta ta”) delle bacchette adoperate dagli indigeni per questo rito.
Fino a poco tempo fa il primo uomo tatuato di cui si aveva testimonianza era la mummia di Ötzi, ritrovata in Alto Adige e risalente al 3.300 a.C.: mostrava ben 61 tatuaggi ottenuti sfregando carbone polverizzato su incisioni verticali della cute, fatte, si suppone, a scopo terapeutico per lenire i dolori.
Più recentemente il British Museum di Londra ha rinvenuto tatuaggi antichissimi sul corpo di due mummie egizie risalenti a 5.000 anni fa. Appartengono a un ragazzo e a una donna che hanno delle macchie scure sul braccio e sulla spalla: in realtà raffigurano un toro, una pecora e dei motivi a forma di “s” probabilmente simboli di fertilità e virilità.
Nell’antica Roma i tatuaggi venivano evitati per non contaminare la purezza del corpo umano e usati invece per marchiare schiavi (con le iniziali del padrone), criminali e prigionieri. Più tardi i legionari romani furono influenzati dall’usanza dei guerrieri Celti che si tatuavano figure di animali come simbolo di coraggio e onore. Alcuni di loro cominciarono a imitarli segnandosi con il nome dell’imperatore e altri esempi di ferocia e fierezza.
Pare che anche i primi cristiani usassero marchiarsi con croci o segni religiosi per testimoniare la propria fede. Finché nel 325 d.C. l’imperatore Costantino, in seguito alla conversione al Cristianesimo, ne vietò l’uso rifacendosi ai versetti della Bibbia: “Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio” (Levitico 19:28).
Il tatuaggio venne definitivamente proibito da Papa Adriano I nel 787 durante il secondo Concilio di Nicea, e il divieto ribadito da ulteriori bolle papali, tanto che la pratica scomparve nel tempo. Tuttavia nel Medioevo alcuni pellegrini in visita ai santuari usavano tatuarsi simboli religiosi. In particolare a Loreto esistevano i così detti “frati marcatori”, che incidevano simboli cristiani sui polsi e sulle mani dei devoti. Stesso discorso per i crociati o i pellegrini al Santo Sepolcro di Gerusalemme: se fossero stati uccisi e depredati di tutto, portando addosso dei tatuaggi cristiani si garantivano la sepoltura in terra sacra.
In Europa si ricominciò a parlare di tatuaggi in seguito alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo. Nell’Ottocento anche le classi aristocratiche sembrarono apprezzare l’usanza: lo Zar Nicola II mostrava un dragone sul braccio destro (pare realizzato dopo un viaggio in Giappone), i re britannici Giorgio V e Edoardo VII avevano una Croce di Gerusalemme sul braccio e Sir Winston Churchill un’ancora sull’avambraccio (in ricordo dei tempi passati tra Cuba, India e Sudafrica).
I tatuaggi rimasero a lungo il marchio che identificava delle minoranze, tra cui marinai (chi aveva un un dragone aveva navigato in Cina, chi aveva varcato l’equatore mostrava una tartaruga), veterani di guerra e carcerati. Ma venne usato anche tra i circensi (agli inizi del Novecento i circhi americani vantavano oltre 300 persone tatuate da capo a piedi). Nel 1876 il criminologo italiano Cesare Lombroso ancora scriveva che il tatuaggio era segno di personalità delinquente e degenerazione morale e il pregiudizio restò immutato fino alla fine degli Anni 60.
Dagli Anni 70 il tatuaggio ha conosciuto una progressiva diffusione, prima fra le comunità hippy, i motociclisti, gli artisti più sperimentali, fino a diffondersi come vediamo ora. Secondo i dati riportati nel libro “Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio” di Paolo Macchia e Maria Elisa Nannizzi (Pisa University Press) nel 2019 il 12,8% degli italiani aveva un tatuaggio, in prevalenza tra i 18 e i 44 anni (in Europa la media era del 12%, negli Usa del 30%).
Non può mancare nel Guinness dei Primati il più tatuato al mondo: è l’artista di strada australiano Lucky Diamond Rich che si è sottoposto a oltre 1.000 ore di sedute per avere il corpo interamente coperto d’inchiostro.