Nel suo nuovo libro il popolare giornalista parla della corsa al Quirinale. E a noi di Sorrisi rivela i nomi dei grandi favoriti

Bruno Vespa ama indagare i retroscena dell’Italia di ieri, di oggi... e di domani. E non lo fa solo in tv con “Porta a porta”, ma pure in libreria. Nel suo ultimo volume, infatti, racconta la caduta del fascismo (ieri), la dittatura del virus (oggi) e fa le sue considerazioni su cosa ci aspetta in futuro, a cominciare dalla grande domanda che incombe sempre più sulla scena politica: chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica? A gennaio, infatti, verrà eletta la massima carica del Paese, e Vespa già racconta retroscena e “pronostici” di una battaglia che influenzerà i prossimi sette anni della nostra Storia.
Vespa, parliamo di questa grande “partita” politica. Lei è stato il primo a scrivere che Mattarella era deciso a mollare...
«Decisissimo. Ha fatto un grande lavoro e a 80 anni è circondato da stima e consenso. Non vedo perché dovrebbe ricandidarsi. La proposta che dica “sì” solo per due anni e poi dimettersi è addirittura offensiva. E qui torna fuori una brutta abitudine della politica italiana: quella di fare i conti senza l’oste. Inutile proporre appelli perché Mattarella rimanga, sarebbe meglio rispettare la sua legittima volontà. E lo stesso vale per Draghi».
In che senso?
«Molti dicono che “non può candidarsi perché ha un lavoro da finire”. Ma siamo sicuri che anche lui la pensi così? Che abbia voglia di governare un anno in più per poi essere messo da parte?».
Allora è lui il favorito?
«Al momento sì. Anche se fare previsioni sul Quirinale è un esercizio quasi dilettantesco, visto che spesso tutto viene deciso all’ultimo giorno, in una selva di veti incrociati».
Ci sono altri candidati “papabili”?
«Pier Ferdinando Casini e Paolo Gentiloni hanno delle chance. Anche Silvio Berlusconi ha le sue legittime aspirazioni. Romano Prodi invece non credo voglia rischiare un’altra bocciatura dopo quella, bruciante, del 2013. Tra le donne ad avere più chance sono la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Ma ci sono anche l’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti e la dirigente del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (l’organismo che coordina i nostri servizi segreti, ndr) Elisabetta Belloni».
Qual è il segreto per farsi eleggere?
«Il punto è conquistare il voto della parte avversaria, non della tua! Come convincere almeno un po’ di “nemici” a votarti? I franchi tiratori nel proprio schieramento sono un problema secondario: quelli ci sono sempre e vanno messi nel conto. Ecco perché hanno poche speranze nomi peraltro di valore come Dario Franceschini, Walter Veltroni o Marcello Pera: sono troppo identificabili come candidati di una sola parte politica e non di tutte».
Si parla spesso di “candidature bruciate”. Ma come si fa a bruciare un candidato?
«A volte c’è chi finge di sostenere qualcuno, ma in realtà vuole solo toglierlo di mezzo. Basta proporre il nome quando ancora non c’è l’accordo tra chi dovrebbe votarlo. Seguiranno polemiche e il malcapitato sarà messo da parte perché “divisivo”. Non a caso i veri candidati si fanno avanti il più tardi possibile, quando sono certi di avere il massimo sostegno da tutti».
Intanto noi giornalisti continuiamo a informare con giornali, libri e tv, anche se sembra che sempre più persone preferiscano usare i social network... Qual è oggi il ruolo del giornalista tradizionale?
«Noi siamo come gli sherpa dell’Himalaya: cerchiamo di liberare il sentiero della verità tagliando i rami della disinformazione, delle bufale, delle fake news. Poi ognuno scelga a che fonte affidarsi. Di più non possiamo fare».
L’Italia tra due dittature, quella fascista e quella del virus
Si intitola “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)” ed è già arrivato in cima alla classifica dei saggi.
Vespa, il libro è per metà dedicato a Mussolini e al fascismo, e per l’altra metà all’attualità. Come mai?
«Se ci pensa, c’è un aspetto che unisce questi due periodi storici. In entrambi i casi l’Italia era sotto una dittatura. Allora, quella del fascismo. Oggi, quella del virus. Con una è finita male. Dall’altra ci stiamo risollevando».
Ma lei si sente più cronista o storico?
«Io mi sento uno sminatore. Quando è finita la guerra, torno sul luogo dello scontro a scavare in santa pace. E saltano fuori i dettagli rivelatori, quelli che nella confusione della battaglia nessuno aveva notato: i retroscena. Vale per i fatti storici e per quelli attuali. Lo sapeva, per esempio, che il gerarca Dino Grandi fece leggere in anticipo a Mussolini il documento con cui l’avrebbe sfiduciato? E che il Duce era convinto che il Re avrebbe semplicemente creato un altro governo, sempre guidato da lui (invece quel giorno stesso lo fece arrestare, ndr)? Lo si capisce dai loro scritti. Io uso molto i memoriali, sono una miniera di informazioni spesso in contrasto con la versione dei fatti ormai consolidatasi come “ufficiale”».
Il libro si intitola “Perché Mussolini rovinò l’Italia”. Ecco, perché?
«Tra i tanti motivi il principale è che, come molti potenti, Mussolini perse lucidità proprio quando era giunto al picco del consenso popolare. E si fece trascinare da Hitler in un conflitto che sapeva benissimo di non essere pronto a combattere, sperando in una vittoria-lampo. Da allora non ne ha azzeccata più una, fino alla disfatta finale».
Il sottotitolo invece è “e come Draghi la sta risanando”. Anche qui: perché?
«Perché con la sua serietà e credibilità il premier ci sta portando fuori da una pandemia che aveva messo in ginocchio il Paese. Altro che la “dittatura sanitaria” di cui sparla una minoranza: la verità è che la Nazione non poteva reggere un altro lockdown. Portando l’Italia tra i Paesi più virtuosi nella lotta al virus, Draghi ha salvato anche l’economia».
Così verra eletto l’erede di Mattarella
- A gennaio il Parlamento si riunirà per eleggere il successore di Mattarella, il cui mandato scade il 3 febbraio. Oltre ai 630 deputati e 321 senatori saranno presenti 58 rappresentanti delle Regioni, per un totale di 1009 Grandi elettori.
- Sono candidabili tutti i cittadini italiani con almeno 50 anni di età e che godano dei diritti civili e politici.
- Nelle prime tre votazioni è richiesta una maggioranza di due terzi (cioè 673 voti).
- Dal quarto scrutinio basterà la maggioranza assoluta (505).