Giorgio Panariello, il toccante libro sul fratello: «Al suo posto avrei potuto esserci io»

"Io sono mio fratello" è il suo nuovo libro autobiografico su Franco, scomparso nove anni fa

Giorgio Panariello
20 Novembre 2020 alle 09:00

Giorgio Panariello è una persona di gran cuore. Quando si racconta lo fa con generosità, anche se confidare quello che ha dentro è doloroso. Da pochi giorni, mentre lo abbiamo visto sostituire il suo amico Carlo Conti alla conduzione di “Tale e quale show”, ha pubblicato un libro molto intimo: “Io sono mio fratello” (Mondadori). A leggerlo, ci si commuove.

Giorgio, iniziamo dal titolo, che ha un significato profondo.
«Al posto di mio fratello Franco, che non c’è più dalla notte del 26 dicembre 2011, avrei potuto esserci io».

Racconti.
«Siamo nati dalla stessa madre, ma da due padri diversi, io nel 1960, lui nel 1961. Siamo stati abbandonati tutti e due, solo che io sono cresciuto con i nonni, lui no, perché loro non potevano permettersi un altro figlio. E quindi Franchino fu messo in un istituto. Ma questo io l’ho scoperto solo a 8 anni».

Prima credeva che i suoi genitori fossero i nonni.
«Li chiamavo Ma’ e Ba’, mamma e babbo. Ma poi, per la cattiveria dei compagni di scuola (“Come mai i tuoi sono così vecchi?”), capii che mia madre era la signora Raffaella, che veniva a trovarmi solo nelle feste comandate. Un Natale, mi presentò un ragazzino e mi disse: “Lui è tuo fratello”. Non avrei mai pensato che le nostre vite avrebbero preso pieghe così diverse».

Lei nel mondo dello spettacolo, lui nel tunnel della tossicodipendenza.
«Dati i suoi trascorsi con gli stupefacenti, tutti pensarono che fosse morto per overdose. Invece no, Franco si era disintossicato. Quella notte, sul lungomare di Viareggio, a ucciderlo è stato il freddo. Dopo una cena con qualche bicchiere di troppo, alcuni finti amici l’hanno abbandonato lì, per strada, come un vecchio materasso. Ho scritto questo libro per senso di giustizia, per raccontare chi era davvero Franco. Gli volevano bene tutti, persino quelli a cui aveva rubato un portafogli per comprarsi le dosi. Voglio dire grazie a chi negli anni gli ha offerto un pasto o un lavoretto nel momento del bisogno».

Il ricordo più tenero che ha di lui?
«Le nostre partite a pallone. Io ero più scarso, infatti stavo in porta. Lui invece era un “cigno”, capiva il gioco col suo incedere a testa alta, come Antognoni, il mitico capitano della Fiorentina».

La notizia dell’assurda fine di Franco arrivò con una telefonata.
«Alle sette del mattino. Era Carlo Conti. Disse: “Forse è tuo fratello”. Lui mi è stato sempre vicino, come i veri amici. Al funerale c’era persino Leonardo Pieraccioni. Venne da Firenze con la Smart, lui che non si muove di casa neanche per la Terza guerra mondiale. Alla messa venne anche Renato Zero. Sono fratelli per me, se non fosse per loro non sarei dove sono ora».

Si sente. E si è visto anche il 6 novembre a “Tale e quale show”. Com’è stato sostituire Carlo, che era in ospedale ricoverato per il Covid, e avere ospite Renato Zero?
«Ho vissuto nell’apprensione per Carlo, che per fortuna adesso sta meglio. E non me la sono sentita di condurre da solo, ho chiesto il sostegno degli altri giudici, soprattutto Loretta Goggi, che è una signora della tv. Sentivo la responsabilità per lo show, ma anche il vuoto attorno a noi. Forse a casa si percepiva meno, ma senza Carlo, senza il pubblico, sembrava di fare la radio. Poi, dopo le esibizioni di Agostino Penna e Pago, che lo avevano imitato, è arrivato Renato, quello vero e...».

E con lei, suo storico imitatore, eravate “4 Zeri”.
«Sì (ride). Ma Renato per me è più di un’imitazione. Lui è stato il primo personaggio famoso che ho fatto, quello che mi ha reso popolare. Mi scalda il cuore quando dice: “Nì, vai tu al posto mio, così mi riposo”. È stato commovente averlo lì».

Da sorcino, qual è la canzone di Renato Zero che le somiglia di più?
«“La favola mia”. Il verso “Dietro questa maschera c’è un uomo” è l’essenza del mio lavoro. La canzone dà il titolo allo spettacolo teatrale sui miei 60 anni rimandato per la pandemia. Un insieme di ricordi e aneddoti da cui è nato il libro, che ho scritto durante il lockdown».

Perché l’ha dedicato alla sua compagna?
«Ho dedicato il libro a Claudia (la modella Claudia Maria Capellini, ndr) perché è la donna che amo e volevo ci fosse anche un po’ di lei nei momenti della mia vita che non ha vissuto».

Il suo libro arriverà a molte persone, come una carezza.
«Mi auguro che sia di conforto a chi ha avuto un fratello, un amico, un vicino di casa in situazioni difficili. Con la speranza che uscirne è possibile».

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