Iva Zanicchi: «Che fatica questo libro: l’ho scritto due volte!»

La cantante è nelle librerie con il romanzo "Un altro giorno verrà". Una saga familiare frutto della fantasia, anche se c’è molto di lei...

2 Giugno 2022 alle 07:59

Iva Zanicchi è una donna dalle mille risorse. Dopo essere stata in gara a Sanremo, sta preparando una tournée e l’anno prossimo reciterà a teatro in “Voglia di tenerezza”. Ma è anche una scrittrice di talento. Ne abbiamo avuto la conferma (per Rizzoli aveva già pubblicato l’autobiografia “Nata di luna buona”) leggendo tutto d’un fiato “Un altro giorno verrà”: «Questo è il libro del Covid. Quando ero ricoverata in ospedale le ore erano interminabili. Avendo io una fantasia spiccata ho cominciato a scrivere. Avevo in mente l’inizio, ma non come avrei sviluppato la storia. Poi mi è successa una disavventura. Io scrivo a mano o sull’iPad, con un dito. Quando sono andata al mare in Sardegna l’estate scorsa non so cosa ho toccato, ma ho cancellato metà testo! Non c’è stato verso di recuperarlo: ho chiesto a un sacco di tecnici, ma niente. Allora mi sono detta che non l’avrei scritto più».

Per fortuna ha cambiato idea.
«Ora ho la mania di scrivere, mi aiuta più del canto a tenermi viva intellettualmente. A una certa età è facile cominciare a lasciarsi andare. Invece scrivere ti tiene viva. Ora infatti sto scrivendo un altro libro, magari non lo pubblicherò mai, però ho già il titolo: “La ragazza dai capelli verdi”».

“Un altro giorno verrà” è una saga familiare ambientata nei luoghi della sua infanzia. Anche se è un’opera di fantasia, c’è tanto di lei.
«Sono ricordi che ho sentito raccontare dagli anziani, la sera. Sa, quando io ero bambina non c’erano la tv o la radio. I posti sono i miei, c’è tanta fantasia ma è chiaro che peschi dai ricordi e dalle cose che conosci e hai vissuto».

Descrive scene d’amore travolgenti. Anche lei è così passionale?
«Mi hanno censurato! Alcune scene le ho dovute eliminare. L’amore o si fa bene o non si fa. Un po’ l’ho vissuto così, se no non avrei potuto descriverlo».

Lei ha una relazione bellissima da tanti anni, ci dà qualche consiglio?
«Mantenere un amore è difficilissimo, non provi per tutta la vita le emozioni dei primi tempi. Devono subentrare altre cose: il bene profondo, la stima, il rispetto assoluto. Se inizi a tradire il rapporto, finisce. A me succede così. Infatti Fausto (Pinna, ndr) non l’ho mai tradito e stiamo insieme da quasi 40 anni! E l’allegria è fondamentale. Fausto dice che io lo diverto e lui mi affascina perché è un grande cuoco: da quando stiamo assieme ho preso 20 chili!».

Nel romanzo racconta anche di gravidanze non programmate. Lei è rimasta incinta a 27 anni durante la sua “prima volta” con quello che poi sarebbe diventato suo marito, Antonio Ansoldi. Cosa è successo quando l’ha scoperto?
«Avevo conosciuto questo ragazzo, timidissimo come me, figlio del mio discografico. Avevo vinto il mio primo Sanremo, ci siamo trovati, mi affascinava... ed è successo. Poi sono andata a Roma per girare un film, il musicarello “Una ragazza tutta d’oro”, ma non volevo legarmi e l’ho lasciato. Non sapevo di essere incinta. Quando sono tornata a casa dalla mia mamma, stavo male. Mi ha fatto una camomilla e appena l’ho bevuta ho rimesso. Lei mi ha chiesto: “Cosa hai fatto con Antonio?”. Ho iniziato a piangere, disperata. È stato un trauma. Poi ci siamo sposati, è nata Michela, siamo stati felici e ci siamo voluti bene. Era una bravissima persona».

Nel libro si parla anche di amore per gli animali: dall’agnellino salvato alla fiera al nibbio addomesticato. Una passione che lei condivide?
«Da piccola abitavamo in una casa isolata e c’era una gazza che veniva a gironzolare, mi illudevo fosse lì per me. Da qui ho preso la storia del nibbio che si affeziona al protagonista. Sono cresciuta in mezzo agli animali: conigli e galline vivevano con noi. Lo choc più grande che abbiamo avuto noi quattro fratelli da piccoli è stato quando un pastore ci ha regalato un agnellino per Pasqua: era come avere un bimbo, lo curavamo e nutrivamo. Un giorno mio padre ci ha mandato via e quando siamo tornati lo aveva ucciso. Un dramma! Abbiamo pianto disperati e fatto lo sciopero della fame. Non mangio agnello neanche oggi e sono quasi vegetariana».

Come in ogni saga che si rispetti, c’è anche la morte, spesso improvvisa e dolorosa. Lei che rapporto ha con la morte?
«Bisogna metterla in conto. Non sono una persona depressa, però ci penso, anche se non in modo assillante. Sono un’ottimista, finché Dio mi darà da vivere, voglio farlo alla grande. Credo che perdere qualcuno di caro sia un momento tragico, ma nello stesso tempo importante. Per chi crede dovrebbe aprirsi un mondo migliore: voglio sperare in questo, mi terrorizza solo il nulla».

Qual è il legame con Genova, che ritorna spesso nel romanzo?
«Ha un legame forte con il mio paese, era la città più ambita. A Vaglie (RE) ci sentivamo toscani, ma Firenze era lontana e quasi sempre le donne andavano a servire nelle grandi famiglie genovesi e gli uomini a lavorare al porto».

C’è anche una parte ambientata a New York. Lei è stata la prima italiana a esibirsi al Madison Square Garden. Che ricordo ha?
«Ho cantato nei più grandi teatri del mondo, ma a New York è stata un’emozione fortissima: era la prima volta che da Vaglie prendevo l’aereo e vedovo i grattacieli, proprio come accade a Lorenzo, il protagonista del libro».

Come mai solo di recente si è decisa a scrivere?
«In realtà l’ho sempre fatto. In tournée tenevo dei diari che non ho mai pubblicato. In quinta elementare vinsi un concorso per il miglior tema, che avevo dedicato al mio banco: fu la prima volta che vidi il mio nome su un giornale. Se non avessi fatto la cantante e avessi avuto una preparazione più approfondita, mi sarebbe piaciuto diventare una scrittrice vera. Ma ora mi sto sfogando, se Dio mi darà il tempo».

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