La Gialappa’s Band si racconta in “Mai dire noi”

Hanno scoperto comici, hanno inventato un nuovo modo di fare tv, ci hanno fatto ridere (e riflettere): «E pensare che ci siamo conosciuti per caso...» dicono a Sorrisi

15 Dicembre 2022 alle 08:09

L’appuntamento con Carlo Taranto, Marco Santin e Giorgio Gherarducci, ovvero la Gialappa’s Band, oggi pomeriggio continuiamo a rimandarlo, perché Marco e Giorgio commentano su Twitch le partite dei Mondiali e per una volta che ci dobbiamo vedere (in videochiamata) la partita finisce ai rigori... Carlo, o meglio il signor Carlo, invece è nella sua casa di Camogli e allora comincio con lui, con i nostri ricordi in comune, che però andrebbero verificati, visto che entrambi non abbiamo una memoria formidabile. Anzi.

«Ma sbaglio Carlo, o nel ’91 tu e io ogni domenica portavamo i nostri piccolissimi figli al parco, trascinando le carrozzine mentre le nostre mogli si riposavano? Poi tu andavi a Mediaset a preparare il primo “Mai dire gol” e io al “Giornale” di Montanelli a fare il turno di notte...». «Ma sì Aldo, me lo ricordo anch’io. Però... sarà davvero successo?».

Rimaniamo nel dubbio, mentre si collegano anche Marco e Giorgio. Ma la prima cosa da chiedere è: tornerà in tv “Mai dire gol”?
Carlo: «Non lo so, ci sono delle date in primavera, abbiamo una lista di nomi possibili per il cast, ma non è semplice, vedremo».

Uffa. Speriamo. Vabbè, cominciamo con i ricordi suscitati dal fantastico libro “Mai dire noi”. E per prima cosa vorrei dirvi che io il libro l’ho letto tutto.
«Davvero? Quattrocento e passa pagine? Devo crederci?» fa Giorgio.

Sì, tutto. E non sapevo, Giorgio, che tu avessi anche una bambina...
«Ma che c**** di libro hai letto? Io ho due maschi!» (ho cominciato bene...).
Carlo: «C’è scritto nel libro, siamo cresciuti in famiglie piene di maschi e abbiamo tutti figli maschi».

Ecco, appunto. Allora, per dimostrarvi che ho letto davvero il libro, parto dalla fine: dopo tanti anni avete fatto la pace con Teo Teocoli, che abbandonò improvvisamente “Mai dire gol”. Per caso passava di lì Claudio Lippi che diventò in un baleno il conduttore del programma (e la sua carriera ripartì alla grande). Dal libro ho scoperto che Teo era importantissimo nel gruppo, di fatto era il quarto della Gialappa.
Giorgio: «È stato Teo a inventarci questo tipo di carriera, non era il quarto della Gialappa, era il primo. Ci ha indicato la strada. All’inizio commentavamo i video, ma cercavamo qualcuno che interagisse con i comici. Fu lui a dire che lo dovevamo fare noi. Poi però un giorno se ne andò di punto in bianco».
Marco ricorda: «Non fu certo un fulmine a ciel sereno, visto che erano già un paio di mesi che Teo manifestava la voglia di mollare il programma. Era il milionesimo strappo che faceva, già era dovuto intervenire Adriano Galliani, allora amministratore delegato di Mediaset, per convincerlo a tornare. Ma quel “ritorno” durò poco».

E non vi siete parlati per anni.
Marco: «Sì, ma poi avevamo avuto dei segnali che non era più arrabbiato, e infatti l’altra sera a “Che tempo che fa”, quando ha rifatto Caccamo dopo anni, abbiamo definitivamente capito che le cose erano tornate a posto. Prima della puntata ci siamo incontrati ed eravamo tutti commossi, noi e lui».

Nel vostro bellissimo libro pieno di aneddoti, curiosità e follie manca una cosa.
«Possibile? In 400 pagine?».

Beh, la domanda “zero”: perché avete deciso di non comparire mai in video?
Carlo: «Quando cominciammo a Radio Popolare, poco a poco eravamo diventati un fenomeno milanese. E venivano le televisioni locali a fare dei servizi. Vedevamo i nostri visi imbarazzati che commentavano le immagini senza che facessero vedere le immagini. Si vedevano solo tre pirla che dicevano cose senza senso. Una vergogna...».
Marco: «In tutti questi anni mi è venuto il dubbio che Carlo non volesse essere riconosciuto per strada. Infatti una volta alla Notte dei Telegatti, quando siamo scesi dalla macchina nera con cui arrivavano le star, la gente era perplessa, si chiedeva chi fossimo. Poi qualcuno ebbe l’illuminazione e urlò: “Sono i Tazenda!”».
Giorgio: «Quella di non far vedere le nostre facce è stata una scelta vincente, non avrebbero aggiunto nulla ai nostri sketch coi comici, anzi. È una cosa che ci ha caratterizzato, abbiamo capito che la nostra forza era commentare le immagini: mostrare la nostra faccia rischiava di indebolire tutto».

Per fortuna avete delle voci diverse, ben distinguibili.
Giorgio: «Non sempre: a dir la verità la voce di Carlo è uguale a quella di Marco quando ha il raffreddore».
Marco: «Se avessimo avuto la voce impostata tipo Nando Gazzolo sarebbe stata una tragedia. Giorgio aveva anche cercato di fare il doppiatore, all’inizio. Ma venne scartato».
Giorgio: «Sì, e non dal regista, ma prima ancora da un tecnico, un caso raro. Non succede mai che un tecnico si permetta di dare un giudizio. “Esplodi troppo le labiali” mi disse. E ancora non ho capito cosa intendesse dire».

Meglio così, no? Leggendo il libro ci si accorge di quanti talenti avete scoperto, decine e decine, come è riuscito a fare solo Renzo Arbore.
Marco: «Arbore per noi è stato un’ispirazione, perché a “L’altra domenica” presentava Roberto Benigni e poi spariva dal video, commentando con la voce fuori campo, proprio come poi abbiamo fatto noi. È vero, qualche comico lo abbiamo lanciato e altri li abbiamo consacrati, penso ad Aldo, Giovanni e Giacomo, che avevano già fatto qualcosa in Rai; o ad Antonio Albanese. Altri prima di “Mai dire” facevano solo cabaret, come Fabio De Luigi. Quando eravamo a Odeon TV c’erano Claudio Bisio, Gioele Dix, Giobbe Covatta, ma ancora li conoscevano in pochi».

Dal libro si intuisce che a “Mai dire gol” funzionava così: molte cose non nascevano durante le riunioni, ma nelle pause di lavoro, a pranzo, per esempio.
Giorgio: «In realtà lavoravamo come matti, lavoravamo sempre, le riunioni erano interminabili sette giorni su sette, perché facevamo 30 puntate da settembre a maggio. Non avevamo le famiglie ed eravamo sempre sul pezzo. Poi piano piano abbiamo imparato a delegare un po’».
«Caccamo però nacque durante i nostri pranzi con Teo» dice Carlo. «Era un personaggio nato per far ridere noi. Anche l’imitazione di Arrigo Sacchi fatta da Crozza nacque per ridere, Maurizio non voleva fare parodie e aveva un po’ di ritrosia sulle imitazioni».
Marco: «La verità è che pensavamo che le imitazioni fossero una scorciatoia per far ridere, una cosa per così dire non proprio nobile. Ma sbagliavamo».

L’unica che aveva il privilegio di non farvi leggere prima i testi era Luciana Littizzetto.
Giorgio: «Perché voleva prenderci alla sprovvista e farci ridere spontaneamente, credo che anche adesso con Fabio Fazio lei lavori così».

Anche Forest, credo.
«Beh, lui è un grande improvvisatore, ci faceva ridere da matti. È il conduttore con cui abbiamo lavorato più a lungo, e non è un caso».

Una cosa che sapevo già è l’origine del nome Gialappa, ma ripetiamolo per chi ancora se lo domanda.
Marco: «Davo ripetizioni per tirar su qualche soldo e intanto sfogliavo il vocabolario per trovare parole strane da usare in radio. Scoprii che la gialappa è una pianta dell’America Latina da cui si ricava una purga. Ecco qua».

E invece una cosa che ho scoperto nel libro è che la vostra non è la classica storia di tre amici d’infanzia che diventano famosi insieme: Carlo, tu eri coinvolto in Legambiente; Marco, tu frequentavi un istituto tecnico a Bollate; Giorgio, facevi l’università Bocconi e la domenica lavoricchiavi all’Inter. Com’è che vi siete incontrati?
Carlo: «A Radio Popolare c’era una trasmissione che si chiamava “Bar Sport”, ci misi un sacco di tempo a convincerli a provarmi, poi gli presentai Marco che invece venne preso subito».
Marco: «Carlo l’avevo conosciuto attraverso un amico comune. Una sera si presentò a casa mia con una scatola di pandoro in testa, rimanemmo perplessi, tutti tranne mio padre, che trovò la cosa geniale».
Carlo: «Me l’aveva messa in testa un amico».
Giorgio: «Io telefonai in trasmissione e dissi: “Sono milanista ma lavoro all’ufficio stampa dell’Inter”. La cosa piacque e venni preso subito».
Marco: «Carlo aveva detto a quelli della radio che io conoscevo benissimo il programma, invece non l’avevo mai sentito: quando era in onda andavo da un amico a giocare a Subbuteo».

E comunque vi frequentavate soltanto in radio, poi avevate vite separate.
«Sì, non eravamo come i Pooh».

Nella vostra carriera avete lavorato dappertutto, Mediaset, Rai...
Carlo: «La differenza tra Mediaset e Rai è che in Mediaset vieni preso per una cosa e fai quella. In Rai invece mentre fai la cosa per cui ti hanno ingaggiato te ne propongono altre... È un po’ come quando ti dicono: “Già che sei in piedi...”. La Rai è soggetta a equilibri politici, cosa che per fortuna in Mediaset non esiste. In Rai parli con un dirigente e poi quello sparisce perché è cambiato il governo. Una volta, riferendosi al direttore generale, uno mi disse: “Ah, tanto quello tra sei mesi non c’è più”. E quando lo andai a dire al direttore generale, si preoccupò tantissimo. E in effetti dopo sei mesi...».

Questo è il succo del nostro videoincontro. Cari lettori, insisto: dovete leggere il libro, una grande storia e un’esilarante raccolta di aneddoti. È arrivato il momento di salutarci. Giorgio e Marco hanno un’altra partita dei Mondiali da commentare, ma prima c’è un problema da risolvere: Giorgio è rimasto chiuso fuori dallo studio (non voglio sapere perché era uscito). Finalmente Marco gli indica la strada. Ci salutiamo mentre Giorgio mangia una montagna di insalata e Marco addenta voracemente una pizza. Solo Carlo, il vegetariano radicale, sembra immune alla fame.

Cosa hai preparato per cena, Carlo?
«Lenticchie, ma mentre parlavo con te si sono bruciate».

Mai dire lenticchie, allora.

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