«La storia del rap» arriva in libreria grazie ad Andrea Di Quarto

Il libro traccia, per la prima volta in Italia, un profilo sistematico dell’Hip Hop americano e ripercorre in due volumi (il secondo uscirà a marzo 2018) le tappe fondamentali del suo sviluppo e della sua affermazione

1 Dicembre 2017 alle 17:17

È un ottimo momento per l'Hip Hop in Italia, e non solo nelle classifiche di vendita o di streaming, delle quali il genere è ormai un assiduo frequentatore, ma anche in libreria, dove si susseguono le pubblicazioni sull'argomento. Dal 30 novembre edito da Tsunami Edizioni, si è aggiunto «La storia del rap – l'hip hop americano dalle origini alle faide del gangsta rap», scritto dal giornalista di Sorrisi Andrea Di Quarto.

Il libro traccia, per la prima volta in Italia, un profilo sistematico dell’Hip Hop americano e ripercorre in due volumi (il secondo uscirà a marzo 2018) le tappe fondamentali del suo sviluppo e della sua affermazione. In particolare questo primo volume abbraccia il periodo dal 1973 al 1997 e si sofferma sulle origini, l’era pionieristica e il passaggio da innocuo divertimento a fenomeno planetario.

Perché in un periodo così florido per il rap italiano puntare l'attenzione su quello americano?
«Del rap di casa nostra si è scritto e si scrive abbastanza ultimamente, con giovani colleghi e blogger che fanno un ottimo lavoro. È proprio per questo che è fondamentale che chi si è appassionato da poco abbia la possibilità di comprendere da dove tutto ciò ha avuto origine senza incorrere in stereotipi o banalizzazioni».

Quando ti sei avvicinato al rap?
«Seguo il fenomeno fin dai suoi albori, quando ero poco più di un ragazzino e facevo il disc jockey nelle radio della mia città, Palermo. All'epoca non lo chiamavamo neppure rap, semplicemente perché nessuno conosceva questa “cosa”. Erano dischi ancora con un forte richiamo alla disco music, come “Rapper's Delight” della Sugar Hill Gang, il primo successo internazionale, o “Wot” di Captain Sensible. Era davvero inimmaginabile che diventasse il fenomeno musicale più importante dai tempi del rock 'n' roll».

Ma anche oggetto di critiche per i suoi testi maschilisti.
«Si tratta di un universo molto vasto, con decine di sottogeneri e sicuramente il maschilismo è presente in alcuni di essi, come il gangsta rap. Allo stesso tempo le donne nella storia del rap hanno avuto un ruolo importantissimo: è proprio grazie all'intuizione di una donna, Sylvia Robinson, che il rap, un fenomeno di strada, ha trovato la via della discografia. E fu sempre una donna, Monica Lynch, che era il presidente della Tommy Boy Records, a ingaggiare Afrika Bambaataa. E ancora, la Def Jam, una delle etichette di maggiore importanza nella storia di questa musica, è stata diretta da una donna, Carmen Ashurst-Watson. E poi le artiste: da Mc Lyte a Missy Elliott, da Lauryn Hill fino a Nicky Minaj o, per stare sull'attualità, Rapsody, appena nominata per i Grammy».

E se fra qualche anno la gente si sarà stufata?
«Non credo. Perché non è un semplicemente genere musicale, ma una delle quattro discipline della cultura Hip Hop (le altre sono graffiti, breakdance e dijing), un patrimonio culturale ormai radicato. Ci potranno essere alti e bassi come ce ne sono già stati, ma il rap rimarrà, magari cambiando pelle come ha fatto altre volte».

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