Lirio Abbate: «Racconto i “Demoni” che stritolano la Capitale»

Nel suo nuovo libro lo scrittore disegna la mappa del potere mafioso a Roma

7 Agosto 2024 alle 08:20

Avvincente come un romanzo, il nuovo libro del giornalista Lirio Abbate, caporedattore e inviato del quotidiano “La Repubblica”, disegna la nuova geografia della criminalità organizzata a Roma. Si intitola “Demoni”, sottotitolo “Droga, affari e sangue. La mappa del potere nella Capitale” (Rizzoli) ed è di strettissima attualità perché viene pubblicato a cinque anni dall’omicidio dell’ultrà della Lazio Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik e legato a vari clan (il processo è tuttora in corso), mentre, come sottolinea l’autore nella prima pagina dell’introduzione, «un cambiamento è in arrivo, e non ci piacerà».

Lirio, cosa sta succedendo?
«Con l’omicidio di Piscitelli il 7 agosto 2019 gli equilibri di potere si sono rotti. Ed è come se un composto chimico instabile sia a rischio di esplosione: si teme un’escalation di tradimenti, vendette, omicidi».

Chi sono i “Demoni” del titolo?
«Sono i nuovi “re di Roma”, criminali che hanno occupato Roma e la inquinano da un punto di vista economico con un fiume di soldi ricavati dal traffico di droga internazionale: sono violenti, feroci, non hanno regole, non hanno limiti. Sono come i narcos e comandano loro».

Ma chi è il capo assoluto tra di loro?
«Non c’è un “capo dei capi” come in Cosa Nostra, ma ci sono varie “piazze”. Ai vertici della gerarchia criminale ci sono il camorrista Michele Senese, O’ Pazzo, condannato nel 2017 e che sta scontando 30 anni di carcere, e gli albanesi: Demce, Zogu, Arapaj, Petoku…».

Segni particolari?
«Comandano anche dal carcere. Perché nessuno degli arrestati al momento è al 41 bis (il duro regime carcerario destinato ai mafiosi che prevede l’isolamento, ndr). E hanno una tattica per evitare la galera: grazie ai certificati di medici compiacenti che attestano il falso, passano per tossicodipendenti e ottengono di poter scontare la pena in ville private per la riabilitazione, togliendo peraltro il posto a chi ne avrebbe davvero diritto».

La malavita di un tempo, i superstiti della Banda della Magliana per esempio, contano ancora?
«Sopravvivono i “figli di” e sono visti dagli altri come dei miti a cui portare rispetto e ispirarsi».

E la mafia cinese?
«Le famiglie Lin e Zheng si occupano essenzialmente di riciclaggio di denaro sporco».

Il Principe, il Cecato, il Fornaro, il Barboncino, il Profeta, il Nano… I criminali che racconta hanno soprannomi da serie tv. Lei è anche sceneggiatore, sta pensando a una trasposizione cinematografica o televisiva del suo libro?
«C’è un progetto in fase embrionale».

Quale attore vedrebbe nei panni di Senese?
«Mi piacerebbe Claudio Santamaria. Sarebbe perfetto».

Ha già ricevuto minacce in passato per le sue inchieste e vive sotto scorta. Non teme ritorsioni per questo libro?
«Nel testo racconto le intimidazioni indirizzate da Senese ad alcuni colleghi giornalisti. Il fatto di mostrare, con le inchieste o con i libri, le contraddizioni di questi criminali genera odio nei confronti degli operatori dell’informazione. Ma è il nostro mestiere e noi continuiamo a farlo».

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