Lirio Abbate: «Vi spiego perché Matteo Messina Denaro è un assassino spietatissimo»

Dal suo libro verrà tratto un film su "U Siccu". E assicura che la versione cinematografica non trasformerà un criminale in mito

16 Marzo 2023 alle 08:20

Lirio Abbate è uno dei migliori giornalisti investigativi italiani. Siciliano di Castelbuono (PA), ex direttore di “L’Espresso” e ora caporedattore e inviato del quotidiano “La Repubblica”, ha dedicato tutta la vita alle inchieste sulla criminalità organizzata. Per questo riceve minacce dai boss e vive sotto scorta. Scrittore brillante, ha pubblicato diversi saggi e, notizia freschissima, dal suo libro “U Siccu” sull’ex latitante Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio in una clinica privata di Palermo, sarà tratto un film. «I diritti sono stati acquistati dalla Bamboo Production, del produttore Marco Belardi» spiega l’autore.

Quale attore vedrebbe bene nei panni del boss?
«Per il giovane Matteo Messina Denaro, detto “U Siccu” (“il secco” in siciliano, ndr) o “Diabolik” mi piacerebbe un attore dal fisico asciutto, come Pietro Castellitto o Luca Marinelli».

E per il Messina Denaro di oggi, quello malato di tumore, arrestato con indosso il montone, il cappellino e gli occhiali a goccia?
«Volo alto e dico Al Pacino, anche per lo sguardo un po’ strabico. Non mi viene in mente nessun italiano».

Parteciperà alla sceneggiatura?
«Dipenderà da cosa vorrà fare il produttore. Per me è fondamentale che non diventi un mito, un eroe. C’è spesso questo rischio nei film di mafia, di idealizzare i criminali. Matteo Messina Denaro quello è: un uomo sanguinario, che ha oltre 50 omicidi sulla coscienza. Non vorrei che prevalesse il lato romantico da “femminaro”, che pure esiste, perché lui ha sedotto tante donne e ne ha comandate molte, anche in casa».

Per esempio Rosalia, la sorella che è stata arrestata il 3 marzo. E ora?
«Adesso Matteo Messina Denaro ha finito di rovinare la sua famiglia. Rosalia, la sorella più grande, faceva da “postina”, smistava i suoi ordini attraverso i “pizzini”, cioè i bigliettini scritti a mano con nomi in codice. Per esempio, si rivolgeva a lei chiamandola “Fragolone”. Ora che anche lei è in prigione, dopo l’altra sorella Anna Patrizia che sconta 14 anni per associazione mafiosa, per lui è tutto più difficile».

Ma lui, dal carcere dell’Aquila in cui è rinchiuso, comanda ancora?
«Dal carcere gestisce il suo patrimonio, la forza economica accumulata negli anni di latitanza. E avrà chi si occuperà di continuare a farlo guadagnare. È questo il punto chiave adesso nelle indagini: seguire la scia dei soldi, dare la caccia ai prestanome che lo hanno favorito nel tempo. Cosa niente affatto semplice».

A quanto ammonta il suo patrimonio?
«Non c’è una stima esatta, ma i magistrati ipotizzano che arrivi a sfiorare il miliardo di euro. Basti solo pensare a quanto ha incassato da una catena di supermercati che fatturavano decine di milioni di euro l’anno...».

Come cambiano gli equilibri di potere dentro Cosa Nostra con Messina Denaro fuori dai giochi?
«Lui, pur legato ai corleonesi, non ha mai voluto diventare il capo di Cosa Nostra anche dopo la morte di Totò Riina, per una questione egoistica: gli è sempre convenuto rimanere a comandare nella sua zona, fra Trapani e Agrigento. Così ha potuto agire indisturbato, senza dover rispondere a nessuno. Adesso bisogna capire se qualcuno subentrerà al suo “regno”».

Lei è spesso invitato in tv a parlare di temi d’attualità. Ci va volentieri?
«Più che altro ci vado gratis (ride)».

Al momento si dibatte sull’abolizione del 41 bis, il regime carcerario duro. Che ne pensa?
«Il 41 bis è uno strumento necessario per la lotta alla mafia, ma va utilizzato bene. Lo paragono al bisturi: in mano a un bravo chirurgo può salvare una vita, se lo dai a un macellaio...».

Una trasmissione televisiva sua la farebbe?
«In realtà l’ho fatta. Anni fa Carlo Freccero chiamò me e Peter Gomez (direttore di “Il Fatto Quotidiano online”, ndr) per realizzare delle “Impronte di mafia” che servivano a lanciare film a tema su Raisat».

Condurrebbe un programma d’approfondimento pensato da lei?
«Sì, perché la tv avrebbe bisogno di programmi diversi dai talk show».

Lei guarda le serie?
«Sì, ho apprezzato molto “The bad guy” con Luigi Lo Cascio e ho già finito “Incastrati 2” di Ficarra & Picone».

Invece i boss che rapporto hanno con la tv?
«I latitanti non guardano la tv in streaming per motivi di tracciamento. Ecco perché nel covo di Messina Denaro hanno trovato tanti dvd. I mafiosi in tv guardano soprattutto tg e programmi di informazione, per avere il polso dei consensi, per capire chi sono i nemici da mettere nel mirino».

Nemici come lei, che vive da anni sotto scorta. Perché la odiano tanto?
«Ai mafiosi do fastidio perché con i miei articoli metto in luce le loro contraddizioni. Gli agenti della scorta ormai sono una famiglia: pensare che mettono a rischio la loro vita per proteggere la mia è impressionante».

Ci tolga una curiosità: come mai ha questo nome, Lirio, che significa “candido come un giglio”?
«Me l’hanno messo papà Vincenzo e mamma Rosaria, perché appena nato ero biondissimo e avevo la pelle bianchissima».

Ma è vero che sua mamma è una nostra fan?
«Verissimo, legge Sorrisi tutte le settimane».

C’è qualcosa che vuol dirle qui, attraverso il suo giornale preferito?
«La ringrazio per il coraggio che ha avuto a mandarmi a vivere da solo a 13 anni, a Palermo, per frequentare le scuole superiori. La domenica sera prendevo il treno a Cefalù (PA), mi addormentavo, mi svegliavo in stazione a mezzanotte e poi andavo a piedi nel mio appartamento in affitto con altri studenti universitari. Oggi sarebbe impensabile. Grazie mamma, perché quell’esperienza mi ha reso forte e mi ha cambiato la vita».

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