Il celebre giornalista sportivo presenta il suo nuovo romanzo e racconta una carriera piena di grandi intuizioni
Prima di Aldo Biscardi a guidare “Il processo del lunedì” c’era lui (che ereditò la conduzione da Enrico Ameri). Sua fu l’idea di “Pressing” su Italia 1, il primo programma sportivo che provò a sfidare i maestri di “La Domenica Sportiva”. E fu sempre lui a inventarsi “Quelli che... il calcio”. Lui è Marino Bartoletti, giornalista sportivo di lungo corso, “sanremologo”, probabilmente i baffi più famosi della tv dopo quelli di Maurizio Costanzo. Da qualche anno scrive, e bene, anche romanzi. L’ultimo s’intitola “La partita degli dei”, dove immagina un match fra i grandi campioni del calcio passati a miglior vita.
Come ti è venuto in mente?
«L’idea è nata dal bambino che è in me e che ogni tanto bussa e domanda: “Ti ricordi quando ci chiedevamo dove sarebbero andati i nostri eroi quando non ci sarebbero stati più?”. Ho così cercato di immaginare un luogo, che quasi mai chiamo Paradiso, dove vivono le persone che abbiamo amato e che immagino facciano le cose per cui ci piacevano. È bello pensare che Luciano Pavarotti canti ancora, che Marco Pantani pedali, che i giocatori giochino a pallone. Il bambino che bussa, questa volta, ha detto: “Marino, perché a tutti i tuoi amici che sulla terra giocavano a pallone non facciamo fare una bella partita?”. Così è nata questa sfida tra una squadra formata dagli stranieri più forti di sempre, come Pelé, Cruijff , Eusebio, Jašin, e una con gli stranieri che hanno giocato in Italia, quindi Maradona, Suárez e altri ancora, oltre ai nostri Meroni, Vialli, Mazzola, Burgnich, Facchetti, Scirea, Rosato... Insomma, va bene il Paradiso, ma ci scappa anche qualche calcio».
La storia della tv ti deve l’invenzione di “Quelli che… il calcio”.
«I presupposti c’erano già in “Domenica stadio”, programma di Italia 1: nacquero dalla mia voglia di raccontare il calcio in una maniera sdrammatizzata e frizzante, facendoci delle chiacchiere intorno. In Rai ho potuto sfruttare “Tutto il calcio minuto per minuto”. Nelle prime edizioni di “Quelli che...” proiettavamo i volti dei radiocronisti, che all’epoca nessuno conosceva. A parte Ameri e Ciotti, nessuno aveva mai visto Cucchi, Gentili o Luzi».
Come nacque l’accoppiata con Fazio?
«Presentai il progetto al direttore di Rai3 Angelo Guglielmi che mi disse: “Se facciamo più del 5 percento di share va bene”. Io, facendo un po’ lo sbruffone, gli dissi che avremmo fatto più del 10. Due anni dopo, se facevamo meno del 35 ci guardavano in cagnesco. Mancava il conduttore, nessuno voleva farlo. Chiedemmo perfino a Dario Fo, ma Franca Rame ci rispose: “Il mio Dario certe stupidate non le fa e non le farà mai”. Alla fine andammo da Fabio che si rivelò la grande fortuna del programma, così come “Quelli che... il calcio” si rivelò la sua fortuna. Era la persona più adatta».
Anche grazie a tutti quei personaggi…
«Io presentai un progetto in cui dicevo che ci voleva, per esempio, uno straniero, tifoso di una squadra grande chiacchierone, o una religiosa... Ma non sapevo che esistesse un Idris, oppure una suor Paola che andava in curva col bandierone! Everardo Dalla Noce, poi, fu un colpo di genio. Mi aveva colpito perché ci raccontava la Borsa tutti giorni, alla fine del Tg2, facendoci appassionare a un argomento che per noi era completamente astruso. Lui andava negli stadi facendo finta di non capire nulla, in realtà era un grande competente».
Hai inventato anche “Pressing”.
«L’ho tenuto a battesimo e l’anno dopo ebbi l’intuizione che dovevo passare la mano a Raimondo Vianello. Se ci pensi è lo stesso filone narrativo di “Quelli che... il calcio”: far le cose in maniera sdrammatizzante, possibilmente allegra».
È vero che a Silvio Berlusconi non piacevano i tuoi baffi?
«Né i baffi né le mie cravatte. Il lunedì mi chiamava per dirmi che sembravo un ufficiale dei carabinieri. Non mollai. A Mediaset fummo solo in due a salvare i baffi: io e Maurizio Costanzo. Li fece tagliare anche a Gullit».
Hai un rapporto speciale con il Festival di Sanremo.
«È una passione parallela a quella sportiva. Ai tempi di “Quelli che... il calcio”, portavamo i nostri idoli fingendo che fossero tifosi di squadre di calcio (e a volte lo erano veramente). Io chiamai tutti i protagonisti dei Sanremo del passato e lì si vide che ero portato per la materia. Al punto che per i 70 anni del Festival, quando si è deciso di fare un almanacco su Sanremo, lo hanno chiesto a me».
Nel 2008 eri anche nella commissione selezionatrice.
«Non fu un anno meraviglioso. Lì è un po’ come le annate del vino... però vinsero Lola Ponce e Giò Di Tonno con l’unica canzone di Gianna Nannini mai presentata a Sanremo. C’erano anche altre canzoni buone, anche se non sono quelle passate alla storia, tipo “Grande Sud” di Eugenio Bennato».
Prima o poi ti toccherà scrivere anche “Il concerto degli dei”.
«È un’idea: “Il festival degli dei”. Faccio il festival dei festival con tutti gli dei della musica».