Mario Giordano: «Diffidate dei “Tromboni”, che non hanno mai dubbi»

Il conduttore di "Fuori dal coro" sbeffeggia con un libro «chi ha sempre la verità in tasca»

19 Maggio 2022 alle 08:01

«Sbugiardare gli incompetenti è facile: sono gli esperti quelli davvero pericolosi». Forte di questa paradossale verità Mario Giordano, l’ideatore e conduttore di “Fuori dal coro”, si è messo a indagare su una terribile figura che da sempre infesta tutti gli ambienti, dalla tv alla politica, dall’economia al bar sotto casa: il “trombone”. E a riguardo ha scritto un libro.

Giordano, chi sono i tromboni?
«Quelli che salgono in cattedra. Hanno la verità in tasca: spiegano, pontificano. Poi si sbagliano. E poi riprendono a spiegare...».

Come riconoscerli?
«Qui viene il difficile. Perché, come ho detto, i più sfacciati sono anche quelli che alla fine fanno meno danni. Ma come non credere all’illustre economista? O al grande scienziato? Peccato però che spesso siano i fatti a smentirli».

Tra gli esempi che fa ci sono i virologi televisivi. Non ne salva uno...
«Non è vero. Giuseppe Remuzzi, per esempio, ha avuto coraggio ad ammettere di aver sottovalutato il Covid, all’inizio. Altri invece hanno insistito a sostenere che i vaccinati non potevano contagiare nessuno, anche quando c’erano le prove del contrario. Ecco, i tromboni non sanno dire: “Ho sbagliato”. Non hanno mai dubbi».

E come possiamo essere sicuri di non diventare tromboni anche noi?
«Coltivando l’arte del dubbio. Facendoci sempre una domanda in più. E poi con l’umorismo. I tromboni sono privi di autoironia».

E lei?
«Su questo mi sento tranquillo, perché mi prendo in giro da solo e mi piace raccontare anche cose buffe che mi riguardano. Come quella volta che uno spettatore ha letto il mio nome come autore di un programma e mi ha scritto: “Lei è bravo, ma perché fa leggere i suoi testi a quel ragazzino con la voce squillante?”».

Questo libro ne segue altri in cui parlava nel titolo di sanguisughe, avvoltoi, pescecani, vampiri e sciacalli. A questo punto siamo spaventatissimi. Viviamo in un mondo così terribile?
«Il mondo è meraviglioso. Ma bisogna sapersi difendere. Ho cominciato con “Sanguisughe” dove raccontavo lo scandalo delle pensioni d’oro. Possono sembrare titoli “gridati”, ma per me gridare è un segno di ottimismo».

Perché?
«Perché chi grida, magari in tv, come me, è convinto di poter cambiare le cose che non vanno. Chi è rassegnato, invece, usa formule concilianti del tipo “ma perché ti scaldi tanto, che ci vuoi fare, è sempre andata così...”. Il vero scandalo è la rassegnazione».

Altri consigli anti-tromboni?
«Quando vi raccontano una storia a senso unico, non fidatevi. Veniamo da anni di conformismo, favorito dalla pandemia e ora dalla guerra. Chi esprime un dubbio è subito etichettato: “no-vax”, “pro-Putin”... È successo a Toni Capuozzo, un grande inviato di guerra. Ma il caso più esemplare è quello del professor Alessandro Barbero. Prima era lo storico per eccellenza e tutti pendevano dalle sue labbra. Poi ha osato criticare il Green pass ed è diventato un bersaglio. Avete notato che non è più tornato sull’argomento? Ovvio, chi glielo fa fare? Chi ha voglia di farsi massacrare? A me però dispiace non sentire più la sua opinione».

Di chi è la colpa?
«Non ho certezze. Se le avessi sarei un trombone. Ma mi pongo dei dubbi. Forse c’entra il politicamente corretto. Con Iva Zanicchi ho scherzato sul fatto che oggi non potrebbe esibirsi con “Zingara”, perché la parola è diventata offensiva. Dovrebbe cantare “Sinti camminante di origine indopersiana”. Non si può neanche guardare “Dumbo” o “Lilli e il vagabondo” (dove i “cattivi” sono due gatti siamesi dai tratti orientali, ndr) perché offenderebbero chi ha difetti fisici o chi è straniero. Si sfruttano principi anche buoni per imporre a tutti il conformismo e il pensiero unico. E chi dissente diventa “il cattivo”. Un paradosso: è l’intolleranza dei tolleranti».

Ma perché si dice «quello è un trombone»?

Nella scenetta nel vagone-letto del film “Totò a colori” (1952), Totò si rivolge all’onorevole Cosimo Trombetta con l’indimenticabile battuta: «Chi è che non conosce quel trombone di suo padre?». Totò giocava coi cognomi come se fossero da prendere alla lettera. L’onorevole Trombetta non apprezzò, visto che l’appellativo “trombone” (o “vecchio trombone”) descrive una persona piena di sé che sproloquia, parla con toni eccessivi, si esprime in modo enfatico e retorico, esagera la propria importanza e si serve di parole ricercate ma vacue. I dizionari dei sinonimi segnalano: spaccone, smargiasso, fanfarone, sbruffone, vanaglorioso, pallone gonfiato... Perché questo significato ironico? La ragione sta nel fatto che trombe e soprattutto tromboni annunciavano solennemente la presenza o l’arrivo di una figura regale con pomposa magnificenza. Enzo Caffarelli

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