Tutte le sere è in onda, ma intanto il giornalista è appena tornato in libreria con “L’Italia non è più italiana”, libro denuncia sui pezzi del nostro Paese finiti in mani straniere, dedicato alla figlia Alice

Tutte le sere è in onda con «Fuori dal coro», ma intanto Mario Giordano è appena tornato in libreria con “L’Italia non è più italiana”, libro denuncia sui pezzi del nostro Paese finiti in mani straniere, dedicato alla figlia Alice.
Nella prefazione scrive: «Spero che tu, dopo aver letto la premessa, non me lo tirerai in testa». Com’è andata?
«Alice è molto contenta. Gliel’ho portato a Tolosa, (in Francia, ndr) dove sta facendo il dottorato di ricerca. È sempre convinta di venire a lavorare in Italia. Il che mi fa piacere ma, per come è ridotto il nostro Paese, mi fa anche paura».
I dati di cui parla nel libro sono impressionanti: quando li ha raccolti?
«Soprattutto fra maggio e settembre dell’anno scorso. Non essendo più direttore del Tg4 ho avuto molto tempo. Poi siccome mi piace andare a presentare i miei libri nei piccoli centri, ne ho approfittato per scoprire luoghi e persone: mentre dibattiamo di beghe infinite, il nostro Paese ci sta sfuggendo di mano».
Che male c’è se le grandi aziende finiscono in mani straniere?
«Due mali. Che non controlliamo più una parte rilevante della nostra economia, a volte d’importanza strategica decisiva come le comunicazioni; l’altro è che, visto che i proprietari delle aziende stanno magari a Boston o Dubai, le loro decisioni non vengono prese nell’interesse del territorio. Ma non si tratta solo di grandi aziende, stiamo perdendo anche le piccole e medie imprese, il nostro cibo, la nostra lingua».
Un capitolo parla dello strapotere della lingua inglese. Qual è il vocabolo straniero che odia di più?
«“Brainstorming”: perché non “confronto”, “scambio d’idee”? Oppure “la location”. Diciamo “luogo”! Mentre gli altri Paesi fanno leggi per difendere il vocabolario, le nostre leggi vengono chiamate “flat tax”, “jobs act”, “voluntary disclosure”…».
Una ricetta per uscire dai nostri problemi?
«Ci vorrebbero interventi legislativi ad hoc, ma i grandi cambiamenti che poi sfociano nelle leggi cominciano nella testa e nel cuore delle persone. A difendere l’Italia forse dobbiamo cominciare un po’ noi».
A gennaio la ripartenza di “Fuori dal coro” è stata rinviata per settimane. Cos’era successo?
«Normali questioni produttive e di palinsesto. È una fortuna rara avere uno spazio di questo genere in cui fare quello che voglio».
La sigla è “Another brick in the wall” dei Pink Floyd. L’ha scelta lei?
«Sì. Cercavo un pezzo conosciuto, che avesse un certo ritmo, questo mi sembrava azzeccato e lo è: tutte le sere quando lo ascolto mi dà la carica, sono cose che si sentono a pelle».