Max Pezzali: «I miei anni 90 tra motociclette e pizzerie»

Il 30 marzo è uscito il suo nuovo libro "Max90" e lui commenta solo per noi alcuni passaggi

Max Pezzali  Credit: © Flavio & Frank / Mondadori Portfolio
8 Aprile 2021 alle 08:19

Se la musica dal vivo è ancora ferma, Max Pezzali, dopo aver pubblicato il disco “Qualcosa di nuovo” a ottobre, è tornato a fare lo scrittore. Il 30 marzo è uscito, infatti, il suo quinto libro, “Max90”: un racconto del decennio (ma non solo) che lo ha reso una star a partire dalla pubblicazione di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” («L’Uomo Ragno era un eterno precario con gravi problemi di sussistenza che credeva ancora nell’onestà»).

Più che un’autobiografia, “Max90” è una raccolta di riflessioni sulla sua vita da ragazzo. Si parte, e non poteva essere altrimenti, dalla nota in apertura firmata da Mauro Repetto, che con Max fondò gli 883: «Era mio compagno di classe, e per un certo periodo anche di banco, al liceo scientifico. E tra una versione di latino e un compito di matematica, fu lui a convincermi a buttarmi nella musica: se non ci fosse stato Max, da solo non avrei mai avuto il coraggio». Per scoprire un po’ meglio “Max90”, ne pubblichiamo alcuni estratti che facciamo commentare proprio all’autore.

Ecco la copertina di “Max90”, Sperling & Kupfer, 19,90 euro

L’importanza del “deca”

“Io e i miei amici andavamo in una pizzeria di Pavia che si chiamava Drago Marino. C’era la signora Ammirata che ci sembrava bellissima, una Madonna di Pompei. (…) Era il posto più economico della città, ma con 10.000 lire ci stavi al pelo”.

«Il deca, le 10.000 lire (circa cinque euro di oggi, ndr), erano tante e pochissime allo stesso tempo. Perché ci uscivi la sera, ma ci mangiavi a malapena. Allora i pizzaioli erano ortodossi: ne facevano di dieci gusti al massimo e dovevi accontentarti. Io, che ordinavo la margherita con i würstel, venivo già guardato un po’ storto dalla signora Ammirata».

La scoperta di New York

“C’erano locali incredibili, e David era un insider, uno che frequentava la notte, conosceva i dj e la gente del mondo hip-hop, che all’epoca stava per esplodere a livello planetario. (…) Mi sentivo nella Terra Promessa”.

«Eravamo nel 1988 e David era un mio amico dj. Allora non c’era Internet, quindi potevi solo immaginarla una città come New York. C’erano poche informazioni e frammentarie. A New York scoprii una via piena di negozi di strumenti musicali, vicino a Times Square. Vedevi i ragazzi afroamericani entrare a comprare i giradischi, i capelloni che acquistavano le chitarre… Io comprai una batteria elettronica, la Roland TR-707 con cui realizzai i primi dischi degli 883: ce l’ho ancora».

I videogiochi nel cuore

“La sala giochi era zona franca: libero ingresso e libera uscita. Gironzolavi tra le macchinette facendo finta di valutare a quale giocare, ti mostravi un po’ indeciso, poi uscivi un attimo per rientrare poco dopo”.

«A Pavia, dove vivevo, da ottobre a marzo fa un freddo tremendo: non puoi stare in giro. I videogiochi erano un rifugio. Stavamo lì ore, anche senza spendere e guardando gli altri che giocavano. Sembravamo anziani ai cantieri».

In sella a un... Ciao

“Avevo il motorino, perché i miei erano stati molto chiari: «Finché non avrai i soldi per comprartela (la moto, ndr) da solo, c’è il motorino, che ti serve per andare dal punto A al punto B»”.

«I miei genitori sono sempre stati molto essenziali: il necessario c’era, ma il superfluo andava guadagnato. E il motorino rientrava appena appena nel necessario. Avevo il Ciao, ma in quegli anni, come la Vespa, era molto ambito dai ladri: quindi ne ho avuti diversi. Bisognava stare attenti perché ti portavano via come niente anche solo la sella…».

Con l’Harley Davidson

“Ricorderò sempre quando arrivai per la prima volta al bar con la mia Harley nuova, una meravigliosa 1340 arancione e panna”.

«Tra gli avventori c’era un geometra, fan delle Moto Guzzi. Io ero sceso spavaldo, volevo che tutti mi guardassero. Lui si alzò, si avvicinò e disse: “Io con quella cinghia (di trasmissione, ndr) non mi ci legherei nemmeno i pantaloni”. Odiava la mia moto americana. Mi demolì con una frase».

La vita in provincia

“Noi non potevamo andare nelle discoteche dell’area di Voghera, perché i vogheresi, essendo molto territoriali, non volevano quelli di Pavia (i cittadini!)”.

«Su tutti ricordo un locale, il Milleluci di Zavattarello: c’erano leggende metropolitane secondo cui in quel posto accadevano risse di ogni tipo, ma io per fortuna scappavo sempre prima».

Maledetta matematica

“La mia migliore performance (al liceo, ndr), che ha generato prese per il c*** infinite da parte del mio compagno di classe Mauro Repetto, sono stati gli esami di settembre in quarta”.

«Ho fatto lo Scientifico, ma in matematica ero un disastro. In quarta fui rimandato per l’ennesima volta e il giorno dell’esame, la mia prof un po’ rassegnata mi disse: “Pezzali, ma lei sa quante persone fanno lo Scientifico?”. Io la presi per una domanda vera e mi misi a fare i calcoli partendo dagli Anni 20. Mauro mi prende in giro ancora».

Cognomi diplomatici

“Mi iscrissi a Scienze politiche, non perché fosse la facoltà più facile, come si diceva all’epoca, ma perché il mio sogno era entrare in diplomazia”.

«Speravo in una carriera da diplomatico, ma fu stroncata da un professore. Durante un’interrogazione mi disse: “Non me ne voglia, Pezzali, ma con quel cognome…”. E io: “In che senso?”. Lui rispose: “Sa, la diplomazia è anche una questione di forma. Un conto è uno che si chiama Cimarosa di Camerino, un conto Massimo Pezzali…”. E alla fine cambiai idea».

La cameretta di casa

“Ho vissuto nella stessa cameretta dal 1983, quando con i miei ci siamo trasferiti dalla periferia al centro, fino al 1994, anno in cui ho fatto il grande passo andando a vivere da solo. Ne sono quindi uscito dopo il secondo album, già quasi al terzo”.

«Vivevamo in centro a Pavia, la mia stanza era in una mansarda. Non nascondo di essere uno di quelli che ci ha messo un po’ a uscire di casa. Nonostante avessi venduto milioni di dischi con “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” e “Nord sud ovest est” stavo comodo lì dai miei… Ma la situazione poi diventò invivibile, perché il numero di casa era sull’elenco telefonico, quindi tutti i giorni avevo qualcuno che mi cercava. Quella è stata la molla per farmi andare via!».

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