Presenta a Sorrisi il suo nuovo libro: «Ho catalogato le piccole cose certe che rovinano la giornata a tutti noi: lampadine che si bruciano, foglietti delle medicine, merciaie che chiudono...»

«Luciana, sa chi la saluta? La mia vicina di casa, che di mestiere fa la merciaia». «Uh, che il Signore la preservi a lungo: ormai le merciaie si stanno estinguendo». Attaccare bottone con Luciana Littizzetto è diventato complicato. E non perché alla protagonista di tante schermaglie con Fabio Fazio a «Che tempo che fa» manchino gli argomenti.
• Fabio Fazio: «Tre cose certe che so di Luciana»
È proprio una questione pratica: «Non ci sono più le mercerie e per comprare un bottone non sai più come fare. Figuriamoci se devi attaccarlo» spiega lei. «Io per l’orlo dei pantaloni uso la pinzatrice oppure il biadesivo. Ma era così bello entrare in quei negozi pieni di scatole, con quel rassicurante odore di naftalina...». Era una delle «Piccole cose certe», dette anche «Picicì» (o «Pcc») a cui «Lucianina» dedica il suo nuovo libro: «Ogni cosa è fulminata» (Mondadori).
«Pcc» sembra il nome di un partito. Il suo è un appello ai politici?
«I politici hanno cose più importanti a cui pensare. Io in questo libro volevo far parlare i particolari, le sfumature della nostra vita, i dettagli. Le piccole incongruenze che, concretamente, ci creano un immenso fastidio».
Le rognette, insomma.
«Esatto. Minuzie che mi stanno davvero a cuore, per cui vorrei chiedere una Grande Riforma».
Per esempio?
«Il bugiardino dei farmaci. Già elenca tutti gli effetti collaterali possibili e immaginabili, dalla licantropia all’attrazione per Gigi Marzullo. Ma non solo: lo leggi una volta, poi provi a ripiegarlo e lui si espande come una mappa topografica. E non c’è verso di rimetterlo dentro come prima: la scatola si deforma come Quasimodo, il gobbo di Notre-Dame. Ma io dico, care le mie case farmaceutiche, non potreste fare un riassunto nella confezione? Un bigino e bon?».
Altre mini battaglie di enorme importanza?
«Il montante del vetro posteriore in macchina. Ha presente?».
Non guido.
«Beata lei, io invece sì. Ho scritto persino a Fabrizio Giugiaro per protestare. Com’è possibile che si producano auto sempre più tecnologiche, con cruscotti che sembrano cloche di aerei, e poi continuiamo ad avere il montante del lunotto così ingombrante? Quando parcheggiamo non siamo alla Nasa, ma nei marciapiedi di Pinerolo: allunghiamo la coda dell’occhio e giriamo il collo all’inverosimile, ma in quell’angolo lì dietro non si vede mai una m...».
Niente parolacce, siamo Sorrisi...
«Sto invecchiando, non le dico quasi più, neanche in tv. Col tempo miglioro, stagiono come il formaggio. Ormai dico solo “culo”, perché mi piace il suono. E Fabio si scandalizza».
La «Piccola cosa certa» di Fazio?
«Un difetto sostanziale: la manovra espansiva sul davanti».
Lucianina!
«Calma, le spiego: Fazio ha la “merlite”: con l’età succede a molti uomini. Viene la pancia, le gambe diventano secche secche e in sostanza si sgonfia il didietro. Come i merli, per l’appunto. E poi si agita perché ha paura di quello che dirò in diretta. Si agita anche se parlo di economia domestica, come il dramma del copripiumone».
Per infilarci il piumone serve la laurea in ingegneria. E c’è chi desiste. Lei che metodo ha scelto?
«Mi ci infilo dentro, tipo tenda da campeggio: faccio lo speleologo, ispeziono, spunzono gli angoli a destra e a sinistra. E sudo, sudo da morire per la fatica».
E se riesce nell’impresa, la sera, prima di dormire a che cosa pensa?
«Meno male che anche oggi la giornata è durata solo 24 ore».
Anche la lampadina dell’abat-jour sul suo comodino, come ogni altra cosa del titolo, è fulminata?
«Ovvio: uno di quei rari momenti in cui a casa servirebbe un uomo. Una volta, se ti si fulminava la lampadina, bastava decidere se la volevi da 40, 60 o 120 watt. Era facile. Andavi dal ferramenta, dicevi: “Mi dia una lampadina, che mi si è bruciata quella del paralume” e fine. Ora iniziano a chiederti o: “La vuole alogena? A basso consumo? Luce calda o fredda?”. Ma io che ne so, mica sono un direttore della fotografia!».
Tra le «picicì» della sua vita c’è anche la fisicità.
«Io nel mio curriculum sul libro scrivo che sono alta 1.85 in yard, per guadagnare quei 15 centimetri».
La sua statura mignon è mai stata un complesso? Oppure è da sempre una piccolezza su cui fare ironia?
«No, non è mai stata un complesso. Forse durante l’adolescenza certe battute non erano proprio un piacere, certo. Ma ho capito subito che essere spiritosa poteva essere un’arma vincente».
E oggi come reagisce di fronte alla violenza verbale? A certi commenti aggressivi sui suoi social, dal «Non fai più ridere nessuno» in giù?
«Se sono seriamente violenti li denuncio. Agli altri non faccio caso. Non cerco di piacere a tutti: io sono libera, dico sempre quello che mi pare. E sui social network mi piace iniziare le giornate con leggerezza: ne abbiamo tutti un gran bisogno. Per questo su Instagram ogni mattina pubblico un breve video divertente. Credo che sia un gesto di generosità, un distillato di buonumore in dosi omeopatiche».
Accanto ai tanti argomenti divertenti ha dedicato un capitolo al tema delicato dell’adozione. Perché?
«L’attesa media per un’adozione internazionale è di circa due anni e mezzo. Il tempo che la sonda Voyager ci ha messo per raggiungere Saturno. Per questo ho scritto dei bambini e ragazzi in affido o adottati, che sono figli non della pancia ma del cuore. L’ho scritta a nome di tutte le mamme adottive o affidatarie e di tutti i papà. S’intitola “Lettera a un bambino rinato”».
I suoi figli «rinati» sono ormai diventati grandi: Vanessa ha 19 anni, Jordan 21. Hanno già letto il libro?
«No, ma ne stanno aspettando un altro da leggere».
Quale?
«Un giorno ho detto che vorrei scrivere un romanzo su di loro. Quando hanno visto questo, mi hanno chiesto: “Mamma, è il nostro?”. Capito che non lo era, per loro la faccenda è finita lì (ride). Quindi per il momento possiamo tornare a noi: vuole che le racconti un’altra picicì?».
Certo.
«La tragedia del mio deodorante preferito che all’improvviso è sparito dagli scaffali. Lo cercavo da una parte, con una certa confezione e la commessa mi ha detto: “No, guardi, è qui: l’hanno cambiato, non ha più i sali di alluminio”. Io manco sapevo che ci fossero, ‘sti sali di alluminio. Ma evidentemente a qualcosa servivano, perché dopo che l’ho spruzzato nel giro di tre minuti avevo già l’ascella come una bestia di Satana!».
Ogni cosa è fulminata

Un estratto del libro, il capitolo su una delle seccature che riguardano tanti di noi: il tè al bar.
"Vorrei una legge che obblighi i bar a fare i tè a temperatura normale, non a quella del piombo quando fonde. Tu ordini un tè, il barista va alla macchinetta del caffè, aziona un rubinettino dell’acqua calda laterale, e fuaaaaaaaa... esce il diavolo. Una nuvola di vapore che neanche in una tintoria. Il barman ti versa ‘sta tazza di liquido incandescente e te lo serve senza fare un plissé e tu, se lo vuoi bere, o metti in conto di cuocerti le labbra e la lingua per sempre oppure ti devi portare il sacco a pelo e stazionare lì fin dopo l’ora di chiusura. Appello: voglio un tè, non la lava di un vulcano! Fatemelo che lo possa bere oggi e che non mi leda la mucosa gastrointestinale. Va bene caldo, ma non alla temperatura di fusione del vanadio!"