Paolo Del Debbio: «Era giusto raccontare la storia del mio babbo»

Il conduttore di Rete 4 si svela nel libro “Le 10 cose che ho imparato dalla vita”

Paolo Del Debbio
20 Gennaio 2022 alle 08:23

Paolo Del Debbio è tornato in onda il giovedì sera su Rete 4 con “Dritto e rovescio”. Rapido, chiaro, conciso, dagli inconfondibili modi toscani (“Sono nato a Lucca, in una giornata nebbiosa, il 2 febbraio del 1958”), parla senza tanti fronzoli, sia che lo si incontri di persona, lo si guardi sullo schermo o lo si conosca attraverso le pagine del libro autobiografico “Le 10 cose che ho imparato dalla vita”.

È tornato in onda per l’elezione del Presidente della Repubblica...
«Ci sarà questo passaggio importantissimo, sì. Tra l’altro la quarta votazione, quando non è più richiesta la maggioranza dei due terzi, dovrebbe coincidere proprio con un mio giovedì».

Tifava per un prolungamento di Mattarella?
«Sì, perché stando lì Mattarella anche Mario Draghi rimarrebbe al suo posto e avremmo garantito fino al 2023 un assetto stabile che ci difenda dagli attacchi delle speculazioni internazionali».

A Capodanno Sergio Mattarella ha detto: «La pandemia ha scavato solchi profondi nelle nostre vite». Anche per lei è stato così?
«Io ho avuto la fortuna di non ammalarmi e continuare a lavorare, ho mantenuto il rapporto con il pubblico, sono uscito a fare servizi... Il resto del tempo come tutti l’ho passato in casa, i rapporti con i parenti e le figlie sono stati quelli che sono stati e questo ha certamente influito sull’umore».

In questo periodo ha lavorato a un libro autobiografico: “È la prima volta che scrivo di questi fatti. Prima non ce l’ho mai fatta”. Cos’è cambiato?
«Forse l’età, a 63 anni era un momento in cui mi potevo consentire di fare un po’ di riflessioni, prima non avevo una certa maturità. Ho pianto molto scrivendo il libro, quel che si definisce la “funzione catartica” della scrittura. È stato come fare il punto di tutta la vita, una prova».

Quanto è stato difficile elaborare il ricordo di suo padre Velio, recluso per due anni in un campo di prigionia nazista?
«Facile non è stato. Molte cose me le aveva dette lui, altre Alfio, un suo compagno di prigionia, altre me le sono cercate da solo per capire com’erano il campo, le baracche, la vita quotidiana. Ho parlato di una persona che pure “piagata” non è stata mai “piegata”, la sua dignità di fronte a quei bastardi aguzzini non è stata calpestata».

Scrive ancora: «Quante volte ho pensato che per molto, ma molto meno, io mi sono sentito vacillare».
«Spesso mi sono chiesto come avrei reagito io, probabilmente non come lui, che lo ha fatto nel migliore dei modi possibili. Ha trasformato il risentimento nella gioia di avere una vita con la persona che amava, di fare dei figli, di avere un lavoro, di non avere fame e freddo».

Macchina da scrivere e sigaro, così appare mentre lavora.
«I libri li scrivo così, con il toscano e una Olivetti Lettera 32, me l’ha regalata il mio babbo quando avevo 16 anni e poi ne ho comprate altre uguali, in caso la prima mi si rompesse. Mi concentro di più sapendo che non posso correggere e sono più veloce. Poi c’è una signora che gentilmente trascrive sul computer».

Dai suoi genitori, dice, ha imparato ad «andare all’essenziale e velocemente». Che poi è il suo stile di conduzione.
«In un certo senso hanno condizionato anche il mio modo di fare televisione. Mi hanno insegnato soprattutto a non staccare i piedi da terra: è il tentativo che faccio anche in tv, quello di non volare».

Il suo profilo Instagram l’ha intitolato: “Dice Del Debbio”. Un po’ come Frate Indovino.
«No, non sono frate e neanche indovino, sono un “bischero” qualsiasi. Volevo sottolineare che la mia è un’opinione, non è la verità. Io dico così poi ognuno la pensa come vuole».

Ci ha messo pure “i detti” di sua mamma Lilia.
«Sono proverbi eterni, provengono dalla saggezza popolare. In Toscana è un modo di parlare comune e la mia mamma era particolarmente vispa, raro che facesse un discorso dove non c’erano la battuta e la risata, se si escludono i funerali, e qualche volta anche in quelli».

Sua madre le diceva: «Se i bischeri volassero, a te bisognerebbe darti da mangia’ colla fionda».
«Me lo diceva nel senso che avevo spesso la testa occupata altrove e mi scordavo di fare le cose. Nella mia famiglia e forse anche nel quartiere, fra quelli del bar sicuramente, sono l’unico ad aver fatto l’università, mi avevano soprannominato “Cultura” o “Il professore”».

Si definisce: «Saggista, docente di filosofia e giornalista». Sono in ordine di importanza o di preferenza?
«Le ho messe in ordine di come sono andate nella vita. Prima ho scritto dei saggi, poi ho insegnato e a 47 anni ho iniziato a fare il giornalista in televisione».

Da professore: presenza o Dad?
«La Dad, didattica a distanza, non è didattica».

Da giornalista: no vax in studio, sì o no?
«Mi sono interrogato se fosse il caso, alla fine abbiamo deciso che è meglio farli discutere con gente che possa opporre ragioni alle loro, ma non sono convinto al 100%».

Da italiano: nel 2022 Italia ai Mondiali o un altro Nobel?
«Tutti e due».

Non rinuncia a nulla.
«L’uno non esclude l’altro: una cosa è la ricerca, una cosa è lo sport».

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